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 2014  dicembre 31 Mercoledì calendario

La conta dei clandestini sulla Norman Atlantic. Afghani, siriani e pakistani nascosti nei Tir sulle navi. Dalla Grecia all’Italia la rotta alternativa dei profughi

Il mare neppure lo vedono, e certe volte non l’hanno proprio mai visto. Stanno rannicchiati nei container in mezzo alle merci, giù nella pancia della nave. Dove si gela e l’aria è satura di gasolio bruciato. Pregano e dormono nel frastuono della sala macchine, convinti di avercela fatta. Sono viaggiatori di ultima classe. Migranti costretti a scegliere la rotta più lunga, la più pericolosa, la più economica. Attraversano la Turchia a piedi fino a Edirne, dove si incrociano i confini di Grecia e Bulgaria. Passano il fiume Evros su canotti da bambini, saltano le reti, strisciano sotto il filo spinato, scavalcano le «barriere anti immigrazione» costruite negli ultimi tre anni con i soldi dell’Unione Europea. 
Per valigia un sacchetto
Li vedi sbucare dai campi di mais a Nea Vyssa, Grecia settentrionale. Fradici. Intirizziti. Con tutta la roba in un sacchetto di plastica. «Atene?», domandano. Ma la strada è ancora lunghissima. Camminano altri 900 km in direzione Sud Ovest, per raggiungere i porti di Patrasso e Igoumenitsa. Dove tenteranno, fra attese estenuanti, accampamenti di fortuna, soldi offerti e fughe dalla polizia, di saltare sul camion giusto. 
Passeggeri non registrati
Ecco chi sono quei passeggeri non registrati del Norman Atlantic. Ecco perché non bisogna stupirsi delle parole del procuratore capo di Bari, Giuseppe Volpe: «È acclarato che la nave trasportasse anche dei clandestini nascosti nelle stive. Temiamo che possano esserci altre vittime». 
Succede da anni. Dalla Grecia all’Italia. Come da Calais – Francia – all’Inghilterra. Storie che spesso finiscono in una breve di cronaca: 22 dicembre 2014, porto di Venezia: cinque ragazzini afghani all’interno di un camion frigo imbarcato sul traghetto «Forza», in servizio per Anek Lines. Non riuscivano neppure a parlare. Li hanno portati in ospedale, quasi morti assiderati. È la rotta greca dell’immigrazione. Altre strade, identiche destinazioni finali: il Nord Europa, Germania, Olanda, Svezia. Storicamente sono bengalesi, afghani e pakistani a percorrerla. Ma si aggiungono adesso molti siriani in fuga dalla guerra. I dati sono significativi: 40 mila migranti identificati in Grecia nel 2013, sono diventati 72.600 nel 2014. Nuove rotte sono già allo studio dei trafficanti di uomini. 
Il «metodo greco»
«La Grecia ha deciso di adottare metodi di accoglienza al di sotto di tutti gli standard concordati. Procedure complicatissime, personale inesistente, condizioni disumane. Siamo arrivati a vedere 56 migranti stipati in una cella da 6 posti. Ecco perché nessuno ha la minima intenzione di fermarsi...». Chi parla è Manu Moncada, è il referente di Medici Senza Frontiere per quel territorio. Ha visto costruire muri inutili. «La Grecia ha chiuso le proprie frontiere di terra, ma ora deve rispondere al flusso di rifugiati che arrivano sulle isole del Dodecanneso. Il dato è questo: +500% negli ultimi dodici mesi». È la novità dell’anno. Chi può pagare di più, accorcia il viaggio. Evita le barriere «anti immigrazione» del confine Nord, e sbarca dalla Turchia sulle spiagge di piccole stupende isolette. E poi? Altri viaggi, altre trafile, altre rincorse per saltare su altri camion. Perché resta il problema di come imbarcarsi da clandestini su un traghetto per l’Italia. 
Barche senza pilota
Ed ecco, la seconda novità significativa del 2014. Il 21 dicembre un cargo con a bordo 900 profughi siriani è arrivato dalla Turchia direttamente davanti alle coste siciliane. Motori spenti. Alla deriva. In vista del porto di Augusta. Su quel cargo non c’era un comandante a bordo. Nessuno scafista. Erano già tutti scappati su altre imbarcazioni messe a disposizione dall’organizzazione criminale. Così come succede da sempre in Libia, sta succedendo anche in Turchia. Navi madri che aspettano al largo un carico di umanità disperata. Il viaggio è costato 6000 dollari a persona. Totale: 5 milioni e 400 mila dollari per i trafficanti. «Questo episodio racconta bene i viaggi della classe media siriana», spiega Manu Moncada. «Dove tutta una famiglia investe i soldi risparmiati per scappare dalla guerra. Molto diverso è il caso dei ragazzi afghani che cercano di nascondersi nei rimorchi dei camion e nei container». Prima classe, ultima classe. Chi può cerca di evitare la Grecia. Non tutti possono permetterselo.
Era passato di lì anche Enaiatollah Akbari, il ragazzino protagonista del best seller di Fabio Geda «Nel mare ci sono i coccodrilli». Oggi ha 25 anni, allora ne aveva 15: «Da due mesi dormivo in un bosco vicino a Corinto – ricorda – la nave era gigante. Trasportava motrici di camion. Mi sono infilato in uno spazio di 80 cm quadrati, fra le ruote anteriori e quelle posteriori. Era come se tutto il mio destino dipendesse da quell’atto, poter partire. Poter arrivare in Italia. Ho avuto fortuna… Sono rimasto immobile per 62 ore, senza bere e senza mangiare. Sentivo i cani abbaiare, avevo paura che mi rimandassero in Grecia». Invece era il porto di Venezia: «Il camion è sbarcato. Si è fermato in un cortile, da qualche parte. Mi sono buttato giù come un sacco di patate. Non riuscivo a muovermi. Mi sentivo morire. Le articolazioni erano tutte bloccate. Mi strusciavo per terra per riprendermi. Ma che bella, l’Italia. Che posto meraviglioso... Ricordo ancora la voce di quell’uomo che invece di scambiarmi per un ladro, mi ha gridato “go, go, go!”. È stato lui a indicarmi la via per scappare».