la Repubblica, 31 dicembre 2014
Rivolta in piazza a Mosca per la condanna del blogger anti-Putin Navalnyi. Protestano anche Stati Uniti ed Unione Europea: «Uno sviluppo inquietante». E finisce in carcere anche il fratello
Centinaia di manifestanti ad affrontare i 18 gradi sottozero della piazza del Maneggio; polizia in assetto di guerra tra le costose luminarie festive del centro della capitale; ogni voce di dissenso chiusa d’autorità sui canali di Facebook, Twitter e del diffusissimo social nazionale VKontakte. La Russia di Putin è tutta qui, in queste opprimenti scene di fine anno che si aggiungono all’angoscia per la crisi economica devastante, i prezzi raddoppiati, il rublo in caduta libera. Con l’unico vero grande leader dell’opposizione come Aleksej Navalnyj, condannato e arrestato. E colpito anche dalla condanna “trasversale” del fratello Oleg rinchiuso nel carcere della Butyrskaja, incubo di ogni detenuto del Paese.
Il tutto scelto strategicamente all’inizio dell’incredibile black out annuale dell’informazione russa: i giornali non usciranno da oggi fino al 10 gennaio, ridotti all’osso i telegiornali e i notiziari radiofonici, atmosfera generale distratta e come sospesa nel vuoto.
Storia complessa, ma in fondo lineare quella dell’ennesimo “processo Navalnyj”. L’avvocato 43enne, noto come blogger anticorruzione e capace di radunare nel 2012 centinaia di migliaia di persone in piazza a gridare «Via il governo dei ladri e dei truffatori», è agli arresti domiciliari da febbraio. Giorni difficili in cui la protesta sulla Majdan di Kiev lasciava presagire sconvolgimenti in Ucraina e il rischio di una possibile “piazza” moscovita veniva visto dal Cremlino come un serio pericolo di destabilizzazione. È accusato insieme al fratello di aver sottratto circa un milione di euro alla filiale russa della società di cosmetici francese Yves Rocher. Accusa palesemente campata in aria che si regge solo su una vaga dichiarazione dei dipendenti dell’azienda francese peraltro mai confermata in aula. Certo di essere al centro di una condanna prefabbricata a tavolino, Navalnyj si è presentato ieri nell’aula del tribunale Zamoskveretsij di Mosca ormai rassegnato al carcere. E i tanti militanti e simpatizzanti preparavano già una grande manifestazione per la sua liberazione lanciando slogan e appuntamenti su Internet. Puntavano sull’effetto sollevazione popolare che nell’estate del 2013 aveva già convinto Putin ad annullare un’altra carcerazione per lo stesso Navalnyj decisa in un altro fantomatico processo.
Nello staff di Putin c’è chi da tempo lo consiglia di non trasformare Navalnyj in un “Nelson Mandela russo” soprattutto in questi giorni di difficile tentativo di comporre la crisi ucraina e con gli occhi dell’Occidente puntati addosso. E così Navalnyj è stato condannato, ma con la pena sospesa, mentre il più giovane Oleg, condannato anche lui alla stessa pena di tre anni e mezzo è stato subito ammanettato e trasferito alla Butyrskaja. «State colpendo lui perché non avete il coraggio di colpire me. Questa è la vostra sentenza più vile», ha gridato Navalnyj perdendo per un attimo il suo proverbiale autocontrollo. Oleg non ha detto una parola. Aveva già capito come sarebbe andata. E la settimana scorsa lo aveva anche detto ai giudici nell’ultima udienza prima della sentenza: «Mi considero un vostro ostaggio. Chiedo ad Aleksej di continuare la sua lotta senza preoccuparsi per me».
E il “blogger” ha accolto l’invito. Ha invitato tutti a partecipare alla protesta e a continuare la lotta. Ha violato gli arresti domiciliari per partecipare alla manifestazione di protesta. È stato arrestato (ma subito rilasciato) e con lui la polizia ha messo in stato di fermo altri 120 manifestanti. Ma sa bene che la mossa dei giudici ha in parte funzionato. Al telefono, prima della condanna, commentava con rabbia la svolta del Cremlino: «Colpire i parenti, gli amici, è qualcosa di ignobile. Continueremo a protestare in tutti i modi. Questo è un regime sempre più autoritario che non si può più cambiare ma solo distruggere».
Rabbia e sdegno inevitabili. Ma che trovano una sponda nella comunità internazionale. La condanna è uno «sviluppo inquietante», afferma il Dipartimento di Stato americano. Condanna «motivata politicamente», è il commento del portavoce dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Federica Mogherini.