Il Sole 24 Ore, 29 dicembre 2014
Profezie di fine anno. Nel 2015 molti nodi verranno al pettine. Vediamoli, uno per uno, lasciando per ultimo il “nostro”: l’Eurozona e l’Italia
Una nota arietta di “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi suona: «È scherzo, od è follia, siffatta profezia». Un monito per chi indulge nella previsione. Ma le profezie sono d’obbligo a fine anno, quando bisogna scrutare la sfera di cristallo per sapere cosa ci porterà il 2015. Una cosa si può dire con certezza: nell’anno che viene molti nodi verranno al pettine. Vediamoli, uno per uno, lasciando per ultimo il “nostro”: l’Eurozona e l’Italia.
Cominciamo dagli Stati Uniti. La ripresa americana si conferma robusta. In parte per merito di una politica – monetaria e di bilancio – particolarmente aggressiva. Centocinquanta anni fa, nel 1864, l’ammiraglio David Farragut vinse una battaglia decisiva nella guerra civile americana, ordinando alle sue navi di procedere nella baia di Mobile malgrado le mine sotto il filo dell’acqua: «Damn the torpedoes!», esclamò. C’erano rischi, è vero, come c’erano rischi, in tempi più recenti, a lasciar crescere il debito pubblico e inondare l’economia di liquidità. Ma la scommessa di Farragut fu vinta, come è stata vinta quella dei reggitori delle politiche economiche americane. Certo, i critici non demordono e vedono inflazione, bolle e default dietro l’angolo. Il 2015 è l’anno quindi in cui si può dire, per la tenuta dell’economia americana, «qui si parrà la tua nobilitate». Ed è probabile che la “nobiltà” della ripresa sarà confermata.
Passiamo al Giappone. Qui, anche il governo Abe ha gettato il guanto di sfida: «Al diavolo le torpedini!», ha detto il primo ministro, lanciando, con la collaborazione della Banca centrale, un “uno-due” di espansione quantitativa della moneta e di maggiori spese pubbliche. Per la politica di bilancio, tuttavia, i messaggi sono stati contraddittori, un colpo al cerchio e uno alla botte. Il colpo alla botte è andato nel senso della restrizione: un aumento di tre punti dell’Iva giapponese che, come già successe con un simile intempestivo aggravio nel 1997, ha ricacciato indietro l’economia. Ma il problema principale è ancora un altro: la “Abenomics” aveva in faretra tre frecce, quella monetaria, quella di bilancio e quella delle “riforme strutturali”.
Continua da pagina 1 Le prime due sono state, bene o male, scoccate. Ma la freccia delle riforme che dovevano affrontare rigidità e spazzare sussidi, nei mercati del lavoro, dei prodotti e dei servizi, sono ancora al palo. Adesso Abe ha avuto con nuove elezioni un nuovo mandato, e intende usarlo per far funzionare la terza freccia. Il 2015 si presenta quindi come l’anno della verità per la “Abenomics”. Riusciranno i nostri eroi...? In verità, meritano di riuscire, se non altro per aver tentato strade nuove.
Passiamo alla seconda economia del mondo, la Cina, il Paese più grosso fra gli emergenti che ormai hanno superato il 50% dell’economia mondiale. C’è molta preoccupazione sulla Cina: ogni volta che il tasso di crescita si rivela un po’ più basso del previsto - al 7% invece che al 7,5% - corrono fremiti di imminenti catastrofi. In verità, i problemi cinesi non sono di carattere economico: il rallentamento in corso è non solo fisiologico ma necessario, e riflette il passaggio da un modello di sviluppo basato sull’export a uno basato sulla domanda interna, da un modello basato su vantaggi comparati nelle produzioni ad alta intensità di lavoro a uno che intende catturare segmenti più elevati di valore aggiunto. Non ci sono grossi ostacoli a che questo passaggio si realizzi, in un’economia eterodiretta dove gli spazi per politiche monetarie e di bilancio a sostegno dell’economia sono considerevoli. I punti interrogativi sono tutti politici: nel Paese matura e cresce la domanda di libertà civili, dopo che sono state allargate le libertà economiche. Fino a che punto sarà possibile, per la dirigenza cinese, controllare senza strappi la crescente insofferenza nei confronti del partito unico e della censura? I disordini di Hong Kong - oggi (temporaneamente) rientrati - sono una prima avvisaglia. Di nuovo, il 2015 ci dirà se la Cina sarà capace di mantenersi su un sentiero stretto che assomiglia sempre più a un filo di rasoio.
Il crollo del prezzo del petrolio è un fatto ormai strutturale, dato il balzo dell’offerta permesso dalle nuove tecnologie di estrazione di petrolio da scisti. Per i pozzi già aperti, con investimenti già ammortizzati, il costo marginale è basso e l?estrazione è conveniente quasi a qualsiasi prezzo: lo sbilancio fra offerta e domanda quindi continuerà. Per l?economia mondiale c?è un vantaggio di domanda, dato che la propensione a spendere dei Paesi consumatori è maggiore di quella dei Paesi produttori. Per la lotta all’inquinamento un petrolio meno caro non è cosa buona, dato che se ne consuma di più e aumenta il vantaggio di costo rispetto alle energie rinnovabili. Ma il problema principale per l?economia mondiale è anche qui politico. Come reagirà la Russia di fronte a una caduta del prezzo del greggio che minaccia recessione economica e malcontento politico, in una cleptocrazia che già vacilla sotto il peso delle sanzioni e che è invischiata nel problema ucraino?
E veniamo al nostro continente. Anche qui i nodi al pettine sono molti. In Italia la legge di Stabilità non lo dice, ma i numeri del deficit hanno senso solo se la crescita si rivelerà più sostenuta del previsto. La “fuga in avanti” di Renzi era la sola via possibile e rappresenta una scommessa su un miglioramento della congiuntura legato a speranza e fiducia in un nuovo corso della politica. In questo senso il 2015 si rivela, ancora una volta, come l?anno della verità: non solo per la “Abenomics”, ma anche per la “Renzinomics”.
Questo è anche l?anno in cui, nel gran calderone della politica economica europea, si stanno tentando nuove strade. Ci sono i 315 miliardi di investimenti promessi da Juncker: si tratta, come sembra per ora, di un caso di “nozze coi fichi secchi” o ci sarà qualche piatto più sostanzioso? E riuscirà la Bce di Mario Draghi a riportare gli attivi della Banca al livello di tre anni fa con acquisti di titoli di Stato, i soli che abbiano un mercato abbastanza liquido da consentire un’espansione quantitativa stile Fed? L’Europa oggi è l’area più attardata dell’economia mondiale, ma i dati positivi - euro più competitivo e petrolio meno caro - non mancano: peccato non siano merito di Bruxelles. Ecco la profezia: il 2015 per l?Europa può essere l’anno della svolta. «È scherzo o è follia?».