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 2015  gennaio 05 Lunedì calendario

I profughi nel mondo sono 16,7 milioni. In Italia sono aumentati del 400 per cento. L’era dei sans papier

Che fine ha fatto Tamir Abu Daher? Nella marea dei 16 milioni 700 mila migranti che si sono mossi nel 2014, lui è una gocciolina sciolta nel Mediterraneo o forse nascosta in un centro d’«inaccoglienza» o chissà dove. Di sicuro non ce l’ha (mai o ancora) fatta. Nato profugo e calciatore a Gaza, una volta aveva giocato nella nazionale della Palestina. A settembre, dopo la guerra, aveva detto basta: tre figli da crescere, niente da guadagnare. Gli ultimi 2.500 dollari per un posto barcone, se n’era andato solo. Giù per i tunnel, su fino ad Alessandria d’Egitto. Finalmente salpato. E subito affondato. Dove diavolo è finito, Tamir? «Io so che non è morto – fingeva di crederci il fratello Abdel, quando siamo andati a trovarlo nel campo di Al Maghazi e la famiglia ci accoglieva come fossimo lì per le condoglianze —. Un mio amico dice d’averlo visto su un tg greco. Magari si fa passare per siriano. Forse è arrivato in Svezia. Sai che tanti si rifanno vivi anche dopo anni?... Un giorno lo troverò a fare quel che sognava: l’allenatore in Italia». 
Mare mostro. Per saperlo non c’è bisogno dell’organizzazione intergovernativa che s’occupa dei migranti (l’Oim), ma ora è nero su bianco nel suo rapporto: negli ultimi 70 anni, non ci sono mai stati al mondo tanti Tamir come nel 2014. Quasi 17 milioni che si sono spostati verso un altro Paese, 33 milioni 300 mila sfollati dentro i confini, un milione 67.500 d’iracheni, afghani, eritrei che hanno chiesto asilo in Germania, Francia, Svezia... Le bombe, Ebola, la povertà, i disastri naturali. «Numeri senza precedenti – dice il portavoce Leonard Doyle —. Era dalla Seconda guerra mondiale che non si vedeva una cosa simile. Ma allora si scappava dall’Europa: ora è il contrario». Oggi non c’è nemmeno il passaporto Nansen, quel lasciapassare che la Società delle Nazioni escogitò per aiutare chi fuggiva da Stalin o da Hitler: navi fantasma, stive di clandestini, ora ci si volta dall’altra parte e non si pensa ad altre misure. 
«La tendenza dei governi europei è di dare la colpa solo alle condizioni economiche», accusa Doyle: un buon sistema per avere la scusa d’accogliere solo 25 siriani al mese, come fa il governo britannico. «Le cose invece stanno diversamente: questi sono profughi politici. Se è solo la povertà a far scappare, perché i flussi aumentano ogni volta che esplode un conflitto? Due settimane dopo la guerra, da Gaza ne uscivano come non era mai successo. E lo stesso dall’Eritrea: nel 2013 arrivavano a migliaia, proprio nel momento più acuto di crisi». «L’Italia ha chiuso l’operazione Mare Nostrum – ha detto prima di Natale il direttore generale dell’Oim, William Lacy Swing —, ma l’operazione Triton che ha preso il suo posto, per quanto encomiabile, copre un’area troppo piccola» di quest’emergenza: quest’anno, i morti nel Mediterraneo sono stati 3.224, il 66% del totale (4.868), quattro volte di più che nel 2013. Eanche l’Italia ha dovuto assistere un numero di disperati, 45 mila, quattro volte superiore all’anno precedente. 
I numeri non dicono tutto. «Andarsene – commenta l’Oim – è la fuga da un dramma verso un altro dramma: quello della perdita d’identità, in Paesi che ormai antepongono l’ostilità all’accoglienza». L’Egitto, che solo all’inizio del caos aprì a 300 mila damasceni, è diventato un carcere per tutti i sans papier. La Giordania e il Libano ospitano un quinto dell’intera popolazione siriana. In Turchia, la xenofobia è endemica. In Libia, i migranti restano in attesa per anni. Popoli interi senza identità e dignità, ha denunciato il Papa. Quello che nel dopoguerra Luigi Meneghello chiamava «il dispatrio». Una cosa più profonda della semplice migrazione e che nei nostri Cie conoscono bene: la tua vita interiore che aspetta un futuro e invece a poco a poco emigra da te, come tu sei uscito dal tuo mondo.