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 2015  gennaio 07 Mercoledì calendario

Cosa accadrebbe se la Grecia uscisse dall’euro? I risparmiatori potrebbero svuotare i conti correnti e trasferire i capitali all’estero facendo crollare il credito. Un passaggio violento

Questa è un’esercitazione. Facciamo finta che succeda davvero, che la Grecia decida di uscire dall’Eurozona, cosa a cui gli stessi vertici di Syriza giurano di non pensare. Facciamolo per vedere l’effetto che fa. Per capire e anche spaventarci, per poter poi cominciar a parlare d’altro, magari di come rendere più competitiva sul serio l’economia continentale vessata da sette lunghi anni di crisi e da troppe incertezze politiche.
Un passaggio violento
Il passaggio non può che essere violento. La sola opzione teorica per il governo greco è prepararsi all’eurostrappo senza farlo sapere a nessuno, circostanza dalla probabilità nulla. I Trattati Ue non prevedono procedure di addio all’Eurozona, pertanto la rottura non potrebbe che essere unilaterale e traumatica. Certo condurrebbe anche all’uscita dall’Ue, cosa che in teoria va approvata da Consiglio e Parlamento Ue. Impraticabile, così com’è.
Ci vorrebbe un dittatore capace di rivoluzionare Atene e il suo mondo con un gesto. Però supponiamo che in città prevalga la democrazia, così il governo dovrebbe sottoporre il caso al voto del Parlamento. Questione di giorni, se non settimane, quanto basta per diffondere il panico fra i cittadini e sui mercati, perché il tempo è la variabile cruciale. Quanto ci vuole perché la banca centrale, ormai fuori dal sistema Bce e dalla rete di finanziamenti europei, torni a stampare dracme? Quanto per riprogrammare i pagamenti, i bancomat, i circuiti online?
Il crollo del sistema
Troppo perché non crolli tutto. La sola prospettiva di abbandono dell’euro spingerebbe ogni persona dotata di buon senso a svuotare il conto corrente, a mettere i soldi sotto il materasso o a spedirli fuori del Paese, ben consapevole che la regressione alla dracma scatenerebbe una netta svalutazione dei capitali piccoli e grandi. Dieci, venti, qualcuno dice 50 per cento. Euroscettici o no, la possibilità di vedere ridotti di un terzo (o più) i risparmi provocherebbe la corsa ai depositi e uno tsunami di capitali in fuga. Risultato: bancarotta immediata del sistema creditizio greco e necessità di ricapitalizzarlo. Con quali soldi?
Il governo potrebbe reintrodurre i controlli ai movimenti finanziari in uscita, contingentando al contempo i prelievi e i bonifici internazionali. Con la prima mossa, si espellerebbe dal mercato unico Ue, dove vige la libera circolazione del denaro. Con la seconda, paralizzerebbe l’economia, renderebbe ardua la vita delle imprese, ammanetterebbe la Borsa e lascerebbe i cittadini a secco per tutto il tempo necessario alla transizione. In sintesi, la martoriata Grecia si ritroverebbe con le banche fallite, le aziende prive di liquidi, le famiglie senza quattrini.
Il balzo degli interessi
Visto che è un’esercitazione, immaginiamo che ce la facciano. La nuova dracma sarebbe svalutata. Il debito internazionale resterebbe denominato in euro (non dipende dalla legge greca), aumenterebbe di almeno un terzo e costerebbe parecchio di più in interessi. Si potrebbe decidere di non pagare i propri impegni distruggendo fiducia e credibilità nazionale. Si finirebbe fuori dal mercato. Fine degli investimenti, causa instabilità e incertezza. Lo stato rimarrebbe senza soldi e nessuno glieli presterebbe. Forse i russi, ma a che prezzo politico?
Mettiamo che ce la facciano pure qui, in fondo è un gioco. La svalutazione gonfierebbe il costo di import e bolletta energetica, zavorrando un Paese povero di export che non potrebbe salvarsi solo con turismo, olive e trasporti via mare. L’inflazione a due cifre eroderebbe salari e pensioni. Misura estrema potrebbe essere il ricorso alla scala mobile, con l’effetto di rendere incontrollabili i prezzi. Catastrofe. Isolamento. E allora? Facile dire che non conviene. A meno di essere la Corea del Nord.