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 2015  gennaio 02 Venerdì calendario

Greta e Vanessa in mano ad Al-Nusra. I sequestratori alzano la posta e le due cooperanti rapite in Siria a luglio, in un video, supplicano il Governo di riportarle a casa

La Stampa,
Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti lombarde rapite in Siria alla fine di luglio, sarebbero nelle mani degli jihadisti di al Nusra. A poche ore dal video diffuso su YouTube, nel quale le ragazze si dicono in pericolo e chiedono aiuto a Roma, arriva la rivendicazione del portavoce del gruppo qaedista Abu Fadel: «Abbiamo noi le donne italiane, perché il loro Paese sostiene gli attacchi contro di noi in Siria». Come gli ex alleati dell’Isis con i quali oggi si contende la leadership della guerra contro Assad, al Nusra è da settembre sotto il tiro dei raid della coalizione internazionale capitanata dagli Usa. 
Greta e Vanessa dunque, diversamente da Foley, Sotloff e gli altri ostaggi decapitati nelle scorse settimane, non sarebbero prigioniere del Califfato. Dopo oltre 5 mesi di silenzio il ristoratore bergamasco Salvatore Marzullo si commuove, «felice» per la notizia che la figlia 21enne sia viva. Ma pur confermando l’autenticità del video, gli 007 italiani non si sbilanciano, limitandosi a spiegare che «la trattativa è in una fase delicatissima». E i tratti tiratissimi delle ragazze avvolte nell’abaya nera che lascia scoperto solo il viso smunto confermano quanto la Siria sia in questo momento una realtà assai diversa dalla frontiera dell’aiuto umanitario da loro vagheggiata ai tempi della militanza in Horryaty, l’associazione fondata dal 47enne Roberto Andervill per assistere i civili siriani.
Il sequestro
Del sequestro, ricostruito in parte dal quotidiano libanese «Al Akhbar», si conoscono pochi particolari. Quando i miliziani le catturano, le due cooperanti, conosciutesi durante le manifestazioni anti Assad, sono già state in Siria. La prima volta, nel febbraio 2013, passano attraverso la Turchia e portano medicine a Idlib. A luglio 2014 invece entrano da Atma e puntano su Aleppo. Le loro tracce si perdono nel villaggio di Abizmu, dove, secondo al Akhbar, vengono «attirate» in casa del «capo del consiglio rivoluzionario locale» da «un attivista» contattato via Internet, rapite e poi «vendute» a un gruppo di ribelli predoni per essere in futuro «rivendute».
La prudenza dell’Italia
La Farnesina, che a maggio era riuscita a riportare a casa dalla Siria il cooperante Federico Motka e che da oltre un anno cerca la chiave per il sequestro del gesuita padre Paolo Dall’Oglio, chiede discrezione.
Il messaggio
L’intelligence ritiene autentico il video ma avanza dubbi sulla data (17/12/14) indicata nel biglietto tenuto in mano da una delle due mentre l’altra a occhi bassi legge il testo preparato: «Siamo Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, supplichiamo il nostro governo e i suoi mediatori di riportarci a casa prima di Natale. Siamo in grave pericolo e potremmo essere uccise. Il governo e i mediatori sono responsabili delle nostre vite». Un secondo dubbio riguarda la rivendicazione di al Nusra che finora aveva cercato di non eguagliare in barbarie i rivali-compagni dell’Isis per accattivarsi la popolazione. Qualcosa potrebbe essere cambiato forse anche alla luce dell’appello ai «lupi solitari» (invitati ad attaccare aerei occidentali) fatto pochi giorni fa da al Qaeda. 
Greta e Vanessa sono ostaggio della guerra settaria che solo nel 2014 ha ucciso in Siria 78 mila persone (la metà civili), ma sono ostaggio soprattutto dei vaghi ideali sposati quando, studentesse innamorate dell’umanitario, partecipavano alle manifestazioni a favore dei ribelli nelle quali, paradossalmente, s’inneggiava anche a «eroici battaglioni» vicini ad al Nusra.
