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 2015  gennaio 02 Venerdì calendario

Il grande calcio è in difficoltà. I soldi di una decina di imprenditori hanno comprato il comprabile e seccato le fonti, agli altri restano solo tattica e agonismo

La buona notizia dell’anno nuovo è che il calcio sembra essersi preso una vacanza dovunque. In Europa non ci sono più una decina di squadre superiori alle altre, ne sono rimaste quattro o cinque, prime fra tutti Real e Bayern, poi Barcellona, Psg e Chelsea. I fuoriclasse sono pochissimi, come è giusto che sia, e non possono decidere da soli perché da anni il livello medio individuale si è alzato. Ha ragione Sacchi quando rimarca che un uomo non può fare una squadra. Sbaglia solo a non accorgersi che è scontato da tempo. Basta vedere cos’è successo con giocatori eccezionali come Messi e Ronaldo. Hanno vinto tutto con i loro club e niente con le loro nazionali pur avendo buone nazionali.
La Juve è certamente inferiore a Real e Bayern, a forte rischio col Barcellona, a rischio semplice con Psg e Chelsea, più forte o uguale alle altre squadre in corsa, compreso l’Atletico. Se ha fortuna in campo e nei sorteggi può arrivare in semifinale.
Il calcio va di fretta e non è molto simmetrico. Due anni fa la squadra di riferimento era il Borussia Dortmund. Oggi è penultima in classifica. Pochi mesi fa il Liverpool era la nuova qualità britannica. Oggi è una squadra normale. L’Inghilterra ha perso in generale la sua differenza, cioè l’equilibrio della nobiltà, la vecchia generosità del correre sempre e comunque. Oggi ci sono distacchi di una decina di punti tra Chelsea-City e le loro inseguitrici. Stessa cosa in Germania, dove anzi c’è solo il Bayern, stessa cosa in Francia, in Spagna, in Italia. Pochissima concorrenza, quindi risultati prevedibili in anticipo.
Questo è il problema di tutti, la strana nebulosa che sta coprendo tutto e ci rende troppo simili. Il grande calcio è in difficoltà dovunque perché non riesce a produrre qualità con la vecchia facilità. I soldi di una decina di imprenditori hanno comprato il comprabile e seccato le fonti; la differenza di forza ha costretto gli altri a produrre tattica, cioè compressione di spazi e più agonismo; il campo stretto ha reso più difficile la qualità media. La difficoltà ha portato equilibrio fra tutti tranne che fra le pochissime che possono comprare il meglio. Il risultato è una finta competizione raccontata benissimo. Non è un’equazione eterna, ma spiega in modo realistico anche il nuovo anno.
In Italia questo equilibrio fra le seconde, portato soprattutto dalla crisi del calcio milanese, non è una novità. L’Italia ha molte grandi città, gli altri Paesi hanno grandi regioni ma città più piccole. Manchester e Liverpool hanno gli abitanti di Genova, Southampton vale tutti i capoluoghi del Veneto. Se manca Milano, è chiaro che gli altri ti arrivano addosso. A noi oggi sembrano sorprese Genoa e Sampdoria, ma dieci anni fa, dietro a Juve-Milan-Inter, arrivarono nell’ordine Udinese-Samp-Palermo-Messina-Livorno. Il vero cambiamento è stato quello di Roma. Il nuovo senso del marketing globale, il peso dell’informazione, la coscienza che nel bene e nel male le cose si decidono lì, sta trasformando anche il suo calcio. La Roma può vincere o meno questo scudetto, ma è ormai chiaro che non può tornare indietro. Se pensiamo che Milano ha vinto 36 scudetti e 10 Champions, Roma 5 scudetti e zero Champions in novant’anni, la differenza risulta impraticabile, ormai impossibile da replicare.
Sarà l’anno di alcuni giovani importanti, Rugani e Romagnoli prima di tutto, futura coppia in Nazionale nei nostri ruoli base, i difensori centrali. Poi Storaro, Gabbiadini, Babacar, Bonaventura, Icardi, Dybala, Croce, Sportiello, Bonazzoli, Vasquez, Okaka.
Più la speranza che la crisi permetta di vincere a tutti. Auguri!