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 2014  dicembre 31 Mercoledì calendario

L’Istat ha diffuso ieri un divertente comunicato che comincia così: «La fine del tunnel della recessione è dietro l’angolo»

L’Istat ha diffuso ieri un divertente comunicato che comincia così: «La fine del tunnel della recessione è dietro l’angolo». Segue una caterva di cifre tremende, la disoccupazione aumenta, il numero degli scoraggiati aumenta, la produzione industriale scema, il calo del prezzo del petrolio – dal quale l’Italia dovrebbe ricavare un risparmio di undici miliardi almeno – si risolverà in un guaio perché incoraggerà il trend deflattivo, cioè la discesa generale dei prezzi, e come quando si è in inflazione ci rimettono i creditori, così quando si è in deflazione ci rimettono i debitori, e noi siamo debitori, e che debitori. Quindi male, male, male.

Bel Capodanno. Come si spiega allora quella frase iniziale «la fine del tunnel della recessione è dietro l’angolo»?
La prima condizione per la ripresa è la fiducia nella ripresa. È per questo che Renzi, Padoan e adesso l’Istat si sbracciano a gridare che ne siamo fuori o quasi, l’Italia ce la farà e tutto quel che segue. Sono discorsi che sentiamo ciclicamente e sempre quando l’anno sta per finire. Servono a farci coraggio, e quindi va bene. Facciamoci coraggio.  

Invece?
Mah. Le condizioni che hanno determinato la crisi sono lì, intatte. Pianeta in mano alla finanza, debiti in perenne aumento, moneta unica in Europa senza politica unica, rallentamento cinese, soprattutto questione greca e questione russa.  

• Cominciamo dalla questione greca.
In Grecia il Parlamento non è riuscito a eleggere il presidente della Repubblica, quindi è stato sciolto e sono state convocate le elezioni per il 25 gennaio. I mercati sono precipitati lunedì, e ancora ieri tutto il mondo – tranne Shanghai – ha chiuso col segno meno. La previsione è che vincerà Tsipras, cioè la sinistra di Syriza. Tsipras fa già campagna elettorale predicando contro l’austerità e la linea della Trojka: intende sedersi al tavolo della Merkel e costringerla a una ristrutturazione del debito greco centrata su questa piattaforma: un tetto al tasso d’interesse, un allungamento infinito dei tempi di rimborso. Le do il quadro dell’indebitamento di Atene, pari a 307 miliardi, perché il problema le sia chiaro: deve 142 al Fondo salva-stati europeo (quindi anche a noi), 26 miliardi al Fondo monetario, 61 miliardi ai vari stati europei, tra cui l’Italia, che hanno contribuito al suo salvataggio, 27 miliardi alla Bce (in parte partecipata anche da noi), 36 miliardi in titoli alle banche greche, le quali però girano questa massa di carta alla Bce (cioè anche a noi) per farsi finanziare. Ci sono anche 13 miliardi in buoni di tesoreria.  

Mi metto le mani nei capelli.
Azzerare questo guazzabuglio significa scaricare il costo della truffa greca – perché non bisogna dimenticare che i greci hanno falsificato per anni i loro bilanci profittando del fatto che gli oggi inflessibili tedeschi facevano finta di non vedere – su tutti gli altri, noi compresi. Quindi, a spanne, direi che non si può fare e va tacciato di sommamente ipocrita qualunque discorso appassionato o sentimentale sul Partenone e il patrimonio di civiltà di quel Paese che sarebbe doveroso salvaguardare. Può Tsipras riuscire nel suo intento? Non è semplice perché, anche se vincerà le elezioni, non avrà la maggioranza assoluta e per fare un governo dovrà venire a patti con qualche partito europeista oppure mettersi con i nazisti di Alba Dorata. Nel 2015 i greci devono rimborsare debiti per 16 miliardi. Se si rifiutassero di farlo, potrebbe seguire un taglio dei rifornimenti: scaffali vuoti, niente benzina, paese a picco, esplosione del problema sociale. Il 10 marzo poi si ripresenterà il problema del presidente della Repubblica: tre colpi per eleggerlo e se non ci si riesce si torna a votare. La Grecia, come vede, può costarci molto cara, ma potrebbe anche essere la causa di una revisione profonda, e utile, dei trattati. La Germania, se non vuole perdere l’euro, potrebbe essere costretta a questo ripensamento. Tanto più che nel 2015 si vota anche in Spagna, in Portogallo e nel Regno Unito, tre paesi dove i partiti anti-euro potrebbe ottenere vittorie clamorose.  

Veniamo al pericolo russo.
Il pericolo russo è legato al ribasso del prezzo del petrolio, per i russi una vera jattura dato che comprano tutto all’estero e il 70 per cento delle loro entrate è fornito dal greggio. Il quadro è complicato dalle sanzioni: le banche, improvvisamente a secco anche perché i debitori non pagano più, non possono rifinanziarsi all’estero perché Obama lo ha impedito. Putin potrebbe reagire accettando un ridimensionamento sostanziale delle sue ambizioni sull’Ucraina orientale. Ma questo potrebbe fargli perdere la faccia. L’altra strada potrebbe essere quella di alzare la posta andando a una guerra vera e propria con Kiev. Il Paese, fino a poche settimane fa, lo avrebbe seguito in qualunque avventura. Ma anche lassù gli scaffali si stanno svuotando, e con gli scaffali vuoti la popolarità di un leader finora adorato come Putin può precipitare molto rapidamente.