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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

Pablo Iglesias e Alexis Tsipras, i leader che hanno unito le loro sinistre contro l’austerity. E potrebbero farcela. Ritratto di due quarantenni (o quasi) che vogliono cambiare il loro Paese e l’Europa, senza cravatta

Vederli abbracciati a novembre nel Teatro Nuevo Apolo di Madrid ha dato i brividi a molti. Pablo Iglesias era appena stato eletto segretario del nuovo partito spagnolo Podemos con quasi 100 mila voti online. Alexis Tsipras, leader del partito Syriza, era arrivato apposta dalla Grecia per sancire la prima alleanza programmatica antiausterity d’Europa. Su quel palco dal nome evocativo non c’erano due anti sistema qualsiasi, ma i capi di formazioni che i sondaggi danno vincenti nei rispettivi Paesi. Tsipras potrebbe arrivare al governo di Atene già con il voto del 25 gennaio. Iglesias avrà le sue possibilità in Spagna entro fine anno. «Il 2015 sarà l’anno del cambio in Europa – ha proclamato il padrone di casa —. E cominceremo con la Grecia».
Pablo e Alexis sono contro il rigore finanziario, i sacrifici sociali, i tagli al Welfare, ma anche entrambi a favore di politiche sociali per disoccupati e sfrattati, più aiuti di Stato alla ripresa dell’occupazione e per una ristrutturazione concordata del debito. E che i padroni dei mercati internazionali se ne facciano una ragione: la politica, per Pablo e Alexis, ha la priorità sulla finanza.
Quei molti che hanno tremato li considerano pericolosi comunisti o quanto meno populisti che con le «loro facili soluzioni a problemi complessi» si preparano a distruggere l’euro con quel che ne seguirà in termini di spread, recessione e destabilizzazione della casa comune europea. Per altri sono invece quell’alternativa che mancava al pensiero unico anti deficit e antinflazione che ha dominato l’Europa dal 2008 a oggi. Fa specie che fra questi ultimi ci sia anche il Financial Times che bolla il tandem Syriza-Podemos come «gli estremisti che potrebbero salvare l’eurozona».
Pablo e Alexis hanno il crisma dei rivoluzionari predestinati. Entrambi nascono nell’anno in cui il loro Paese torna alla democrazia dopo la dittatura militare, il ’74 per la Grecia, il ’78 per la Spagna. Lo spagnolo porta addirittura il nome del fondatore del partito socialista locale, esplicito omaggio dei genitori. Il greco non ha dubbi sin da ragazzo e milita tra i giovani comunisti. Sono belli, telegenici e con la parlantina brillante, capaci di sintonizzarsi con quella parte di società che i partiti tradizionali hanno lasciato orfana. Gemelli separati? Sarebbe come dire che Grecia e Spagna sono uguali perché condividono (assieme ad altri) corruzione, evasione fiscale e debolezza del tessuto industriale.
Pablo Iglesias è un professore di scienze politiche. Un teorico che sa affascinare con il gusto rétro della coda di cavallo e l’analisi di un malessere a cui mancava persino il coraggio di esprimersi. Podemos nasce dal movimento degli Indignati, ma ha nel nome un richiamo, democraticamente ineccepibile, al «Yes, we can» del primo Barack Obama.
Alexis Tsipras ha la solidità della sua laurea in ingegneria e la forza magnetica di chi ha saputo vincere tutte o quasi le elezioni a cui si è presentato sin dalla prima, per il Comune di Atene, nel 2006. Guida quello che era un mosaico di relitti della storia (trotskisti, leninisti, eurocomunisti, maoisti), ma con lo sforzo di elaborare soluzioni originali alla crisi economica dal vocabolario del partito certe parole sono scomparse. In fondo, il programma interno di Syriza ha un ardore socialdemocratico anni 70 genericamente keynesiano.
Iglesias e Tsipras sono due anticasta ancora coerenti e senza cravatta, uno viaggia in metrò, l’altro in Vespa. Sono figli della gratuità della Rete, ne sanno sfruttare le potenzialità, Pablo ha impostato una cibercrazia di partito riuscendo a costruire una struttura dal nulla in pochi mesi.
Alexis che era già una stella della sinistra continentale quando Pablo era solo un assistente universitario, ha tentato di uscire via Internet dai confini greci per le elezioni europee di maggio. Lo sbarco in Italia non ha dato grandi risultati, ma è il metodo che conta.
Pochi giorni fa, Pablo Iglesias ha scritto: «Alexis sa come noi che vincere le elezioni non è prendere il potere e che i margini di manovra nell’attuale, ineludibile quadro europeo sono piccoli». Vecchi rivoluzionari o nuovi riformisti?