la Repubblica, 5 gennaio 2015
Finiti i tempi dei giovani che cambiavano il mondo da un garage. Il Pil cresce ma la percentuale dei ventenni imprenditori è ai minimi storici. L’America non è più la culla delle start-up. Ed è colpa è di Google e Apple
Dici innovazione e pensi subito al garage di una villetta sulla Crist Drive a Los Altos, California: dove nel 1976 Steve Jobs e Steve Wozniak crearono Apple. Ma il mito del garage, dove un gruppo di ragazzini fondano la start-up che conquisterà il mondo, corrisponde sempre meno alla realtà. Anche la Silicon Valley mostra le rughe. Per quanto rimanga un modello unico al mondo, capace di attirare talenti dall’Italia o dalla Cina, la Silicon Valley di oggi non è più quella dei Bill Gates, Steve Jobs, Larry Page e Sergei Brin (Google).Una ricerca compiuta dalla Federal Reserve, la banca centrale americana, rivela che la percentuale di ventenni che possiedono un’impresa ha toccato il minimo da un quarto di secolo. Il trend storico è in costante diminuzione. Venticinque anni fa i ventenni-imprenditori erano il 10,6% del totale; nel 2010 erano scesi al 6,1%; l’anno scorso solo il 3,6%. Il Wall Street Journal presenta lo studio della Federal Reserve con un titolo allarmante: “Una specie in via di estinzione: il giovane imprenditore”. Il quotidiano economico invita a «rivedere lo stereotipo sui ventenni come una generazione con un forte spirito imprenditoriale, senza timore del rischio».L’indagine della Fed coincide con i risultati di altri studi. Uno è quello citato da Fareed Zakaria nell’articolo qui a fianco. L’autore è l’economista Robert Litan della Brookings Institution. La sua ricerca s’intitola “Che cosa provoca il calo nella formazione di nuove imprese” ed è riassunta sulla rivista Foreign Affairs. Un altro studio è firmato dalla Ewing Marion Kauffman Foundation: dimostra che la generazione fra i 20 e i 34 anni in America rappresenta “solo” il 22,7% delle nuove aziende, contro il 26,4% nel 2003.Ho messo tra virgolette il “solo”, per ribadire che tutto è relativo. L’America, e al suo interno la California in particolare, resta una terra promessa per i fondatori di start-up. Il 2014 è stato un anno d’oro del venture capital: +60% nei finanziamenti verso le neonate imprese innovative. Il capitale di rischio specializzato nella ricerca di idee che possono rivoluzionare la tecnologia e i mercati ha raggiunto nuovi record. L’ultima a ricevere un’alluvione di finanziamenti è stata Snapchat, l’app per gli smartphone che consente di mandare agli amici delle foto che si autodistruggono, eliminando ricordi che un giorno potremmo trovare compromettenti. Ha ricevuto 486 milioni di dollari di venture capital, un finanziamento che la valuta 10 miliardi prima ancora che sia quotata in Borsa. Somme molto superiori erano già state raccolte nel corso del 2014 da Uber (la nemesi dei tassisti di tutto il mondo) e da Airbnb, il servizio di affittacamere online. C’è chi parla di una nuova bolla dell’economia digitale, viste le quotazioni stratosferiche di queste start-up.Ma gli studiosi invitano a guardare dietro le apparenze. I freddi numeri parlano chiaro, l’epoca d’oro delle start-up, quella di Gates e Jobs, vide un ritmo ben superiore di creazione di nuove imprese da parte di “geni ragazzini”. Inoltre non tutte le start-up sono altrettanto rivoluzionarie, non tutte le invenzioni segnano svolte storiche. Un conto è creare il personal computer o il primo smartphone. Altra cosa è l’invenzione di Twitter, che per molti utenti è solo un modo per esprimere banalità in 140 caratteri. Il mondo della finanza non fa distinzioni, può inondare di capitali qualsiasi tipo di app, se siamo in una bolla speculativa. Ma gli effetti sull’economia reale talvolta deludono. Il Pil americano galoppa, l’ultimo dato è +5%, e sotto Barack Obama sono stati creati più di 10 milioni di posti di lavoro. Solo una frazione