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 2014  dicembre 03 Mercoledì calendario

Larry Page e Sergej Brin alla giuda della classifica sulla reputazione delle aziende. In testa agli italiani c’è Ferrero al 34° posto, seguono Armani (44), Lavazza (60), Barilla (73), Benetton (76)

Google e Microsoft, Microsoft e Google. Niente da fare: quando il tema è «reputazione delle aziende» e in questione c’è il contributo al sociale, il primo posto è cosa loro. Se lo palleggiano da anni e stavolta – 2014 – è la creatura di Larry Page e Sergej Brin a controsorpassare in testa il colosso fondato da Bill Gates. Poco importa che la prima abbia alcuni guai con l’Europa e il suo invasivo monopolio cominci a infastidire, un po’, persino i navigatori meno attenti alle insidie della privacy violata. Poco importa anche che la seconda mostri, non troppo raramente, falle che quegli stessi navigatori li fanno imbestialire (o aprono porte agli hacker: vedi l’invito del Dipartimento di Sicurezza Usa, nell’aprile scorso, a usare browser diversi da Explorer). Non sono, evidentemente, impicci tali da intaccare il capitale di «stima, fiducia, ammirazione, rispetto» accumulato dall’una e dall’altra. Che occupano così, di nuovo, i vertici della classifica mondiale stilata dal Reputation Institute. 
C’è naturalmente una ragione, a spiegare perché la fama di Google o Microsoft o Walt Disney (la terza delle cento hit) resistano anche quando il prodotto, invece, qualche colpo lo perde. È la stessa, soltanto vista dall’altra parte dello specchio, che sta dietro gli scivoloni di Apple. 
«Chi sei è più importante di “cosa” fai», recita uno dei principi «certificati» dall’istituto leader della consulenza nel settore. Difatti. Steve Jobs da solo valeva il 60% della reputazione della Mela. Quando è morto, nell’ottobre 2011, in Apple restava ancora abbastanza di lui da garantire al gruppo il secondo posto nella «reputazione per sostenibilità». Dopo, inesorabile, la secca caduta: quinta posizione nel 2012, nona l’anno dopo, e solo ora una parziale ripresa con il ritorno alla quinta. 
Vale per tutti, e dunque anche per le società italiane. Se ne piazzano ben sei, tra le prime cento della classifica (che verrà pubblicata oggi e che Il Corriere della Sera anticipa in contemporanea con Forbes ). Non è una pattuglia sparuta come potrebbe sembrare, visto che sono 15 i Paesi presi in considerazione. Quel che stupisce, semmai, è che non ci siano big come Fca o Eni – spiegazione di Reputation Institute: è il livello di reputazione in patria, a non metterle in gara – e che cinque di quelle sei siano aziende non quotate. Non lo è Ferrero, primo dei gruppi made in Italy con il suo 34° posto, e non lo sono Armani (44), Lavazza (60), Barilla (73), Benetton (76). Solo Pirelli, seconda società tricolore in graduatoria (47° posto), in Borsa c’è. Che la sostenibilità e l’attenzione al sociale siano, da noi, più semplici fuori da Piazza Affari?