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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

Un democratico alla Casa Bianca contro un Campidoglio repubblicano. Da oggi e per i prossimi due anni, ogni giorno a Washington sarà segnato dai duelli fra il Obama e il nuovo Congresso di destra

Ambiente, immigrazione, diritti dei lavoratori, Cuba: da oggi è guerra a tutto campo fra Barack Obama e il Congresso. Si comincia subito col progetto più odiato dagli ambientalisti, XL Keystone, il maxi-oleodotto che dovrebbe trasportare petrolio dal Canada al Golfo del Messico attraversando gli Stati Uniti. Una follia, un disastro per l’ambiente, un assurdo anche economicamente ora che il prezzo del petrolio sta crollando, secondo l’ala “verde” del partito democratico. I repubblicani, da sempre legati alla lobby dell’energia fossile, vogliono metterlo ai voti già questa settimana. Sfidando così su un dossier molto simbolico Obama: metterà il suo veto qualora il Congresso dia il via libera all’oleodotto?
Da oggi e per i prossimi due anni, ogni giorno a Washington sarà segnato dai duelli fra il potere esecutivo e il ramo legislativo. Oggi infatti s’insedia il Congresso “monocolore”, il primo da otto anni in cui la destra controlla sia la Camera sia il Senato. E dunque a partire da oggi per l’ultimo biennio presidenziale di Obama il potere politico sarà perfettamente bicefalo, un democratico alla Casa Bianca contro un Campidoglio repubblicano (Capitol Hill, la collina del Campidoglio, a Washington è la sede delle assemblee legislative). I casus belli sono innumerevoli, l’intelligenza tattica sta nello scegliere le battaglie giuste. Perché mentre Congresso e presidente si fanno dispetti e sgambetti, intralciandosi a vicenda, tutti hanno gli occhi puntati sulla posta finale: il novembre 2016, l’elezione presidenziale. Mitch McConnell, il leader di maggioranza repubblicano che da oggi guida il Senato, ha lanciato questa parola d’ordine ai suoi: «Non dobbiamo fare paura». In altri termini: se l’egemonia della destra al Congresso si traduce in una pura ossessione distruttiva – smantellare tutto ciò che ha fatto Obama da sei anni in qua – alla fine questa funzione puramente negativa può ritorcersi contro i repubblicani. E regalare per un altro quadriennio la Casa Bianca a un democratico.
I repubblicani non la pensano tutti così. McConnell, così come il suo omologo John Boehner che è il presidente della Camera, rappresentano l’establishment del partito. L’ala più oltranzista, che fa capo al Tea Party, li considera troppo moderati. Le truppe parlamentari del Tea Party vogliono andare alla resa dei conti contro Obama. La lista dei bersagli è lunga. I repubblicani hanno annunciato che toglieranno i fondi alla Homeland Security (superministero dell’Interno da cui dipende anche il controllo delle frontiere) affinché sia incapacitata ad applicare la riforma Obama sull’immigrazione: la graduale regolarizzazione di 5 milioni di immigrati senza documenti. In politica estera, sempre usando l’arma principale del Congresso che è la sua sovranità in tema di bilancio, alcuni repubblicani vogliono negare i fondi per l’apertura dell’ambasciata americana all’Avana. C’è anche la possibilità di un ulteriore inasprimento delle sanzioni contro l’Iran, per ostacolare i negoziati tra Obama e Rouhani sul programma nucleare di Teheran. Né può mancare la “bestia nera” per eccellenza, quella riforma sanitaria di Obama contro la quale i repubblicani hanno promesso guerra totale, senza tregua fino alla sua abrogazione. Un altro tema ambientale fa capolino, oltre all’oleodotto XL Keystone: sono le normative più severe varate da Obama per ridurre le emissioni di CO2 da parte delle centrali elettriche. Fedeli anche qui alle parole d’ordine degli industriali del settore, i repubblicani vogliono cancellare i limiti recenti alle emissioni. Cosa che saboterebbe anche l’accordo raggiunto a novembre tra Obama e il presidente cinese Xi Jinping, il primo passo avanti sulla lotta al cambiamento climatico dopo anni di stallo fra le superpotenze. C’è anche nell’agenda della destra un ammorbidimento delle regole anti-speculazione su Wall Street.
Ma Obama come reagirà a questa raffica di votazioni “anti” che il Congresso prepara per svuotare la sua eredità? La Casa Bianca non ha l’intenzione di subire, anzi. La strategia del presidente è chiara: reagire passando alla controffensiva, usando il veto; e moltiplicando gli atti esecutivi che by-passano il legislatore. In sostanza, è il modello di azione che Obama ha già messo alla prova sull’immigrazione e su Cuba. Visto che il Congresso non gli passava una vera riforma dell’immigrazione, Obama ha usato al massimo la potestà di regolamentazione dell’esecutivo, per offrire la semi-sanatoria agli immigrati. E visto che il Congresso non abrogava l’embargo su Cuba, lui ha fatto ciò che è in suo potere per aprire una nuova stagione diplomatica. I prossimi atti dell’esecutivo saranno nuovi limiti all’inquinamento, nuove regole sulla sicurezza alimentare e la tutela della salute dei consumatori, nuove direttive per la protezione dei lavoratori e il pagamento degli straordinari. Nonché la cosiddetta Net Neutrality, una normativa che impedisca la nascita di un Internet “a due velocità”.
Anche Obama deve calcolare i rapporti di forze, scegliere su quali terreni andare all’attacco frontale, su quali cercare il compromesso. Il presidente avrà bisogno dei repubblicani su alcuni temi: per esempio le nomine (tra cui il nuovo ministro della Giustizia, il nuovo ministro della Difesa, e l’ambasciatore a Cuba) sulle quali l’approvazione del Senato è necessaria.