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 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

Un nuovo vagito e Londra batterà il suo record storico con la nascita del cittadino numero 8.615.246. La galoppata demografica - iniziata negli anni Novanta - è figlia di un’immigrazione massiccia e considerato che Londra resta ancora una potente calamita di opportunità e libertà non è affatto destinata a terminare. Le previsioni dicono che la popolazione salirà a quota 11 milioni entro il 2050

Questione di ore, forse solo di minuti. Un nuovo vagito e Londra batterà il suo record storico con la nascita del cittadino numero 8.615.246. Il londinese da guinness con molta probabilità sarà messo alla luce in periferia, in uno dei borough londinesi in cui il tasso di natalità cresce a ritmi più sostenuti. La popolazione della capitale britannica sta per sfiorare i nove milioni di abitanti e secondo le previsioni della Greater London Authority già questa settimana supererà il suo picco demografico, quello registrato alla vigilia della Seconda Guerra mondiale, quando nel 1939 arrivò a quota 8,6 milioni di residenti.
Era tutta un’altra Londra allora. All’alba degli anni Quaranta seconda città più grande al mondo dopo New York, oggi guarda quasi timidamente a una ventina di metropoli più popolate sparse per i continenti, Asia in testa. Nonostante il nuovo record, con i suoi enormi spazi verdi e una densità di 5800 abitanti per chilometro quadrato, la capitale di oggi è una delle aree urbane meno densamente popolate rispetto a metropoli come Mumbai in India (oltre 32mila) oppure Hong Kong in Cina (25.700 abitanti per chilometro quadrato). E se nel ’39 un terzo della popolazione lavorava nel manufatturiero, in 250mila nell’abbigliamento e altrettanti nella fattura di libri e giornali, oggi il 90% di quei lavori è svanito e il milione di posti che un tempo faceva grande l’industria della capitale è stato ricreato nell’ambito dei servizi, tra cui alberghi e ristoranti (dati di Barney Stringer, direttore dell’agenzia di consulenza Quod). Non solo. Oggi un londinese vive in media fino a 82 anni, nel ’39 l’aspettativa di vita non superava i 62. Una rivoluzione. Sociale, antropologica. E anche estetica. Allora la cattedrale di Saint Paul era l’edificio più alto della città e aveva tenuto il record per duecento anni. Oggi è solo il 41esimo palazzo più imponente dello skyline londinese e il primato dello Shard di Renzo Piano rischia di essere bruciato in fretta.
La galoppata demografica – iniziata negli anni Novanta dopo il picco negativo tra il 1970 e il 1980, quando gli abitanti scesero a 6,6 milioni – è figlia di un’immigrazione massiccia e considerato che Londra resta ancora una potente calamita di opportunità e libertà non è affatto destinata a terminare. Le previsioni dicono che la popolazione salirà a quota 11 milioni entro il 2050, un incremento del 37 per cento. Numeri che secondo molti rischiano di mettere sotto forte pressione la città. Sarà necessario costruire altre 600 scuole e 50mila nuove abitazioni, un costo totale di spesa in infrastrutture che sfiorerebbe i 1.600 miliardi di euro. Servirà molta più energia (il 20% delle risorse in più), i servizi di metropolitana e ferroviari andranno potenziati rispettivamente del 60% e dell’80%. Urgono insomma nuovi massicci investimenti, ha avvertito il sindaco Boris Johnson. Ma il rischio è che la capitale assuma sempre di più il profilo di una città-Stato, che domina culturalmente, economicamente e politicamente l’intero Paese lasciando a bocca asciutta tutte le altre aree. Secondo una rilevazione di YouGov, i due terzi dei non-londinesi pensano che le decisioni prese a Westminster favoriscano la città in cui il Parlamento britannico ha sede. I tre quarti (64%) sono convinti che i media si occupino troppo della capitale, i due terzi che la città porti prosperità al Paese ma non ai luoghi dove essi vivono. I più insoddisfatti? Gli abitanti del Nord (Scozia in primis): solamente il 10% pensa che il benessere di Londra si trasformi in ricchezza per loro. Cresce insomma il senso di alienazione. Che non sembra essersi placato dopo il referendum per l’indipendenza della Scozia e nutre contemporaneamente la voglia di rivalsa degli inglesi decisi anche loro ad avanzare le proprie rivendicazioni. L’orgoglio English si è risvegliato e il 58% dei londinesi non vuole che i parlamentari scozzesi a Westminster votino su questioni riguardanti la capitale e l’Inghilterra. Intanto Londra acquista sempre più potere, diventa calamita di giovani da ogni angolo del mondo, ma i non-londinesi la guardano con sospetto e diffidenza, liquidano la città come «costosa» (62%), «caotica» (30%) «affollata» (59%) e dicono che preferirebbero non trasferirsi. La prova che a fare la differenza sono gli immigrati. La metamorfosi di Londra ha galoppato soprattutto sui loro piedi. Nel ’39 solo il 2,7% dei suoi cittadini era nato all’estero e la metà erano irlandesi. Oggi la metà dei londinesi non ha la pelle bianca, il 37% è nato fuori dal Regno Unito. Sull’immigrazione si giocheranno le elezioni politiche di maggio, le più imprevedibili e decisive dell’ultimo secolo per il futuro del Paese ma anche per quello della capitale. Ironia della sorte, oggi come allora, la seconda comunità più numerosa è quella polacca (dopo gli irlandesi nel ’39, dopo gli indiani oggi). Una beffa per l’Ukip di Nigel Farage che vorrebbe chiudere le frontiere e riportare indietro le lancette dell’orologio.