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 2014  dicembre 31 Mercoledì calendario

Martina Levato, la studentessa modello della Bocconi che ha sfregiato il suo ex ma sognava di fare la volontaria in Africa. Ora è in cella, dove «ha passato una notte tranquilla», mentre Pietro, la sua vittima, è sotto i ferri per l’acido che gli ha ustionato il corpo

Pietro è in corsia al Niguarda, sedato per non sentire la tortura del bruciore. Stamattina finirà sotto i ferri, delicatissimo intervento all’occhio destro martoriato dall’acido muriatico, il primo di chissà quanti. Il Centro grandi ustionati e il reparto di Rianimazione sono la sua casa dalle 19.12 di domenica scorsa, ora del suo arrivo in ospedale, lo saranno per chissà quanto. L’università a Boston è lontana, remote le vacanze di Natale, i progetti, la coscienza del proprio aspetto quale era e di come diventerà. Dicono che ne avrà per due mesi, forse di più, e non è solo un argomento per giudici e avvocati, per riformulare l’agguato subito in lesioni gravissime o allungare la custodia cautelare a chi glielo ha versato: sono i passi di un calvario.
Un altro, e una diversa tortura, stanno subendo i genitori di Martina Levato. Contorti dal rimorso, ignorati dalla figlia in tribunale durante l’udienza in direttissima, non riescono a lenire l’angoscia per quella figlia rea confessa e in carcere a San Vittore, nemmeno con le decine di chiamate di solidarietà che stanno arrivando da amici e parenti dalla Calabria, dalla Puglia. «Siamo vicini e chiediamo scusa alla famiglia Barbini – spiega il padre con un filo di voce – Pietro è un ragazzo d’oro e lo è sempre stato, gli auguriamo di guarire al più presto». Annunciano anche la volontà di andarlo a trovare, o comunque di dare «concreti segni di solidarietà» alla famiglia Barbini. Prima o poi troveranno la forza e il canale per farlo di persona.
Alexander David Giulio Boettcher continua a tacere. Lo ha fatto da subito, da quando Pietro Barbini – la preda per la mazzetta da muratore che impugnava dopo gli schizzi di acido gettati in viso dall’amante – gli è sfuggito di mano, correndo disperato e poi stoppandosi, voltandosi e atterrandolo insieme al padre Giancarlo, a un passante poi fuggito dalla paura, fino a quando non è arrivata la polizia. Nega e tace. «Io passavo di qui, volevo solo aiutarlo», disse come prima versione agli agenti. Non ha ritrattato davanti a niente. Nemmeno ai cinque flaconi di acido che teneva nel loft sui Navigli, quello degli incontri con Martina, ritrovati dalla polizia. Nemmeno davanti alla mezza dozzina di coltellacci sequestrati. Dice che, prima di lussarsi una spalla, praticava il kayak insieme alla moglie, campionessa croata di specialità, che quelle lame le conservava lì per le gite nella natura selvaggia.
Quello che non riesce a celare, fisico palestrato e culto della propria personalità, bisturi da chirurgo e cloroformio per incidere la propria iniziale sulla guancia di Martina, centinaia di messaggi morbosi a lei e qualcuno al povero Pietro, è l’attrazione per il lato oscuro della forza. Gli investigatori, guidati dal vicequestore Maria Josè Falcicchia e dal pm Marcello Musso, hanno scoperto messaggi di tenore e frequenza uguali con un’altra ragazza. Forse una seconda amante. Vogliono vederci chiaro su questa relazione. E approfondire, coi tabulati e le celle telefoniche, i movimenti di Boettcher intorno alle 5 del 2 novembre, quando il 25enne Stefano S. venne ferito in viso da schizzi di liquido corrosivo davanti alla sua casa di Quarto Cagnino, estrema periferia ovest di Milano. Era appena tornato da una serata con amici a The Club, discoteca del centro. Nessuna lite, nessuna minaccia pregressa, autore ancora sconosciuto, un fratello gemello della vittima ad alimentare suggestioni di scambio di persona.
C’è anche la posizione di Martina, da verificare, per quella notte. Paola Bonelli, il legale della Levato, riferisce di una sua notte di sonno sereno in carcere. Pare che le altre detenute del braccio femminile di San Vittore l’abbiano accolta bene, che la studentessa della Bocconi abbia voglia di vedere Alexander o almeno di scrivergli una lettera. E poi – è la prima cosa che Martina ha chiesto all’avvocato – di proseguire, se possibile, con gli esami universitari in carcere, visto che gliene mancano solo quattro per arrivare al master biennale. Magari, ecco, già alla sessione di febbraio. Brillante, già sui banchi del Parini dove aveva avuto un legame con Barbini, lo era sempre stata. Danza, flauto e letture da bimba, laurea triennale alla Cattolica in scienze della comunicazione, stesse abitudini da adolescente come la cameretta intatta a casa dei genitori. «Da brava ragazza, quale effettivamente è», mormora il padre. Animata, Martina, di fervore cattolico, tanto da contattare a inizio 2014 un’associazione di volontariato in Africa per dare una mano contro Ebola. Test fatti, comunicazione ai genitori, preghiere di desistere, abbandono del progetto.
E allora Alex, quel magnete brillante, quel progetto di vendetta folle. Ripeteva di «non riuscire a vivere senza lui», ma prima di Natale era volata a Londra, colloquio in inglese per un posto nel marketing di una grande azienda. «C’erano ragazzi da tutta Europa – disse ai suoi al ritorno – ma penso di avere fatto una buonissima figura». Papà, ora, sconsolato: «Attendiamo di sapere se è stata presa, dovrebbe arrivarci una lettera a casa».