Corriere della Sera, 2 gennaio 2015
«Sono passata dal non arrivare alla fine del mese ad avere abbastanza tranquillità per poter scegliere i copioni e rifiutarne tanti». Parla Naomi Watts, una donna che per far contenti gli altri finisce per deludere se stessa. Ritratto di un’attrice semplice
«Diciamo che debuttare nella commedia accanto a Bill Murray non è stata una scelta riposante. Anzi, ero terrorizzata», racconta Naomi Watts, una carriera di film drammatici prima di interpretare la spogliarellista russa Daka in St. Vincent (con Murray) e apparire in Birdman di Alejandro Iñárritu (uscirà in Italia a febbraio). L’attrice anglo-australiana si trova a Parigi per L’Oréal, di cui è testimonial. «Mi piace un marchio che valorizza stili, Paesi e colori della pelle diversi. Il mio ideale di bellezza è molto mutevole, da Grace Kelly a Sophia Loren, a Julie Christie». Quarantasei anni, compagna del collega americano Liev Schreiber, due figli maschi Sasha e Kai (7 e 5 anni), Naomi Watts racconta perché ha deciso di cambiare genere, almeno per il momento.
Non faccio i conti con nessuno
«Il film The Impossible, sullo tsunami di 10 anni fa, è stato molto impegnativo. Psicologicamente e fisicamente spossante. Preferisco i ruoli drammatici, sono la mia cifra di attrice ma ho pensato che era il momento di cambiare e provare la commedia. Farlo con il maestro del genere, Bill Murray, mi ha dato un po’ d’ansia. Bill ha fama di non essere la persona più facile del mondo, e io ero inesperta. Per fortuna, sul set di St. Vincent, Bill è stato fantastico, è un uomo gentile, dall’umorismo contagioso. È sembrato apprezzare il mio accento russo, perfezionato in un salone di bellezza di Brooklyn». E qual è invece la fama di Naomi Watts? «Non saprei, non sta a me dirlo, ma mi vedo come una persona con cui si va d’accordo facilmente. Non ho molti conflitti nella mia vita, per fortuna. Credo di essere sempre stata una people-pleaser, una persona che si preoccupa di fare piacere agli altri, anche troppo qualche volta. Forse perché sono secondogenita, forse perché ho cambiato Paese e scuole, dalla Gran Bretagna all’Australia: mi sono dedicata a lungo, più di quanto avrei dovuto, a quel che le altre persone pensano e provano. Cercare di fare contenti tutti ha i suoi svantaggi, perché spesso si finisce con il non fare contenti nessuno. Di sicuro non te stesso».
Così ho capito che ce l’avevo fatta
«Ho fatto mille audizioni per ottenere una parte. Come tutte le aspiranti attrici nella mia situazione, dovevo dimostrare di essere brava, di avere qualcosa da offrire. Il che non è mai la migliore condizione di partenza per me. Se non sono a mio agio, se sento di dover dimostrare qualcosa, mi metto sulla difensiva e non riesco a dare il meglio». C’è un momento in cui ha capito che ce l’aveva fatta? «Certo, nel mio caso è un istante molto preciso. È quando qualcuno mi ha passato la recensione che Todd McCarthy aveva scritto, per Variety, sul film di David Lynch, Mulholland Drive (2001), nel quale sono protagonista. Lì ho capito che avevo svoltato».
Un mazzo di fiori in mezzo al nulla
«Ho adorato lavorare in quel film, con due personaggi così diversi, uno solare e allegro e l’altro estremo e irreale… È bello poter interpretare tutti i colori dello spettro. Mulholland Drive è un film tanto intenso e drammatico quanto Lynch sul set è piacevole: uno si aspetterebbe una persona ombrosa, invece fa un sacco di battute anche nei momenti più cupi. Mi ricordo la prima a Parigi, al Grand Palais. Quando il film è finito, scorrevano i titoli di coda e si sono riaccese le luci, ho capito che le persone accanto a me erano davvero commosse, che era successo qualcosa. Poi il giorno dopo ho letto Variety e ho pensato ecco, la mia vita sta cambiando. La piccola agenzia che mi aveva seguito fino a quel momento stava chiudendo, non dovetti sopportare neppure il fastidio di andarmene e dare un dispiacere. Mi ritrovai a poter scegliere, da un giorno all’altro, tra tutti i più grandi agenti d’America. Persone che il giorno prima non potevo neppure sperare di raggiungere al telefono mi chiamavano in continuazione per farmi proposte. Qualche giorno dopo andai in Australia a finire di girare un film, il set era nel Nord del Paese, in mezzo a un campo, non c’era niente, eravamo sperduti in mezzo al nulla; ciò nonostante arrivò qualcuno a consegnarmi un gigantesco mazzo di fiori con un biglietto, ci piacerebbe incontrarla».
Non recito per diventare ricca
Tutta la sua vita è cambiata, non solo quella professionale? «È inevitabile. Sono passata dal non arrivare alla fine del mese, a non sapere come pagare l’affitto, ad avere abbastanza tranquillità finanziaria per scegliere i copioni e rifiutarne la maggior parte». Le è venuto un sentimento di rivalsa? «No per niente, semmai gratitudine per l’occasione che mi è stata data. Non ho fatto questo mestiere per diventare ricca, ma per provare a esprimermi. Da Mulholland Drive in poi, ho potuto scegliere se accettare o no i grandi blockbuster e in molti casi non l’ho fatto, perché continuo ad avere dei gusti abbastanza specifici».
La scuola dei miei figli
Dopo 21 grammi, Birdman è il secondo film che Naomi Watts gira con il messicano Alejandro Iñárritu. «È un grande regista. Se 21 grammi è drammatico, intenso (i 21 grammi del titolo sono quelli che ogni persona perderebbe esalando l’ultimo respiro, ndr ), Birdman ha un tema meno universale», ovvero racconta la vicenda di un attore che anni prima ha avuto successo interpretando un supereroe, e mette in scena uno spettacolo a Broadway nella speranza di tornare agli albori di un tempo. «Qui la sfida è stata anche tecnica: Alejandro ha cercato di girare tutto il film come un’unica sequenza continua, al minimo errore bisognava buttare una scena che magari era già costata ore e ore di lavoro». Dopo le commedie, quale altra novità nella carriera? Forse una serie tv? «Mi piacerebbe, le serie hanno sceneggiatori fantastici, e adesso che i bambini vanno a scuola potrebbe essere un buon modo per restare ferma in un posto per un po’ di tempo. La mia preferita? Ray Donovan (protagonista il suo compagno, Liev Schreiber, ndr )».