Il Sole 24 Ore, 31 dicembre 2014
La People’s Bank of China ha ampliato il proprio portafoglio di investimenti italiani, entrando anche in Saipem: la banca centrale cinese ha ora oltre il 2% del capitale della società italiana. Il nuovo blitz dopo l’ingresso in Eni, Enel, Fca, Telecom, Mediobanca e Generali
Non è stata una progressione lenta come nel caso di Enel, dove i cinesi hanno fatto il loro primo ingresso nel 2011 (con una piccola quota, 500mila titoli) per poi salire via via nell’azionariato. Né un’operazione messa in campo, si pensi a Mediobanca, nello stesso giorno, il 14 ottobre scorso, in cui il premier Matteo Renzi stringeva la mano a Palazzo Chigi al primo ministro della Repubblica popolare della Cina, Li Keqiang. Ma tant’è. Dal 18 dicembre la People’s Bank of China ha ampliato il proprio portafoglio di investimenti italiani, entrando anche in Saipem. Come ha reso noto ieri la Consob, il colosso bancario di Pechino ha superato la prima soglia significativa per le partecipazioni rilevanti e palesato così la sua presenza nel capitale del gruppo guidato da Umberto Vergine.
Scorrendo gli atti dell’ultima assemblea di bilancio, non si ha traccia della presenza dell’istituto bancario in assise. Ora, però, i cinesi, che hanno cominciato il loro shopping anni fa comprando titoli di Stato, rafforzano ulteriormente la loro esposizione sull’equity, investendo nella controllata di Eni.
Ieri, poi, la società è tornata con un comunicato anche sulla vicenda South Stream dopo che Gazprom ha reso noto di aver ricomprato le quote dei soci di minoranza del consorzio (Eni, la francese Edf e i tedeschi di Wintershall): nessun cambiamento dopo la notifica di sospensione giunta a Saipem a valle dello stop al progetto di gasdotto.
L’ingresso dei cinesi non ha però spinto il titolo a Piazza Affari, dove ieri Saipem ha lasciato sul terreno il 2,23 per cento, zavorrata sia dagli ultimi sviluppi sul South Stream sia dal calo del prezzo del greggio che ha indebolito l’intero settore.
Tornando a People’s China Bank, dietro questa mossa non ci sono piani particolari rispetto a Saipem. Semmai la logica è quella di un investimento standardizzato (visti anche i passi già compiuti su altre corporate della penisola), né risulta che i cinesi si siano mai fatti avanti nel percorso, curato dall’advisor Credit Suisse, che Eni ha avviato per cedere la controllata. Salvo poi, come noto, optare per un suo congelamento viste le difficoltà attraversate dal gruppo per via della duplice dinamica ribassista che lo ha investito negli ultimi mesi facendogli perdere, dagli inizi di ottobre, il 46% per cento del suo valore.
Certo la presenza dei cinesi è un segnale positivo che conferma un ritorno di interesse per la società che Eni punta comunque a vendere non appena la situazione si sarà rasserenata. Per il momento, infatti, il percorso è in stand-by in attesa di capire se, con la presentazione dei conti 2014 e della guidance 2015, resi noti a metà febbraio, ci sarà una inversione di rotta con il titolo che ricomincerà a risalire la china e il mercato che riaccenderà l’attenzione sul dossier. Sul quale, peraltro, diversi fondi specializzati nel settore e alcuni fondi sovrani avevano acceso i riflettori nei mesi scorsi, dopo che a luglio Eni aveva ufficialmente avviato l’iter per la vendita confermando il carattere “no core” della partecipazione in?Saipem.
Da allora, però, non sono mancati i guai. Prima il calo, per ora senza tregua, del prezzo del greggio, che ha penalizzato tutti i competitor di Saipem e che adesso sta investendo anche la società di ingegneria. Poi, soprattutto, lo stop al South Stream su cui la controllata di Eni è impegnata con 2,5 miliardi di euro circa di contratti e che, subito dopo il duplice alt al progetto del presidente russo Putin e del ceo di Gazprom Miller, si è vista notificare un avviso di sospensione che non è ancora la cancellazione del gasdotto, ma che, per la società, si traduce in una situazione di incertezza in attesa di capire se a questo seguirà uno stop definitivo oppure no. Nè, come detto, la situazione è cambiata dopo la decisione di Gazprom di rilevare le quote in mano agli altri soci del consorzio.
Nel secondo avviso mandato alla società di Vergine, il consorzio indica infatti «che non ci si aspettano cambiamenti significativi allo stato di sospensione fino al 19 febbraio 2015». Tuttavia, si legge ancora nella nota diffusa ieri da Saipem, «South Stream Transport si riserva il diritto di modificare la notifica di sospensione in linea con i rilevanti termini contrattuali». Insomma, tutto può succedere da qui a metà febbraio e, per allora, se non arriveranno prima ulteriori indicazioni, la società avrà approvato sia il bilancio 2014 che la guidance 2015 (il termine per la duplice comunicazione è fissato per il 16 febbraio). Di certo c’è, per ora, che i mezzi impegnati nel progetto sono fermi, con i relativi costi che ne derivano, come peraltro aveva ricordato l’ad Vergine in una intervista al Sole 24 Ore. «È sicuramente tra i contratti più importanti per dare linfa al nuovo corso di Saipem – aveva spiegato il numero uno a inizio dicembre – e al momento è molto difficile valutare perché ci sono sul tavolo diversi scenari legati alle modalità di terminazione del contratto (la notifica di sospensione non era ancora arrivata, ndr). Le clausole contrattuali coprono bene tutte le evenienze. Tuttavia, se il gasdotto fosse bloccato, non ci sarebbe solo un’erosione dei margini, garantiti soltanto in parte, ma bisognerebbe tenere conto anche del fermo prolungato dei mezzi. E sarebbe tardi per provare a riutilizzarli su altri progetti visto che, per l’estate prossima, è già stato tutto predisposto dai vari operatori». Lo stesso Vergine aveva poi stimato, in caso di stop al South Stream, mancati ricavi nel 2015 per 1,25 miliardi di euro. L’alt al progetto ancora non c’è formalmente, ma nei target 2015 la società dovrà comunque tradurre in qualche modo l’attuale situazione nonché gli eventuali sviluppi sul gasdotto.