la Repubblica, 22 dicembre 2014
Romania, una rivoluzione europea a venticinque anni da Ceausescu. Nell’anniversario della caduta del dittatore il Paese, spossato dalla corruzione, cerca un nuovo inizio. Il presidente Iohannis promette pulizia. «Putin fa paura, meglio l’Ue», dicono in molti. Viaggio a Bucarest, dove la gente spera in una seconda rivoluzione
Abeti di natale illuminati ovunque, grandi stelle blu o dorate che vedi accese anche attraverso la nebbia, “Craciun fericit” (buon Natale) che scritte lucenti ti augurano a ogni angolo. E ovunque, dall’Arco di Trionfo che evoca Parigi ai maestosi edifici neoclassici del centro, il traffico impazzito dello shopping delle feste, a ridurlo non basta nemmeno la fitta rete di métro. Così, natalizia e gioiosa, celando ricordi di quei giorni del sangue di 25 anni fa, ti accoglie Bucarest un quarto di secolo dopo la caduta del tiranno. Rammentando come la vidi allora, attento a schivare i tiri dei cecchini, mi appare irriconoscibile. Qui, una generazione addietro, questo paese oggi economia in decollo e società civile pulsante e libera chiuse l’‘89 della grande svolta d’Europa col capitolo più drammatico. E oggi col neopresidente Klaus Iohannis, “mister mani pulite”, spera in un nuovo inizio, addio alla corruzione del potere. Benvenuti nella seconda rivoluzione romena, alla vigilia di Natale.
«Io lo conoscevo bene, fui suo consigliere, invano al ritorno insieme da Pyongyang cercai di dissuaderlo dal culto della personalità dinastico nordcoreano che lo aveva sedotto. Mi punì togliendomi ogni carica. Divenni piccolo impiegato in una casa editoriale di provincia, e tre auto della Securitate seguivano me e mia moglie a ogni passo, lui era divenuto vittima di paranoie megalomani», mi narra oggi sereno Ion Iliescu, il gorbacioviano del Pcr cui nella tempesta del golpe-rivoluzione toccò divenire presidente provvisorio. Percorriamo insieme la città, nel traffico, tra palazzoni realsocialisti e grattacieli delle multinazionali (molte italiane) arriviamo all’enorme cimitero di Ghencea. «Sono sepolti là, vada a vedere». In un angolo una tomba laica in marmo rosso ospita Nicolae Ceausescu e la moglie Elena, a pochi passi Nicu, l’erede designato, riposa sotto una lapide bianca, chi sa perché con una croce. Pochi ma freschi, garofani rossi e lampioncini votivi adornano quelle tombe: scarsi nostalgici, e la famiglia.
«Per loro – ricorda Iliescu – mi battei per un processo regolare, civile, pubblico davanti al mondo Ma erano ore cruciali. Il generale Stanculescu, capo di stato maggiore, aveva portato l’Armata con la rivoluzione, e chiese di eliminarli subito, per privare dell’idolo i resistenti del vecchio ordine». Esecuzione sommaria in una caserma, trasmessa subito dalla tv primo obiettivo strategico conquistato dai rivoluzionari. Oggi, la pietà cristiana d’una tomba che Ceausescu negò a migliaia di sue vittime: i bimbi uccisi a baionettate a Timisoara a inizio dicembre ‘89, o nel 1957 i contadini di Vadu Rosca, in rivolta contro la collettivizzazione forzata. «Ceausescu in persona guidò la repressione, chi non cadde sotto i mitra della Securitate ebbe i denti strappati uno a uno, per suo ordine».
L’atroce Spoon river delle vittime del Conducator è Memoria un po’ diluita dal tempo. «Adesso, 25 anni dopo, con il nuovo stile di Iohannis presidente viviamo una nuova rivoluzione, da europei», mi dice Petre Roman, eroe sulle barricate 25 anni fa, poi primo premier democratico e riformatore, passeggiando nel centro in febbre da shopping. «Iohannis ha scelto proprio i giorni dell’anniversario per ammonire che al voto ha vinto la società civile che dice basta alla corruzione. È bello, fa sperare».
È come leggere “Vite parallele” di Plutarco, quando ascolti Iliescu e Roman, i due eroi di allora che poi si divisero e og- gi si frequentano con stima leale. «Io quel mattino ero nella casa editrice di provincia, mio esilio interno, i colleghi mi fecero notare che le auto della Securitate al mio seguito erano scomparse, segno strano. Accorsi a Bucarest, creammo il Consiglio supremo». Roman aveva cominciato a rischiare poche ore prima. «Ero docente – spiega – seguii i miei studenti sulla grande barricata nel cuore del centro. Sapevamo di poter morire da un momento all’altro, eppure i nostri volti sereni celavano la paura anche a noi stessi. Anni dopo rivedendoci ricordammo un verso di Evtushenko, “non sentirti morto prima che la morte arrivi”. Sapevamo allora che potevamo solo temere di finire sconfitti, torturati e uccisi».
Poche ore dopo, Roman ricorda, gli toccò essere il primo leader della rivoluzione a parlare alla gente dal balcone di Ceausescu. E Iliescu creò il governo provvisorio, «per fortuna prendemmo subito la centrale tv, la nostra fu la prima rivoluzione resa globale dalle tv globali. Poi si divisero: Roman voleva riforme radicali subito come in Polonia, Iliescu si piegò al vecchio apparato bolscevico, deciso a riciclarsi. Li denunciò invano come “nuovi ricchi d’un capitalismo di famiglie e di amici degli amici”, e invano da avversario politico auspicò per Roman più futuro da leader, subito.
Gattopardismo, corruzione, astuzie arroganti hanno frenato il paese per decenni, mi dice il columnist di grido Dan Turturica. Adesso, con Ue e Nato a fianco anche contro Putin, e dopo le presidenziali, il clima è diverso: nessuno è riuscito a imbavagliare giustizia e media come ha fatto in Ungheria Orbàn – visto qui come l’incubo al confine. «25 anni dopo, clima incoraggiante», mi dice Norman Manea, scrittore del momento. «Incredibile – ragiona – un protestante della minoranza tedesca scelto in un paese neolatino e ortodosso…la gente si mostra stanca della parodia di lotta politica tra potenti della cosiddetta sinistra e della destra dominata da risentimenti. Iohannis ha davanti a sé compiti difficili, contro politici dalle abitudini mafiose, ma oggi come allora è troppo difficile abbandonare la speranza».