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 2015  gennaio 02 Venerdì calendario

Nazionale, il 2015 si prospetta un anno complicato. Tra un calendario pesante, stage facoltativi e le continue discussioni con i club, Conte è alla resa dei conti: «Mi pagano per non lavorare»

Carlo Tavecchio ha chiuso il 2014 all’insegna dell’ottimismo: il prossimo campionato finirà il 15 maggio per dare modo alla Nazionale di preparare nel migliore dei modi il primo Europeo a 24 squadre, gli stage si faranno e Conte (di conseguenza?) resterà almeno sino a Francia 2016. Potrebbe anche finire così, ma non è scontato. I primi mesi del nuovo c.t. sono stati diversi da come si sarebbe aspettato. Non sul piano dei risultati perché l’Italia ha messo insieme 10 punti nelle prime quattro partite del girone di qualificazione e non ha mai perso. È il clima che si respira intorno alla maglia azzurra a mandare la luna di traverso all’allenatore. Conte è andato in ferie con una domanda che gli martella nel cervello: che cosa mi hanno preso a fare? «Mi pagano per non lavorare», confida con amara ironia agli amici.
Inquietudini e tensioni. La Nazionale non ha né un padre, né una madre, non ha amici, non ha alleati e paradossalmente in certi periodi dell’anno non ha neppure tifosi. È soppiantata dalle beghe di quartiere: il calendario asfissiante, gli interessi dei club, il menefreghismo del nostro movimento. Conte pensava e credeva, forse con un tantino di ingenuità, di poter cambiare le cose. Sperava che, dopo aver fallito gli ultimi due Mondiali, ci sarebbe stata una presa di coscienza. E invece, come i suoi predecessori, si è scontrato con la dura realtà dei fatti.
Gennaio sarà un mese cruciale. Perché la Lega di via Rosellini dovrà decidere le date della nuova stagione, quella che ci porterà dritti in Francia. Il rischio è che il prossimo campionato finisca il 22 maggio 2016, diciannove giorni prima dell’inaugurazione dell’Europeo. Tavecchio si batterà affinché ciò non succeda. Ma Conte si chiede come sia possibile dover discutere, mediare, avvelenarsi per situazioni che dovrebbero essere scontate. Nei piani del c.t., la Nazionale dovrebbe essere il fiore all’occhiello e non l’ultima ruota del carro. Lotito, che in estate ha corteggiato l’ex bianconero insieme a Tavecchio, aveva assicurato che i presidenti sarebbero stati ragionevoli e ben disposti. Si era impegnato anche a nome dei suoi nemici, scoprendo una realtà diversa.
La strada è in salita. Se le date della nuova stagione (fondamentali) sono ancora argomento di discussione, lo stage si farà ma all’italiana, cioè con il solito compromesso: va chi può andare. Le squadre impegnate nelle coppe europee, soprattutto la Juventus e la Roma, le sole contrarie al momento, possono disertare. A Tavecchio sembra una vittoria. A Conte, ben più intransigente e meno diplomatico, una mezza sconfitta. I due, sia chiaro, vanno d’accordissimo. Soltanto hanno ruoli e visioni diverse. Il presidente, per forza di cose, deve mediare, glielo impone il ruolo politico. Conte, invece, è intransigente. È la sua forza. È stato lui a denunciare i mali del calcio italiano. E non intende tornare indietro, non accetterà con un sorriso i frutti della diplomazia, non si piegherà alla volontà dei club.
Oggi non pensa alle dimissioni anticipate. «Ho preso un impegno con il popolo italiano», ha chiarito il giorno dell’incontro con gli allenatori. E non è neppure pentito della scelta. Ma se in questi mesi dovesse accorgersi di essere ancora solo contro tutti, farà una riflessione. O, magari, sceglierà la strada del sereno (mica tanto) distacco: se non ci sono le condizioni è difficile garantire un risultato accettabile all’Europeo. Il giorno che ha preso la guida dell’Italia, ereditando la panchina da Prandelli, Conte aveva in testa un’idea meravigliosa: il Mondiale 2018 sulla panchina azzurra. Oggi quel sogno è svanito. E gli Europei, nella migliore delle ipotesi, sono il traguardo finale.