Francesca Paci


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La Stampa
Sessantacinque milioni di dollari: è l’ammontare delle entrate registrate dallo Stato Islamico nell’anno appena trascorso grazie a sequestri in Siria ed Iraq. 

A documentare il business dei rapimenti da parte del Califfato è il recente rapporto «The Islamic State» confezionato dal Soufan Group di New York grazie a una task force guidata da Richard Barrett, l’ex analista dell’MI5 britannico che per nove anni ha condotto la task force dell’Onu sul contro-terrorismo. Le informazioni raccolte descrivono come Abu Bakr al Baghdadi gestisca un business capillare sui circa 250 mila chilometri quadrati di territorio controllato dai propri miliziani. L’intento è di sequestrare, stranieri o locali, al fine di ottenere denaro liquido e ciò avviene spesso attraverso gruppi jihadisti alleati o apparentati allo Stato Islamico, come nel caso di Jubhat al Nusra in Siria. Se è Isis a gestire i sequestri con maggiori risvolti politici o di propaganda spetta infatti a questi gruppi jihadisti condurre trattative di ostaggi tese a ottenere riscatti necessari ad alimentare le casse dell’organizzazione. 
I migliori pagatori
Fra gli stranieri più «ambiti» vi sono quelli di Paesi noti per pagare i riscatti, come per esempio la Francia dalla quale i gruppi jihadisti hanno ottenuto una cifra stimata attorno ai 18 milioni di dollari. Si tratta del Paese considerato il «migliore pagatore», non solo in Medio Oriente ma anche in Nordafrica, seguito dai sequestri di facoltosi leader locali – in Siria o in Iraq – perché clan, tribù e famiglie non esitano a versare le cifre richieste. Al Baghdadi era convinto che anche l’amministrazione Obama avrebbe accettato di pagare per ottenere la liberazione dei connazionali catturati – da James Foley a Steven Sotloff – fino al punto da aver comunicato alle rispettive famiglie l’entità dei riscatti che, secondo fonti arabe non confermate, si aggiravano sui 15 milioni di dollari a testa. 
Solo dopo la formale presa di posizione del Segretario di Stato, John Kerry, contro ogni tipo di trattative, lo Stato Islamico ha dato luce verde alle esecuzioni affidando poi all’ostaggio britannico John Cantile il compito di ricostruire in un video la dinamica dell’impossibilità di raggiungere un’intesa sul riscatto tanto con il governo di Washington che con quello di Londra. Anche a esecuzione di Foley avvenuta, il Califfo ha tuttavia continuato a tentare di ottenere soldi dagli Stati Uniti, facendo sapere di essere disposto a restituire le salme dei decapitati in cambio di almeno un milione di dollari a persona. 
Le trattative con gli Usa
Tale determinazione nell’ottenere liquidi nasce dalla necessità, documentata nel rapporto del Soufan Group, di avere il denaro necessario per pagare gli stipendi ai miliziani jihadisti, ognuno dei quali riceve mensilmente una cifra fra 200 e 600 dollari in base a grado e mansioni svolte. Se le entrate dello Stato Islamico conseguenti alla vendita di greggio servono per mantenere l’organizzazione – a cominciare dagli acquisti di armi – grazie a entrate stimate in 3 milioni di dollari al giorno, sono i proventi di riscatti, vendita di opere d’arte trafugate e imposizione di dazi sulle merci a far affluire nelle casse jihadiste quanto serve per alimentare le forze paramilitari ed anche una struttura amministrativa cresciuta di dimensione grazie alle 18 province (Welayat) che oggi si estendono dalla periferia di Aleppo in Siria a quella di Baghdad in Iraq.
La propaganda in Rete
Quando gli ostaggi hanno un valore politico o appartengono a nazioni che non pagano, la gestione passa nelle mani del «Consiglio della Shura», i sei misteriosi membri che affiancano il Califfo, che prima di dare l’ordine per l’esecuzione affida la comunicazione al «Media Council» del Califfato al fine di ottimizzare la gestione su Internet per promuovere propaganda ideologica e reclutamento di volontari. È questa la genesi della scelta che ha portato il «Media Council»a diffondere una lunga confessione scritta di Muath Safi al-Kaseasbeh, il pilota giordano abbattuto sulla Siria, ricorrendo poi ad un hashtag per chiedere via Twitter suggerimenti su «come ucciderlo» con il risultato di ottenere oltre mille retwitts, a dimostrazione della popolarità dell’iniziativa.
