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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

Nawal, la donna che salva i profughi. È marocchina ma vive a Catania, i clandestini la chiamano dall’imbarcazione e poi lei lancia l’allarme alla Guardia Costiera

Nawal lancia gli sos che salvano le vite dei profughi siriani con un cellulare vecchio di dieci anni. «Sì è vero, ma ha una batteria che dura quattro giorni di fila... – sorride – e io non posso permettermi di tenerlo spento». Nawal Soufi, 27 anni, nata in Marocco ma cresciuta a Catania fin da quando aveva un mese, è a quattro esami dalla laurea in Scienze politiche, e intanto fa la “vedetta” del Mediterraneo. È lei “Lady Sos”, come l’hanno soprannominata i siriani. Perché quando si trovano alla deriva, su un mercantile lasciato senza equipaggio, quando non rimane che disperazione e paura sanno che c’è un numero “d’emergenza” sempre attivo. Il suo.
Lei avverte la Guardia Costiera fornendo ai militari le coordinate della posizione dell’imbarcazione. Poi corre al porto ad accoglierli, fornisce loro cibo, acqua, vestiti, pannolini per bambini, contatti utili. Lo fa da quasi due anni, gratis, spinta da una passione incondizionata che si riassume in questa risposta: «È il cuore che mi paga». È stata lei a segnalare l’arrivo di tutti i 13 cargo lanciati contro le coste italiane dagli scafisti, dal 28 settembre a oggi. «In quattro casi mi avevano detto di essere stati abbandonati. Con il Blue Sky M( intercettato il 30 dicembre con quasi 800 migranti a bordo, ndr), mi arrivò questo sms: “Abbiamo problemi a guidare il mercantile, non abbiamo controllo”».
Le dicono chi sono gli organizzatori dei viaggi?
«No, c’è molta paura delle ritorsioni perché chi parte lascia la famiglia in Turchia o in Siria. Si limitano a dirmi: “I pezzi grossi non li conosciamo. Sappiamo solo chi sono quelli che raccolgono i passeggeri. Queste organizzazioni criminali si stanno arricchendo in modo pazzesco: nel Mediterraneo ci sono morti di prima, seconda e terza classe» Quanti messaggi di sos riceve ogni giorno?
«Decine, ormai ho perso il conto. Annoto le chiamate su un diario, le registro e pubblico i messaggi su Facebook. Così è tutto alla luce del sole. Alcune giornate non finiscono mai... Il 31 agosto scorso per esempio».
Cosa successe?
«Leggo dal mio diario... “A mezzogiorno mi chiamano da un rimorchiatore con 800 persone a largo della Libia. Poi un secondo sms da un altro numero: Stiamo imbarcando acqua vicino alla piattaforma petrolifera Bouri Field, queste sono le nostre coordinate. Altro sms da un barcone di legno: Siamo 350, partiti da Sebrata, a bordo donne incinte. Altro sos: Siamo in 250, non abbiamo più credito nel telefono. Alle 16.30 poi: Siamo tutte famiglie, partiti dall’Egitto. Così fino a notte fonda. A volte poi arrivano messaggi particolari...».
Ovvero?
«Una volta un gruppo di 30 siriani, bloccati da 48 ore su un isoletta in mezzo al fiume di Evros, al confine tra Grecia e Turchia. Mi chiesero di contattare la Croce Rossa perché sostenevano che i “tedeschi”, così chiamano Frontex, li avevano picchiati. Un altro siriano mi cercò dall’aeroporto di Fiumicino: aveva il passaporto ma la polizia di frontiera aveva deciso di riportarlo in Turchia. Oppure messaggi tipo: Siamo in mare, lo scafista ci ha lasciati, siamo senza credito sul telefono satellitare, per favore facci una ricarica».
In quel caso come si comporta?
«Pubblico la richiesta sulla mia pagina Facebook “Nawal Siriahorra”, che significa Siria Libera. Qualcuno degli altri attivisti italiani poi fa davvero la ricarica».
Lei poi segnala tutto alla Guardia Costiera. Ma come fanno i profughi a fornire le coordinate esatte della posizione?
«Le trovano con gli smartphone che hanno il servizio Gps. Se non sanno come fare, glielo dico io. Urlo per farmi capire, chi sta dall’altra parte è nel panico e c’è il rumore del vento».
Riesce a comprendere cosa dicono?
«Per passione mi sono messa a studiare tutti i dialetti del mondo arabo, per questo capita anche che la Guardia costiera mi faccia partecipare a telefonate di gruppo con i migranti per quale sia la situazione a bordo».
Da quanto tempo fa questa vita?
«Sono impegnata nel sociale da quando avevo 14 anni. Ho anche un lavoro “vero”, faccio l’interprete presso tribunali e carceri siciliani. La prima barca con profughi siriani è arrivata in Sicilia tra il luglio e l’agosto 2013: li ho incontrati davanti al Cpa, ho preparato vestiti per i bimbi, ho spiegato loro quali erano i loro diritti e cosa fare per evitare gli scafisti di terra...».
Scafisti di terra?
«Quelle persone che girano nei pressi di stazioni e porti e offrono biglietti e passaggi per Milano a 500 euro o più».
Vestiti, cibo, biglietti, ricariche... dove trova i soldi?
«Promuovo raccolte ogni settimana, su Facebook. Sono in contatto con altri attivisti, abbiamo un deposito. La chiamo “accoglienza zero”: quando hai due o tre euro in tasca, puoi comprare palloncini e farci giocare i piccoli profughi».