Corriere della Sera, 30 dicembre 2014
«Suggerisci un modo per uccidere quel maiale del pilota giordano». L’Isis fa un sondaggio sui social media per sapere quali torture infliggere al prigioniero prima di ammazzarlo e in poche ore, da Twitter, riceve undicimila risposte. C’è chi preferisce decapitarlo, chi vorrebbe bruciarlo vivo, chi lo schiaccerebbe con un trattore, chi non disdegna d’impalarlo…
Scegliete voi: come l’ammazziamo? L’ultima frontiera dell’Isis e del web è un bel referendum sui social media: decidere democraticamente quale tortura infliggere a un prigioniero di guerra. Una forca di follower. «Suggerisci un modo per uccidere quel maiale del pilota giordano», è l’hashtag che lo Stato islamico ha twittato. Per raccogliere nel mondo islamico i consigli dai più creativi dei boia. E tutt’insieme barbaramente condividere il destino di Muadh al Kaseasbeh, 27 anni, il tenente colonnello catturato dal Califfato dopo che era precipitato in Siria col suo F-16. Pollice alzato o pollice verso? In nome del popolo degli user, il giudizio sarà veloce e sommario come nei circhi gladiatori: un «mi piace» da cliccare sull’agorà digitale. Rispondono, eccome se rispondono. Undicimila in poche ore. E nessun dubbio sul fatto che il giordano vada ucciso: stava bombardando una fabbrica di Raqqa per conto della coalizione filoccidentale. Semplicemente, si dibatte sul come: chi preferisce decapitarlo, chi vorrebbe bruciarlo vivo, chi lo schiaccerebbe con un trattore, chi non disdegna d’impalarlo…
Terrorismo partecipativo. Il quesito su Twitter è partito ieri ed è la risposta dell’Isis a una campagna di tipo umanitario, #BringHimHome (portatelo a casa), che da qualche giorno stava raccogliendo adesioni dal Marocco all’Egitto, dal Golfo alla Libia, in prima fila un messaggio solidale della regina Rania di Giordania e del segretario dell’Onu, Ban Ki-moon. Le immagini di Muadh terrorizzato e sanguinante, nudo dalla cintola in giù, trascinato dai tagliagole fuori dalle acque dell’Eufrate, avevano scosso l’opinione pubblica araba. Tutti commossi dall’appello video del padre: «Mio figlio è un buon musulmano, è appena tornato dalla Mecca. Ai nostri generosi fratelli dello Stato islamico chiedo di trattarlo con ospitalità generosa…».
Quest’onda emotiva, una mobilitazione di coscienze nel mondo arabo che finora non s’era mai vista per gl’infedeli ostaggi occidentali, ha sorpreso e irritato i seguaci d’Al Baghdadi, spingendo l’ala più dura a indire il web referendum. L’Isis è spaccato sul da farsi. Da una parte ci sono i ceceni, favorevoli all’uccisione dell’ostaggio, né più né meno quel che s’è già fatto con tanti soldati curdi o di Assad. Dall’altra ci sono gli arabi, in contatto coi capi tribù sunniti della provincia di Al Anbar che i servizi segreti giordani hanno mandato a negoziare: in cambio di Muadh, l’offerta è il rilascio d’uno sceicco salafita detenuto ad Amman. «Siamo fiduciosi, il nostro coraggioso pilota sarà presto rilasciato», ha detto una fonte d’intelligence al quotidiano Al Rai.
Le trattative sono in corso. Ma la battaglia per liberare il prigioniero dalla rete in cui è finito, adesso, s’è spostata nella Rete. #WeAreAllMuadh (siamo tutti con lui) contro #WeAllWantToSlaughterMuadh (lo vogliamo tutti macellare). E Muadh laggiù, incatenato, ad aspettare il clic definitivo: d’un mouse o d’una pistola.