Corriere della Sera, 5 gennaio 2015
Lo scandalo del viadotto crollato. La Statale che va da Palermo ad Agrigento è durata sette giorni. Poi un tratto di manto stradale è ceduto. È costato 13 milioni di euro, ma da Natale non è arrivato a San Silvestro
Era stato aperto alle auto due giorni prima dello scorso Natale: ha retto una sola settimana. Il viadotto della Statale che va da Palermo ad Agrigento, costato 13 milioni, è crollato il 30 dicembre. Scatenando l’ira del premier Matteo Renzi: «Chi ha sbagliato pagherà tutto». L’Anas ha fatto sapere di aver subito aperto un’inchiesta.
Che un viadotto costato 13 milioni duri 7 giorni dall’apertura perché cede un tratto di manto stradale non può essere considerato normale. Siamo però in Italia, dove nessuna opera pubblica è realizzata in modo normale.
Oggi non abbiamo elementi per affermare che cosa sia andato storto in questo caso e di chi sia la responsabilità. Ma nessuno si stupirebbe se si venisse a scoprire che c’è stata qualche carenza tecnica rilevante, magari negli studi sul terreno, nel progetto o nelle stesse procedure di gara. Anche le pietre sanno come vanno le cose negli appalti pubblici. I bandi sono fatti spesso male, per non dire malissimo. Talvolta anche i progetti sono carenti, con gli esecutivi che sono impercettibilmente più dettagliati dei definitivi e gli esperti conoscono bene quanto sia importante questo fatto.
Il motivo è semplice: se i bandi fossero scritti con le mani anziché con i piedi e i progetti esecutivi fossero perfetti, non ci sarebbe bisogno delle varianti in corso d’opera. Né del contenzioso infinito che accompagna regolarmente ogni opera pubblica piccola e grande. E neppure degli arbitrati. Con il risultato che i costi sarebbero più umani, l’esecuzione più rapida e il prodotto migliore. Il caso della linea C della Metro di Roma, con le sue 45 (quarantacinque) varianti dice tutto. Come dice tutto il costo di un chilometro di autostrada o di ferrovia ad alta velocità, che in Italia è triplo rispetto a Francia o Spagna. Per non parlare delle 395 (tante ne sono state censite) opere mai finite, delle quali 150 nella sola Sicilia.
Né si può trascurare un altro aspetto decisivo. Chi fa il collaudo di un lavoro pubblico spesso riceve quel compito per ragioni diverse dall’effettiva competenza, più legate alla retribuzione che l’incarico porta con sé. Incarico, peraltro, che non dà luogo all’effettiva assunzione di responsabilità. Con la conseguenza che alla fine, nonostante le laute prebende, chi ha messo il bollino su un ponte, un viadotto o una strada mai viene chiamato a rispondere. Queste cose le sappiamo da 20 anni, ma nessuno ha mai voluto cambiare le regole. Ci sarà un motivo?