Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 31 Mercoledì calendario

Così il web sfida le banche: ecco le Uber dei prestiti, dall’americana Lending ai gruppi inglesi e cinesi. Come l’azienda che ha destabilizzato il mondo dei taxi, le società che prestano soldi via Internet con il sistema “peer to peer” provano a rivoluzionare il settore bancario

Ieri sera una società chiamata Lending Club stava salendo del 3% alla Borsa di New York, mentre il listino dell’S&P500 continuava a perdere colpi. È un’impresa piccola e giovane, che l’anno scorso ha chiuso il suo primo bilancio in utile (7 milioni di dollari), eppure a colpo d’occhio rivela alcuni aspetti singolari. Il primo: ha una valutazione completamente fuori scala rispetto alla sue capacità attuali di generare reddito, perché scambia in Borsa da appena due settimane ma capitalizza già più di nove miliardi di dollari.
I nomi che presenta in consiglio di amministrazione – seconda stranezza – sembrano più adatti una banca dell’antica aristocrazia del denaro di Wall Street: non a una start-up di San Francisco fondata nel 2010. Fra loro c’è l’ex segretario al Tesoro e consigliere economico di Barack Obama, Larry Summers, e John Mack, l’uomo che guidò Morgan Stanley nella tempesta finanziaria del 2008. Entrambi sono azionisti, stanno moltiplicando la loro ricchezza dopo un balzo in Borsa del 60% nel primo giorno di quotazione a Wall Street e la loro presenza segnala che qualcosa sta per accadere.
I molti sostenitori ritengono di sapere cosa sia: Lending Club e i suoi molti concorrenti come Prosper negli Stati Uniti o Funding Circle in Gran Bretagna diventeranno per le banche ciò che Uber è per i taxi, Bookings. com, Edreams o Airbnb è per le agenzie di viaggio, eBay per i mercatini delle pulci, iTunes per i negozi di dischi, Amazon per le librerie o YouTube per la televisione. I destabilizzatori dei vecchi modelli industriali. È Internet che ancora una volta irrompe in un settore tradizionale, questa volta il credito, e sfida i protagonisti tradizionali con le armi della velocità e della convenienza: questa volta le banche.
Dagli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, alla Germania, fino alla Cina, esistono una trentina di questi prestatori basati sul web. Estendono soprattutto prestiti al consumo e alle piccolissime imprese, per alcune decine di miliardi di dollari l’anno. Ne esistono anche in Italia – fra questi Smarika – ma non hanno piena autorizzazione ad operare da parte dei regolatori. I prestiti di Lending Club o dei suoi concorrenti sono strutturalmente diversi da quelli delle banche: funzionano su base «peer to peer» (da pari a pari) o «marketplace lending». In altri termini, questi società sul web gestiscono algoritmi capaci di analizzare miliardi di dati sui debitori, formulare una stima statistica del rischio che essi rappresentano, fissare un tasso d’interesse e smistare loro i prestiti che arrivano dagli investitori. Nella formula di base, è un modello simile a eBay. L’azienda non presta i propri fondi come farebbe una banca, ma intermedia fra investitori nel credito e famiglie o piccole imprese che cercano di finanziarsi. Spesso il debitore ha bisogno di denaro per pagare bollette o rimborsi sulla carta di credito e il prestatore cerca rendimenti superiori a quelli dei titoli di Stato. L’azienda guadagna chiedendo una commissione ai prestatori (di solito l’1% dell’operazione) e ai debitori (di solito fra i 2% e il 5%), secondo la boutique di Lugano Compass.
Nelle forme più sviluppate di «marketplace lending», come quella praticata da Lending Club, questi sistemi agiscono come una Borsa valori. Il New York Stock Exchange o Borsa italiana sono un luogo di incontro elettronico fra le imprese quotate e milioni di compratori o venditori delle loro azioni, che non si incroceranno mai fisicamente ma trattano tramite la società di borsa. Allo stesso modo, i software dei siti di prestiti lavorano su quantità colossali di dati non solo finanziari (ubicazione geografica, età, interessi, navigazione su web, acquisti online, social network) per valutare chi chiede un prestito e farlo incontrare con chi offre credito. Privi di filiali, con personale ridotto ma specializzato, queste imprese attraggono interesse perché hanno costi di gestione del 60% più bassi di quelli di una banca, dunque riescono a fare credito a tassi inferiori e a offrire rendimenti superiori a chi investe. In Gran Bretagna all’inizio del mese una società online di nome Zopa praticava prestiti personali al 4,9%, mentre il tasso medio delle banche era al 6,3%. Negli Stati Uniti i rendimenti offerti da Lending Club attraggono tanto denaro da fondi speculativi e investitori istituzionali che l’azienda ha dovuto rallentare i sistemi di software per lasciar spazio anche al credito offerto dai piccoli risparmiatori.
È una palla di neve che ha appena iniziato a rotolare: i prestiti personali di Lending Club sono appena 4 miliardi l’anno, un millesimo di quelli delle banche. E come sempre, non mancano i problemi: l’euforia speculativa a Wall Street, in prospettiva la distruzione di posti di lavoro nei vecchi sportelli di banca, e i conflitti d’interesse. Un’azienda così può essere tentata di presentare all’investitore un prestito come più sicuro di come sia in realtà, pur di concludere l’operazione. Nel frattempo la palla di neve rotola ancora: l’Italia ha la scelta se affrontarla e gestirla adesso, oppure fra qualche anno esserne semplicemente investita.