Francesca Paci
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Corriere della Sera,
È la prova che sono vive, stanno bene e non sono nelle mani dell’Isis. Ma è anche lo strumento che serve a fare pressione, a lanciare un segnale chiaro sulla necessità di portare a termine al più presto la trattativa. Un avvertimento per dire che il prezzo del riscatto potrebbe alzarsi o addirittura che le due ragazze potrebbero essere «vendute» a un migliore offerente. Ecco perché, dopo la comparsa su YouTube del video che mostra Vanessa Marzullo e Greta Ramelli avvolte nel chador nero mentre lanciano una supplica al governo italiano, gli apparati di intelligence e la Farnesina hanno chiesto «massimo riserbo, siamo in una fase delicatissima». 
Esattamente cinque mesi dopo la cattura avvenuta in una zona vicino ad Aleppo, in Siria, i rapitori delle giovani cooperanti italiane cercano di chiudere la partita e lo fanno nella maniera più eclatante dopo un sequestro segnato invece dal silenzio assoluto anche quando gli estremisti dell’Isis mostravano le immagini degli ostaggi decapitati e lanciavano il loro proclama contro l’Occidente. Il timore è che si apra un vero e proprio mercato dagli esiti imprevedibili. 
Il messaggio 
È Greta a leggere il testo in inglese evidentemente preparato dai sequestratori, Vanessa tiene in mano un foglietto strappato da un quaderno a quadretti con la scritta «17-12-14 Wednesday»: «Siamo Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Supplichiamo il nostro governo e i loro mediatori di riportarci a casa prima di Natale. Siamo in grande pericolo e possiamo essere uccise. Il nostro governo ed i mediatori sono responsabili delle nostre vite». Filmato «attendibile» per gli analisti che escludono il fotomontaggio ma nutrono dubbi sulla veridicità della data. È possibile che sia stato girato prima oppure in epoca molto più recente e che in realtà l’indicazione del giorno sia un segnale convenuto con chi sta negoziando. 
Poche ore dopo la diffusione del filmato su YouTube, un esponente del Fronte Al Nusra, formazione qaedista che risulta in contrapposizione con l’Isis, rilancia: «È vero, abbiamo le due donne italiane perché il loro Paese sostiene tutti gli attacchi contro di noi in Siria». Rivendicazione ritenuta «non attendibile» e vissuta come una sorta di interferenza. Secondo le indicazioni fornite dai mediatori le ragazze dovrebbero infatti essere nelle mani del Free Syrian Army, l’Esercito Siriano Libero, e non si esclude che altri gruppi stiano tentando di inserirsi nel negoziato. Soprattutto tenendo conto che nelle scorse settimane anche alcuni occidentali, semplici truffatori, si sono proposti come intermediari. 
Il mediatore
A metà dicembre – anche per questo la data indicata viene ritenuta un «segnale» – era arrivata la prova che le ragazze erano vive, ma la partita con i rapitori aveva subito una battuta d’arresto. Si era saputo che erano segregate in una casa «gestita» da donne, loro stesse avevano risposto ad alcune domande poste da chi tratta per conto del governo italiano e il «ritorno» con la risposta giusta aveva confermato che erano vive. Però il gruppo dei rapitori aveva sconfessato il proprio mediatore forse ritenendolo «non attendibile» e questo aveva fatto perdere tempo prezioso, soprattutto aveva esposto i negoziatori scelti dall’Italia a chiedere il rispetto delle condizioni già concordate. 
Il video sembra adesso rappresentare il via libera affinché la trattativa possa entrare nella fase finale con la consegna della contropartita. Ma la scelta di farlo pubblicamente, mostrando le due prigioniere con le vesti islamiche, viene vissuta con apprensione da intelligence e Farnesina proprio perché sembra anche un invito affinché chi può offrire un prezzo più alto si faccia avanti e prenda in consegna le ragazze avviando poi una nuova trattativa con l’Italia. Sia il Free Syrian Army sia Al Nusra sono all’opposizione rispetto all’Isis e questo fa escludere che i fondamentalisti riescano a entrare nella partita, ma anche questa eventualità va tenuta nel conto e per questo in queste ore ci si affanna per riuscire a chiudere l’accordo. 
