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 2014  dicembre 30 Martedì calendario

L’Italia è un Paese al bivio, Renzi, ottimista, è convinto che ce la farà, ma è consapevole che non dipende solo da Palazzo Chigi. Occorre che ci credano un po’ tutti, compresi quei «gufi» di cui dà forse per la prima volta una definizione autentica: non coloro che parlano male del governo, ma «coloro che negano al Paese una possibilità». Intanto, alla conferenza stampa di fine anno, annuncia una stretta sui dipendenti pubblici, parla del Colle e di economia...

 L’Italia come una squadra di football malandata, ma che può farcela. Lui che si sente come quell’Al Pacino che nel film americano dice ai suoi giocatori di non mollare, di credere «in ogni singolo centimetro, perché o risorgiamo come collettivo o moriamo individualmente». Parole che Matteo Renzi ricorda per dire che si vede come un coach alla partita della vita, come «un motivatore di gruppo», dove il gruppo sono tutti gli italiani, che non possono permettersi di non giocare, perché «può accadere che si fallisca, ma non può accadere che non ci si provi». 
Nella conferenza stampa di fine anno è ottimista, straripante come sempre, ma la metafora che sceglie ha tratti che non nascondono preoccupazione: l’Italia è un Paese al bivio, lui è convinto che ce la farà, ma è consapevole che non dipende solo da Palazzo Chigi. Occorre che ci credano un po’ tutti, compresi quei «gufi» di cui dà forse per la prima volta una definizione autentica: non coloro che parlano male del governo, ma «coloro che negano al Paese una possibilità» di risollevarsi. 
Le parole sugli statali
Le declinazioni di questa sfida partono da un primo bilancio: nel 2014 «è avvenuto un cambiamento che per me è una rivoluzione copernicana, è cambiato il ritmo della politica» e «ritmo sarà la parola del prossimo anno», «l’urgenza» il messaggio che lui dovrà continuare a trasmettere: urgenza di riforme strutturali «senza le quali l’Italia non può ripartire», di cambiare «il paradigma economico» della Ue, di chiarire, sul Jobs act, che è stato lui a togliere la norma che escludeva l’estensione delle nuove norme al pubblico impiego. Sul tema, aggiunge, si farà chiarezza con il ddl Madia di riforma della Publica amministrazione, ma la svolta non può limitarsi al privato, anche «nel pubblico dobbiamo far passare la logica del chi sbaglia paga, chi non lavora, chi non timbra il cartellino, va licenziato, a fronte del 99% di impiegati onesti». E se la minoranza pd propone un referendum abrogativo delle norme sui licenziamenti collettivi poco male, «chi vivrà vedrà, prima ci sarà il referendum sulle riforme della Costituzione». 
L’Italicum e il voto
A chi gli chiede della riforma elettorale Renzi ribadisce innanzitutto che la scadenza della legislatura resta quella naturale, «a me conviene sempre tentare di andare alle elezioni, ma all’Italia no, non conviene». Dunque va benissimo la clausola che chiede non solo Forza Italia (che per inciso «senza Berlusconi non esiste»): fare entrare in vigore le nuove norme in tema di elezioni solo dal 2016, «purché ci si arrivi dopo la stesura e l’approvazione del provvedimento e a me piace pensare che sia un Mattarellum con le preferenze e pochi simboli riconoscibili» aggiunge mostrando un modello di nuova scheda elettorale. 
La partita per il Colle
Le domande sul Quirinale le giudica premature, dice che non crede ci saranno difficoltà ad eleggere un capo dello Stato, «non ci saranno 200 franchi tiratori», numero che metterebbe in crisi anche un candidato condiviso con FI. E a chi prevede una riforma delle pensioni, dopo la nomina di Tito Boeri a capo dell’Inps, offre un’altra rassicurazione: «Mi sento di escludere» ogni intervento nuovo, «leadership è mettersi accanto persone più brave di se stessi ma questo non vuol dire che chi viene a darci una mano fa il programma di governo». 
La Grecia e l’India
Per Renzi si può escludere «un effetto contagio fra Italia e la Grecia, sono Paesi profondamente diversi». E se Atene va a elezioni antipate si può dire solo «in bocca al lupo ai candidati, ho la buona abitudine di non mettere il maso negli affari degli altri Paesi, quando arriveremo a lavorare con un nuovo governo discuteremo con loro». Una prudenza estesa al caso dei marò, dove vale l’obbligo di «mantenere il tono giusto, quello dei canali diplomatici e giudiziari» con l’India, definita un Paese «amico e alleato, che ha aperto un canale di confronto diretto con dichiarazioni ufficiali che abbiamo apprezzato». Conclusione di due ore e mezza di conferenza stampa all’insegna comunque dell’ottimismo: «A qualcuno appaio tarantolato, ad altri bulimico, ma io sono molto contento di come si stanno incastrando tutti i pezzi del puzzle delle riforme, se non ce la facciamo ho perso io, se ce la facciamo avrà vinto l’Italia».