dei nuovi assunti, però, sono ingegneri informatici della Silicon Valley; molto più numerosi i dipendenti dei fast-food a salario minimo. Che cosa manca oggi all’America, rispetto ai magici anni Settanta che videro nascere Microsoft e Apple? Lo studio di Robert Litan chiama in causa due fattori. Il primo è demografico. Per quanto gli Stati Uniti continuino ad avere una crescita della popolazione più dinamica rispetto ai Paesi europei, anche loro soffrono un calo delle nascite. Dunque hanno meno giovani, e meno incentivi a innovare: una società che invecchia perde colpi nella creatività. La seconda spiegazione per Litan chiama in causa proprio la generazione pre- cedente, i ragazzini degli anni Settanta e Ottanta. I Gates, i Jobs, i Page e Brin, hanno creato dei colossi, con appetiti monopolistici. L’esistenza di questi Moloch dell’economia digitale riduce gli spazi per le nuove start-up. Quando si affaccia un’innovazione tecnologica spesso viene assorbita nella pancia dei monopolisti che si affrettano ad acquisirne i brevetti.Questo allarme sul lento ma inesorabile declino degli imprenditori- ragazzini si ricongiunge con la diagnosi sulla “stagnazione secolare”. È un termine antico che già venne dibattuto dagli economisti negli anni Trenta. Lo ha rilanciato di recente un personaggio controverso, Larry Summers, in un importante discorso al Fondo monetario internazionale. Summers è inviso alla sinistra americana che lo considera uno degli artefici della deregulation finanziaria negli anni Novanta, quando fu segretario al Tesoro di Bill Clinton nell’era del neoliberismo trionfante. Poi da presidente di Harvard si fece cacciare per una frase anti-femminista, una battutaccia sulle donne poco dotate per la matematica. Resta tuttavia uno degli economisti più brillanti e autorevoli. E la sua tesi sulla stagnazione secolare ha provocato un dibattito mondiale. Anche Summers, riallacciandosi alle teorie degli anni Trenta, mette in stretta correlazione la demografia e l’innovazione. Crescita della popolazione e capacità d’inventare, sostiene, sono stati i due motori dello sviluppo economico dalla Rivoluzione industriale ai nostri giorni. Oggi il primo motore perde colpi quasi in tutto il mondo. Non solo la vecchia Europa, ma anche gli Stati Uniti e la Cina subiscono un invecchiamento demografico. Perché questo non si traduca in una stagnazione irreversibile, il progresso tecnologico dovrebbe addirittura accelerare. Ma in una società che invecchia è improbabile che questo avvenga. Tra le motivazioni che spingono i neoimprenditori a creare delle startup, occorre vedere un futuro di crescita della domanda per i prodotti e i servizi.Che cosa può fare l’America per tornare a essere la terra dei “garage” dove i ventenni creano le imprese del futuro? Obama ha già fatto una mossa significativa sul fronte della demografia. Sfidando l’ira dei repubblicani, proprio all’indomani della disfatta elettorale del suo partito, il presidente ha varato una serie di atti esecutivi che facilitano l’immigrazione qualificata. Se n’è parlato meno, rispetto all’altro versante della sua riforma: la legalizzazione di 5 milioni d’immigrati senza documenti. Ma l’altro provvedimento, contestuale, velocizza i visti H1-B che sono quelli con cui la Silicon Valley accoglie ingegneri informatici dalla Cina e dall’India, dall’Italia e dalla Francia. Più problematico è affrontare l’altro freno all’innovazione denunciato da Robert Litan, e cioè la prepotenza monopolista dei Padroni della Rete: Apple, Google, Amazon, Facebook. Qui ci vorrebbe un nuovo Ted Roosevelt, il presidente che sfidò i monopoli del primo Novecento (ferrovie, miniere, acciaio). L’antitrust Usa è stato indebolito dai repubblicani per partito preso pro-capitalisti; ma anche i democratici stentano a mettersi contro quei Padroni della Rete tanto liberal, ambientalisti e generosi di finanziamenti elettorali.