L’analisi
Gli 007 dell’Aise e i carabinieri del Ros stanno effettuando l’analisi del video alla ricerca di un dettaglio utile. Ma l’attenzione è rivolta soprattutto a quella zona della Siria dove le ragazze sono segregate e anche alla strategia per portarle in salvo. 
In questo caso un ruolo decisivo può giocarlo la Turchia, che già in passato ha aiutato gli Stati occidentali nella fase del rilascio degli ostaggi. I contatti su questo aspetto sono attivi. L’urgenza riguarda adesso la capacità di fermare la corsa di chi sta tentando di aprire il gioco al rialzo. 
Fiorenza Sarzanini
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Corriere della Sera
In video davvero breve per rilanciare il ricatto all’Italia usando le immagini di Greta e Vanessa, le due ragazze finite in mano ad una gang di rapitori. Appena 23 secondi di filmato con un audio di pessima qualità. Chi lo ha preparato non era troppo esperto o semplicemente gli bastava diffonderlo. Tanto i destinatari conoscono la sostanza, fatta di tre elementi: negoziato, prezzo, accordo. Un sentiero obbligato. 
La clip è ben lontana dalle scene con più telecamere usate dall’Isis. Appare più che altro un mezzo, rapido, essenziale. Una parete disadorna, sul pavimento delle coperte. 
Manca un logo di un gruppo, non c’è neppure un vessillo o una bandiera. Quelli di Al Nusra – che ieri sono usciti allo scoperto per rivendicare il rapimento – di solito imprimono il loro sigillo digitale sui filmati. Questione di prestigio e autenticità. I video servono durante il negoziato, ma hanno anche una funzione propagandistica nei mesi a seguire. Sono la prova di un’azione. Dunque è strano che non appaia la firma. Potrebbe essere solo una questione di fretta, il gruppo deve gestire altri sequestri, è impegnato. Oppure i predoni hanno un’affiliazione diversa. E Al Nusra non c’entra. Almeno per ora. 
Questa formazione, vicina all’ideologia di Al Qaeda, ha sempre mostrato «professionalità» nella gestione degli ostaggi. Quando nel 2013 ha rilasciato un gruppo di caschi blu, uno dei suoi uomini si è presentato allo scambio con un portatile attraverso il quale avrebbe verificato il bonifico di svariati milioni di dollari. Riscatto «raccolto» – si fa per dire – dall’intelligence del Qatar, mediatore fondamentale e interessato. 
Gli investigatori hanno poi accolto con qualche scetticismo quel foglietto con la data 17/12/14. Pochi numeri scritti a penna su un pezzo di carta poi mostrato nel video da Vanessa. Quell’indicazione risponde al vero? È un piccolo trucco dei sequestratori? E a quale scopo? Si presume che quando ci sono dei contatti – peraltro delicati – servano segnali chiari e convincenti per dimostrare la prova in vita di un ostaggio. 
Non era impossibile per gli uomini misteriosi trovare un metodo di datazione più efficace di quel misero pizzino. 
Altro aspetto è il volto delle cooperanti. Alcune fazioni – specie quelle più estreme – evitano di mostrarlo in quanto è proibito dalla religione. Una regola alla quale si sono sottomessi, talvolta, i qaedisti coinvolti nei sequestri di occidentali nel Sahel. 
Nessun limite invece per le studentesse catturate dai sanguinari di Boko Haram. Un dramma quasi dimenticato dopo l’iniziale mobilitazione. I killer che agiscono nel Nord-est della Nigeria hanno fatto indossare il velo nero alle liceali, stesso modus operandi seguito dai carcerieri di Vanessa e Greta. Del resto non avevano molta scelta. 
La gang di insorti-predoni doveva provare di avere in mano le due italiane, coprendone il viso avrebbe suscitato sospetti o dubbi. 
