la Repubblica, 30 dicembre 2014
Il diario di bordo della Norman Atlantic in fiamme. Le testimonianze del disastro, dal terrore del mattino alla corsa verso le scialuppe e l’abbraccio dei soccorritori. «Mi sono lanciato fuori dalla nave aggrappandomi a una fune». «Mi hanno offerto di tutto, addirittura oro, pur di essere caricati per primi»
Brucia tutto. Bruciano le lamiere, bruciano le scialuppe, bruciano le auto e i camion stipati nel garage. Fiamme alte si muovono veloci lungo i corridoi e lambiscono i soffitti. Chi ci cammina sopra si ritrova con le suole delle scarpe che si liquefanno. È un’odissea di fuoco quella della Norman Atlantic, un gigante che dondola per 35 ore a due passi dall’Albania, in mezzo a un mare che non dà tregua e bersagliato da una pioggia che non riesce a spegnere proprio niente. Le voci dei sopravvissuti raccontano passo dopo passo il dramma di un viaggio che per alcuni significa l’ultima fatica lavorativa del 2014 e per tanti altri la vacanza di fine anno, la prima del 2015. Per tutti, si trasforma in un incubo peggiore di un film dell’orrore.
L’ALLARME
«Stavamo dormendo e abbiamo sentito gente urlare nei corridoi. Parlavano di un incendio, non si capiva». Sono le 4.40 del mattino. Tzonas Athanasios di mestiere fa il commerciante. È greco, viaggia sulla Norman con tutta la famiglia. Diretto in Germania, per passare il Capodanno, si ritrova catapultato in un delirio di urla e paura. Si sveglia: «Ho pensato a un piccolo incendio, che saremmo tornati a dormire. Siamo saliti al piano superiore e abbiamo visto fumo e fiamme ovunque. Tutti erano impazziti, in preda al panico. L’allarme? Nessuno l’ha dato, nessuno ci ha detto cosa fare e dove andare».
LE FIAMME
Leonidas ha 47 anni. Di mestiere trasporta kiwi dalla Grecia alla Germania. È notte, il viaggio verso Ancona è lungo e lui ha voglia di fumarsi una sigaretta. Scende in garage a recuperare le cartine dalla cabina del suo camion. Alle 5 è ancora lì dentro quando vede le fiamme. Gli altri camionisti come lui, rimasti a dormire nei loro mezzi, fanno fatica a uscire. «Erano uno affianco all’altro, nemmeno si riuscivano ad aprire le porte». Nessuno ha ancora capito cosa sta per succedere: «Il soffitto aveva iniziato a gocciolare come lava», dice. Si sdraia per terra: «Ho strisciato tra i camion per uscire». La porta la trova sbarrata dal fuoco: «Mi sono lanciato fuori dalla nave aggrappandomi a una fune». Dondola, finché non si riesce a calare su una scialuppa di salvataggio. «In acqua – dice – c’era una donna che gridava: “Help, help”».
LE SCIALUPPE
Sono passate da poco le 6 quando viene dato il segnale di abbandono della nave. Fuori piove a dirotto, sotto il mare è forza 8, tira un vento a 50 nodi. La maggior parte delle scialuppe va in fiamme. «Erano inutilizzabili – raccontano molti dei sopravvissuti arrivati soltanto ieri mattina al porto di Bari – non c’erano membri dell’equipaggio a dirci cosa fare. Si cercava di spegnere il fuoco e nel frattempo ci bagnavamo tutti».
IN ACQUA
A fatica si gettano gli scivoli, mentre intorno iniziano ad arrivare i mercantili in zona, allertati dal dispaccio delle 4.47 del Centro ricerche in mare di Roma. La situazione è drammatica, i protocolli saltano. «Eravamo sullo scivolo, io davanti e mio marito dietro – ricorda da un letto di ospedale Teodora Doulis – lui è rimasto impigliato in un telo di plastica e io non riuscivo a scendere. Ci mettevano fretta. Noi eravamo zuppi di acqua, di pioggia. Siamo finiti in acqua ma la nave che doveva recuperarci era troppo lontana». Restano così per 4 ore. «Per fortuna io non avevo gli stivali, provavo a nuotare. Mio marito no, invece. Perdeva sangue dal naso, forse aveva battuto la testa mentre era ancora in nave». Quando arriva il soccorritore, finalmente, prova a tagliare il telo al quale l’uomo era rimasto impigliato. «Quando al secondo tentativo ci riesce, mio marito era privo di sensi, morto tra le sue braccia».
L’ORRORE
Il cielo è annerito dal fumo, sul ponte alto della nave c’è tantissima gente. Dalla costa pugliese si alzano i primi elicotteri di Aeronautica e Marina militare, sorvolano la Norman Atlantic. Si tentano le prime operazioni di recupero che sono già le 8. Christian Wiersdorf, uno soccorritore impegnato per 5 ore attorno al traghetto conferma quello che già nei racconti dei naufraghi iniziava a prendere corpo: uomini che cercano di superare le donne e i bambini, le strattonano, le lasciano indietro e si gettano letteralmente verso le barelle “basket”, i verricelli che trainano verso la salvezza: «Mi hanno offerto di tutto, addirittura oro, pur di essere caricati per primi», spiega Wiersdorf. Vedono la cesta e si gettano dentro: «Era impossibile tirarli fuori», dice. «Mille mani assalivano l’imbracatura», è l’immagine che restituisce anche Ferdinando Rollo, elicotterista dell’Aeronautica.
IL RIMORCHIATORE
Sono le 17. Da Brindisi arrivano due rimorchiatori. C’è il Marietta Barretta e c’è l’Asmara. Hanno bisogno che qualcuno dalla nave provi a lanciare un cavo, una fune verso il mare. Ma non è facile. «Gli anelli giusti erano fuori uso – ricorda il capitano Giannuzzi – e i cavi di nylon già deteriorati dal calore». «Ci bruciavano gli occhi, ci abbiamo provato ma si sono rotti, prima da una parte e poi dall’altra», conferma il timoniere della Norman, Tommaso De Lauro. Soltanto alle 21.40 l’aggancio riesce. «Ce l’abbiamo fatta». Ma la prima notte di odissea è appena cominciata, le persone da salvare sono ancora più di 200.
IL TRASBORDO
Gli elicotteri continuano a recuperare i superstiti anche durante la notte. Il mercantile Spirit of Pireus è in viaggio verso la Puglia con i primi 49 che sono riusciti a mettere i piedi sulla porta-container. Gli altri attendono il loro turno. Va avanti così fino all’alba e oltre. Sul ponte alto della Norman resta anche l’equipaggio a coordinare le operazioni con la nave San Giorgio. Alle 14.30, sul traghetto c’è solo il comandante Argilio Giacomazzi e 4 ufficiali della Marina. Le ultime ispezioni, poi anche loro vengono trasbordati. Sono le 14.50. Dalle prima fiamme sono passate quasi 35 ore.