La Stampa, 30 dicembre 2014
L’ascesa di Alexis Tsipras, l’uomo delle piazze, che nei durissimi anni della Troika e dell’austerità ha ereditato milioni di voti fuorusciti dal Pasok. E ora deve fare i conti anche con la borghesia...
A trentasette anni, Alexis Tsipras affronta non la prima, ma certamente la più difficile campagna elettorale della sua «resistibile ascesa», come l’avrebbe definita Brecht.
Ex leader delle piazze, a capo di un partito che all’inizio della grande crisi, quando era al 5%, era riuscito a riunire in una sola sigla, Syriza, la litigiosa galassia della sinistra radicale, deve riuscire in una duplice impresa. Ha ereditato nei durissimi anni della troika e dell’austerità milioni di voti fuorusciti dal Pasok: non può deludere le promesse fatte, principalmente la fine dei sacrifici chiesti dai precedenti governi – anzitutto proprio dal Pasok – ai greci.
Un problema non da poco, per il capo di Syriza: lo zoccolo duro di statali, lavoratori dipendenti e pensionati, tradizionalmente legati al partito fondato da Andreas Papandreou, si è trasferito armi e bagagli nell’ex formazione di sinistra radicale. Il travaso è evidente nei numeri: il Pasok è crollato dal 43% del 2009 al 6-7% attuale, viceversa Syriza è schizzata dalle percentuali «one-digit» di cinque anni fa al 30% e oltre dei sondaggi di queste settimane. Un numero che non rispecchia solo la rabbia dei giovani e delle piazze: è un terzo dell’elettorato greco.
Quindi, per Tsipras, il primo dilemma è che non può tradire quell’elettorato, cui sono state tagliate le buste paga e cui sono stati imposti pesanti aumenti delle tasse, ma che vivevano anche da molti anni al di sopra delle proprie possibilità. I salari greci, all’inizio della crisi, erano ai livelli di quelli spagnoli. E il sistema sociale e previdenziale erano e continuano ad essere troppo generosi per un Paese con una ricchezza e tassi di crescita modestissimi.
Insistendo molto sulla promessa di massacrare gli evasori fiscali, altra mostruosa piaga della Grecia, Tsipras parla proprio a quei dipendenti pubblici e privati che hanno oggettivamente sopportato più sacrifici di altri. E i precedenti governi, sull’evasione, sono stati effettivamente carenti.
La seconda impresa, per l’ingegnere trentasettenne, è quella più ardua: chiedere alla Ue che si fidi di Atene, che tagli il debito – che in pochi in realtà si illudono di vedere restituito – e sostenga un piano di rilancio dell’economia che al momento sembra solo costoso e fumoso. Fatto, appunto, per accontentare un elettorato stremato, non per spingere il Paese su un sentiero di riforme strutturali convincenti. Senza un notevole sforzo in più, su questo versante, è anche complicato che la Ue possa accettare persino di sedersi al tavolo. Ma alle elezioni manca un mese. E altri momenti della lunga crisi europea ci hanno insegnato che può essere un tempo lunghissimo.