Infine il testo dell’appello. Stringato, poche battute per esercitare pressione su Paese e governo, spingere alla trattativa, dare un segnale di esistenza, rammentare i pericoli che incombono sulle ragazze in ostaggio. 
Un memo terribile affidato alle prigioniere, costrette a collaborare e probabilmente convinte che questa sia l’unica via possibile verso la libertà.
Guido Olimpio

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il Fatto Quotidiano
  Roberta Zunini   Dimagrite e rinchiuse nella macabra habaya, la tunica nera integrale, lunga dal capo alle caviglie, che le donne dei paesi musulmani più integralisti sono costrette a portare, Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le ventenni attiviste lombarde rapite in Siria 5 mesi fa dal gruppo islamista Al Nusra, sarebbero quindi ancora vive. Sempre che il video – riconosciuto autentico anche dalla nostra intelligence – sia stato davvero girato lo scorso 17 dicembre come i rapitori vorrebbero far credere dato che hanno messo in mano alle due volontarie un foglio con riportata a penna questa data.   NON ESSENDO però una pagina di giornale è infatti un’ipotesi ancora più possibile che il foglio riporti una data che non corrisponde a quella in cui è stato realizzato il video. Se così fosse, il video non sarebbe la cosiddetta prova in vita. Ma auspicando che invece lo sia, ci si domanda perché sia stato caricato su Youtube attraverso un link postato da un giornalista, dopo due settimane dalla sua realizzazione. Forse perché le trattative, seguite da qualche tempo direttamente dal governo nella persona di Marco Minniti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle Informazioni per la Sicurezza (servizi) e non più di fatto dalla Farnesina, si sono arenate. Poco prima di Natale, due aerei pare fossero già sulla pista pronti per decollare verso la Turchia, il Paese che confina con la Siria da dove Vanessa e Greta erano passate per andare a portare medicinali in una zona nei pressi di Aleppo. La dinamica del rapimento non è ancora del tutto chiara, ma è certo che le due ragazze siano state vendute da coloro che ritenevano invece essere guide locali fidate. Con loro c’era anche il giornalista del Foglio Daniele Raineri che invece è riuscito a fuggire, ma i dettagli non sono stati resi noti essendo in corso una riservatissima inchiesta della magistratura e per non mettere ulteriormente in pericolo le studentesse universitarie, che nel messaggio hanno detto di essere “in pericolo di vita” e per questo “supplicano le autorità italiane di riportarle a casa”.   Il significato reale della supplica può essere duplice: o Al Nusra si rende conto che Roma non vuole pagare il riscatto e dunque tenta di accelerare con le minacce il pagamento o, cosa più plausibile dato che il governo italiano ha sempre pagato e intende pagare a maggior ragione questa volta, che i jihadisti avvertano di essere pronti a riprendere le trattative interrotte.   UN’ALTRA IPOTESI è che attraverso il video, Al Nusra voglia mostrare al mondo di essere altrettanto temibile e spietata dell’Isis che ha fatto “incetta” di ragazzine per chiederne il riscatto o per ridurle a schiave sessuali dopo averle convertite. Il gruppo però ha più bisogno di soldi che di sacrificare due donne poco più che adolescenti solo “perché cittadine di un paese, l’Italia, che sostiene tutti gli attacchi contro di noi in Siria”, ha detto all’agenzia di stampa tedesca Dpa, Abu Fadel, un esponente del gruppo (legato ad al Qaeda, ndr) quando gli è stato chiesto di commentare il video. Che sia Al Nusra a detenerle è noto da tempo ma non c’era mai stata finora alcuna ammissione ufficiale e pubblica da parte dei jihadisti. “È vero, abbiamo le due donne italiane”, ha confermato per l’appunto Abu Fadel. “Siamo in una fase delicatissima   – ha commentato una fonte dell’intelligence italiana – dobbiamo tenere il massimo riserbo”. Resta il fatto che l’opinione pubblica non può essere tenuta all’oscuro di tutto. Un’oscurità diventata ancora più fitta dopo che i servizi hanno preso in mano il caso assieme alla presidenza del Consiglio.
Roberta Zunini