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 2014  dicembre 30 Martedì calendario

Cirino Pomicino, i franchi tiratori del 1992 e l’originalità della prossima elezione presidenziale

   Come non si fa un presidente della Repubblica. Parola di Paolo Cirino Pomicino. Definito con sprezzo ‘o ministro negli anni democristiani della Prima Repubblica, oggi Pomicino appare un gigante della politica in confronto ai dilettanti della Seconda e dell’incipiente Terza. Riabilitato dal Tribunale di sorveglianza di Roma nel 2011, dopo due condanne per Tangentopoli (e due prescrizioni), l’ex deputato andreottiano è stato testimone e grande elettore di quattro capi dello Stato: Sandro Pertini (1978), Francesco Cossiga (1985), Oscar Luigi Scalfaro (1992), Giorgio Napolitano (2006).
   Pomicino, in queste occasioni  con lei il punto di partenza è sempre obbligato.  La storia di Arnaldo e Giulio. Primavera del ‘92: il derby dc per chi doveva candidarsi tra il segretario scudocrociato, Arnaldo Forlani, e il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti.
   Quel colloquio di democristianeria pura del Divo è una delle poche cose vere del film di Sorrentino, anche perché sono stato io a raccontargli tutto.
   Ognuno dei due negava di voler fare il presidente.
   Ero con loro e ridendo e scherzando glielo dissi: “Giulio e Arnaldo uno di voi due deve essere il prossimo presidente”. Forlani rispose: “Se Giulio è candidato io non lo sono”. Idem Andreotti: “Se Arnaldo è candidato io non lo sono”. Risultato: erano tutti e due in pista.
   Andreotti però era favorito.
   Ero al ministero del Bilancio con Mastella e Marini quando mi telefonarono da Palazzo Chigi: “Forlani è appena andato via. Propone Andreotti”. Subito corsi lì. Bisognava iniziare a parare i franchi tiratori. Eravamo alla vigilia del primo scrutinio.
   E arrivò il colpo di scena finale, per voi letale.
   Ero in stanza con Andreotti quando mi chiamò Enzo Scotti alias Tarzan (perché saltava da una corrente all’altra, ndr) e mi disse che il candidato era Forlani. De Mita si era incuneato tra lui e Giulio e voleva liberare la casella del segretario per la sinistra interna.
   E lui, Andreotti?
   Non reagì, capì di essere stato bruciato. Anche Craxi, nonostante il patto del Caf (Craxi, Andreotti e Forlani, ndr), non si fidava di Giulio.
   E voi vi scatenaste come franchi tiratori.
   Gli andreottiani fino al mio arrivo in Parlamento, nel 1976, non esistevano come corrente. Nel ‘92 pesavamo per il 20 per cento. Ma non fummo i soli, al quinto scrutinio, a votare contro Forlani. Ricordo che anche alcuni socialisti e i mastelliani si unirono a noi.
   Quinto scrutinio, Forlani si ferma a 39 voti dalla maggioranza assoluta richiesta.
   Eravamo incazzati. In quel caso non volevamo nemmeno nasconderci. Ricordo che Nino Cristofori (altro colonnello andreottiano, ndr) si fece scoprire con la scheda bianca.
   Eravate maestri nell’arte dei franchi tiratori.
   Si sbaglia, le racconto un aneddoto che lei deve riportare. Una volta c’era il voto segreto anche per la Finanziaria e il governo Goria fu mandato sotto. Enzo Biagi mi intervistò per la Rai e voleva dimostrare che eravamo stati noi.
   Invece?
   Lo convinsi del contrario e l’intervista non andò mai in onda.
   Ma chi erano i franchi tiratori?
   Gli specialisti erano i demitiani e soprattutto i socialisti. Quando si votava segretamente non c’era modo di arginare il Psi.
   Torniamo al ‘92. Forlani al sesto scrutinio aumenta di 10 voti ma non ce la fa.
   I partiti, allora, erano una cosa seria e faticosa. Gli accordi partivano dalla segreteria e poi nei gruppi parlamentari si apriva una discussione complicata. Si fece una riunione con il capogruppo Gerardo Bianco e io a quel punto scelsi Forlani, a nome della corrente. Era l’unico modo per evitare l’elezione di Scalfaro, all’epoca presidente della Camera, che avevo già previsto.
   Ma non bastò.
   Molti amici andreottiani rimasero barricaderi e poi successe quello che successe.
   La strage di Capaci e Scalfaro al sedicesimo scrutinio, il 25 maggio ‘92.
   Quando dichiarai che avrei votato per Forlani pretesi una sola condizione: che il presidente della Camera facesse una dichiarazione.
   Quale?
   Che se Forlani avesse fallito dopo non ci sarebbe stato un altro dc candidato.
   Non la fece mai.
   Esatto. E Forlani si ritirò prima del settimo scrutinio. Quando vide che Scalfaro aveva fatto montare le cabine di voto per garantire maggiore segretezza si spaventò e rinunciò definitivamente. Al posto suo avrei insistito.
   I franchi tiratori, un incubo eterno.
   Ci sono e ci saranno sempre. E spesso, lo ricordi, si dimostrano dei liberi pensatori che evitano guai peggiori. Pensi a quelli che hanno impallinato Violante come giudice costituzionale. Hanno impedito un’anomalia, per dirla con garbo democristiano.
   A fine gennaio comincerà l’elezione del capo dello Stato più caotica di sempre.
   E anche la più originale.
   Perché originale?
   Per la prima volta ci si troverà di fronte a un bivio. Da un lato la democrazia parlamentare, dall’altro uno sbocco autoritario del sistema.
   Dalla monarchia di Napolitano alla deriva autoritaria?
   Napolitano è stato un presidente forte, forse fin troppo. Ma cosa accadrebbe se eleggessero un tecnico come Padoan, senza sensibilità politica, in vista di un sistema monocamerale che prevede il premio di maggioranza a un solo partito?