Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 02 Venerdì calendario

Nel club dei paesi blindati dove la burocrazia impedisce il turismo di massa. Dal Turkmenistan all’Himalaya, fino ai microstati del Pacifico e all’Australia, l’odissea in carta bollata per ottenere un visto

Sono guardinghi verso il mondo esterno, aprono i confini ai visitatori con il contagocce e hanno creato una burocrazia ad hoc contro il turismo di massa per ragioni politiche o di tutela ambientale. I Paesi più problematici del mondo per l’ottenimento del visto turistico sono un ristretto club – fra i 193 paesi membri delle Nazioni Unite – che impone regole e procedure cervellotiche per accettare gli stranieri.
Vale la pena di sottoporsi all’odissea in carta bollata? In certi casi la risposta è sì, per le attrazioni naturalistiche o culturali protette da confini blindati.
Persi nel Pacifico
Dai circa 10 mila visitatori all’anno del Turkmenistan (dato stimato) ai 105 mila del Buthan (dati 2012, Banca Mondiale), il numero dei viaggiatori in questi Paesi è risibile rispetto ai flussi turistici internazionali e proprio nell’inaccessibilità sta il loro fascino. Nel caso di microstati del Pacifico come Tuvalu e Nauru, alla burocrazia vanno aggiunti almeno tre collegamenti aerei: volo dall’Europa all’Australia, collegamento domestico per Brisbane e ultima tratta (circa sei ore) con la Nauru Airlines (tre volte alla settimana ourairline.com.au ). Il record del «meno visitato» va invece a Tuvalu, la nazione insulare di cultura polinesiana con 1200 visitatori all’anno, secondo i dati della Spc, Comunità del Pacifico ( timelesstuvalu.com ).
Enclave nell’Himalaya
Il caso esemplare in cui il gioco vale la candela è il Bhutan, il piccolo Paese (oggi monarchia costituzionale e antica enclave nell’Himalaya) stretto fra Cina e India che ha deciso, dall’apertura al turismo nel 1974 quando i primi 287 occidentali entrarono nel regno, di calmierare il numero di turisti rifiutando i visitatori indipendenti e permettendo solo viaggi organizzati da agenzie locali: tariffe individuali da 250 dollari (tre persone) a 280 dollari al giorno (per due persone). L’ élite di visitatori che entra ogni anno in Bhutan, all’ottavo posto fra i più felici del mondo secondo il magazine economico Business Week, è raddoppiato da 45 mila persone all’anno (fonte Word Tourism Organization) alle oltre 100 mila nel 2013 ( www.tourism.gov.bt, info@ tourism.gov.bt ). I mesi migliori per una visita sono quelli da marzo a novembre, evitando luglio e agosto per i violenti monsoni.
La porta dell’inferno
Nel cuore dell’Asia Centrale, il Turkmenistan dal 2007 è sotto il controllo del partito unico guidato da Gurbanguly Berdimuhammedov successore di Saparmyrat Niyazov e compete con la Corea del Nord per l’isolamento dal mondo esterno. Le attrazioni sono fuori dal comune come le difficoltà d’ingresso: nella regione della Darvaza si visita la «Porta dell’Inferno», un giacimento di gas in combustione perenne e i viali della capitale Asgabat, ricostruita a partire dal 1950 dopo un devastante terremoto e che un diplomatico occidentale ha definito «Stalin-Vegas», divisa fra i mausolei sovietici e i nuovi grattacieli. L’Unesco ha inserito nei suoi siti alcune zone archeologiche: l’antica capitale dei Parti, Nisa, e Merv, una delle storiche oasi e nodi commerciali sulla Via della Seta. Per ottenere il visto ( www.yor.it ) è necessario rivolgersi all’ambasciata turkmena di Parigi (Rue Picot 13; tel. 0033.1.47550536) perché in Italia non ci sono sedi diplomatiche. Il rilascio è subordinato dalla presentazione di una lettera d’invito da parte di un’agenzia turistica di Asgabat; l’arrivo via mare nel porto di Turkmenbashi è sconsigliato per le lunghissime attese doganali anche con visto valido.
L’isola-Stato
Dall’Asia Centrale al Pacifico: Nauru, la repubblica insulare più piccola del mondo ha – oltre alla Missione presso le Nazioni Unite – un consolato a Brisbane, in Australia. Per ottenere il visto è necessario acquistare un volo a/r, riservare un albergo e avviare la richiesta via mail. Dopo un’attesa di circa due settimane si riceve una lettera da presentare all’arrivo per ottenere il visto. La rigidità dell’isola-Stato (con 30 chilometri di costa) è dovuta alla presenza di un centro per gli stranieri arrivati in Australia e richiedenti asilo. E per i media interna- zionali il visto è «su misura»: 8.000 dollari come deterrente per scoraggiare lo status di osservatore.
In controtendenza
Ma ci sono Paesi che guariscono dalla sindrome del visto problematico. Il piccolo regno del Lesotho e l’Uzbekistan hanno reso più semplice l’ingresso ai cittadini italiani. Il Lesotho non richiede il visto per visite fino a 14 giorni; l’Uzbekistan ha eliminato la procedura della lettera d’invito che doveva essere rilasciata da un soggetto uzbeko. Non mancano le «cortesie» fra microstati: il Lesotho non richiede visto per i visitatori in arrivo dalla minirepubblica di Nauru. Viene da chiedersi se a qualcuno, nella sonnolenta isola del Pacifico centrale, sia mai venuto in mente di partire per il regno africano.