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 2015  gennaio 02 Venerdì calendario

Il presidente vuole salvare la diarchia. Napolitano ha voluto raccomandare al Parlamento di cercare con insistenza una convergenza ampia e di farlo con ragionevole rapidità perché la coesione nazionale è il bene più prezioso

È abbastanza inusuale che il presidente della Repubblica delinei una sorta di profilo del suo successore, come ha fatto Giorgio Napolitano la sera di San Silvestro rivolgendosi per l’ultima volta agli italiani. Tuttavia l’intero secondo mandato che ora si conclude è vissuto nel segno dell’eccezionalità.Fuori del comune fu la stessa rielezione, la prima dell’avvento della Repubblica. Non era prevedibile e Napolitano, accettando nel 2013 di restare al Quirinale nonostante l’età e la fatica, aveva offerto una via d’uscita a un sistema politico paralizzato, incapace persino di mettersi d’accordo sul nome del nuovo capo dello Stato. Non è un dettaglio da poco, anzi è decisivo: perché da allora quel sistema non ha fatto visibili progressi, semmai ha accentuato le sue lacune, la sua frammentazione. Di nuovo c’è il dinamismo del premier Matteo Renzi, non a caso una figura inedita a cui il presidente dimissionario ha dedicato parole di elogio e di incoraggiamento. E si capisce: Renzi ha legato in parte le sue fortune all’inizio del rinnovamento istituzionale, dalla riforma del Senato alla legge elettorale.Ma sono solo i primi passi, oltretutto piuttosto controversi, e l’Italia resta lontana da un riassetto istituzionale compiuto. Non abbiamo un “premierato” all’inglese né un “cancellierato” alla tedesca. Stiamo navigando in quella direzione, ma l’approdo è ancora avvolto nella nebbia. Ecco perché non stupisce che Napolitano abbia accennato al suo successore, indirizzando a lui una porzione non irrilevante del discorso. Non è un atto di arroganza, bensì la logica conseguenza della situazione eccezionale in cui è maturato il secondo mandato, meno di due anni fa, e in cui si aprirà fra poche settimane la seduta del Parlamento per eleggere l’uomo o la donna a cui si chiede di garantire per sette anni la Costituzione e la bilancia dei poteri dello Stato.Se la riforma complessiva delle istituzioni fosse stata approvata anni fa, oggi probabilmente avremmo a Palazzo Chigi un primo ministro sul modello tedesco. Ma non è così e chissà quanto tempo dovrà passare ancora. In Germania il capo dello Stato può essere una figura anodina e meramente rappresentativa perché il baricentro delle istituzioni è costruito intorno al cancelliere. Da noi è diverso. Per cui il punto di equilibrio rappresentato da un presidente autorevole e autonomo dal gioco politico è irrinunciabile. Questo almeno ha inteso dire Napolitano nel messaggio di commiato. Ha voluto raccomandare al Parlamento di cercare con insistenza una convergenza ampia e di farlo con ragionevole rapidità perché la coesione nazionale è il bene più prezioso, ma anche il più suscettibile di essere eroso nei momenti di crisi.Quindi si chiede a un sistema politico non diverso da quello che nel 2013 ha fallito di emendarsi e di trovare in se stesso l’energia morale per scegliere bene. Il nuovo capo dello Stato, viene ricordato da più parti, deve essere una figura di forte sensibilità politica e istituzionale: l’esperienza e la conoscenza della macchina dello Stato in certi frangenti sono irrinunciabili, non meno della padronanza della storia costituzionale. Questo è il primo requisito che Napolitano ha suggerito fra le righe e sembra che il premier sia del tutto d’accordo. Quel che conta, il nuovo presidente dovrà mostrarsi capace di garantire al Quirinale la stessa funzione equilibratrice svolta per anni, pur fra polemiche inevitabili, da Napolitano e da Ciampi prima di lui. Ben sapendo che il capo dello Stato deve muoversi in uno scenario che non è solo domestico, bensì europeo e internazionale. Ovvio che il Parlamento è libero e sovrano nelle sue opzioni. Ma è rischioso toccare il delicato equilibrio che la Costituzione scritta e quella di fatto hanno creato nel corso dei decenni. Proprio gli ultimi mesi di Napolitano e il rapporto costruttivo che si è creato con Renzi dimostrano come sia essenziale nell’Italia di oggi non incrinare la diarchia Quirinale-Palazzo Chigi.