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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

Tutti i dubbi sul metodo Renzi, dal fisco al Quirinale. Ancora una volta uscito dall’impaccio del Salva-Berlusconi con successo ma ora serve chiarezza. Anche sul consiglio dei ministri della vigilia di Natale

Anche se fosse solo un «incidente di percorso», la norma che depenalizzava le frodi fiscali sotto una certa soglia deve suonare come un campanello d’allarme per alcuni metodi del «renzismo». Il primo problema è il Consiglio dei ministri. Nel quale evidentemente, per fretta, timidezza o esibizione di decisionismo, le norme non si discutono più collegialmente con la necessaria attenzione; oppure i titolari dei dicasteri non sorvegliano ciò che accade dopo la riunione del Consiglio, nei margini di discrezionalità aperti dalla formuletta «salvo intese». 
Il secondo problema è l’eccesso di leggi delega, che lasciano le mani dell’esecutivo un po’ troppo libere di legiferare al posto del Parlamento, ridotto ad esprimere semplici pareri consultivi. Il terzo problema è la responsabilità dei civil servants, qui da noi chiamati burocrati, accusati spesso dal premier di frenare: funzione che questa volta si sarebbe invece rivelata utilissima, se qualcuno l’avesse esercitata. L’ultimo problema consisterebbe in una rivalutazione dei cosiddetti gufi, perché meno male che in giro c’è qualcuno che i testi li legge, a differenza dei ministri che li approvano. 
In ogni caso, Renzi è uscito dall’impaccio come al solito con successo nei confronti dell’opinione pubblica: agli italiani cui la norma piaceva ha fatto sapere che l’aveva voluta lui, e a tutti gli altri che è stato lui a toglierla.
Resta però una nota stonata nella sommaria ricostruzione degli eventi finora fornita, e che ci costringe a tornare sull’argomento. Sia Renzi sia Berlusconi hanno fatto esplicito riferimento al patto del Nazareno, l’uno per negare che la norma ne facesse parte, e l’altro per affermare che era stata inserita ad arte proprio per farlo saltare. 
Il presidente del Consiglio ha anzi aggiunto una cosa che in un Paese appena più pignolo sull’uso del potere pubblico avrebbe fatto sensazione. Ha detto cioè che sospende la norma e la riproporrà solo dopo l’elezione del futuro presidente della Repubblica.
Legare così una legge dello Stato che vale erga omnes a un’operazione politica, anche se solo per allontanare i sospetti, rischia di accrescerli invece che dissiparli. Perché aggiunge un ulteriore elemento di pressione su Berlusconi, sui «grandi elettori» di Forza Italia e sull’intero Parlamento: dopo l’ipotesi di una riforma elettorale postdatata al 2016, la depenalizzazione fiscale con la clausola post quem. 
La necessaria e sacrosanta ricerca alla luce del sole di larghe alleanze per l’elezione del capo dello Stato inizia insomma ad appesantirsi di troppi sospetti do ut des. Per toglierli di mezzo, è opportuno tirar fuori manine e manone da sotto il tavolo e giocare a carte scoperte. Cominciando con il chiarire in maniera convincente che cosa è successo nel Consiglio dei ministri della vigilia di Natale.