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 2014  novembre 27 Giovedì calendario

«Solo un anno fa Intesa Sanpaolo capitalizzava 25 miliardi, adesso siamo a 40. C’era il rischio di essere scalati e il livello di motivazione delle persone era molto basso. Adesso il clima è completamente cambiato. Clima interno e, soprattutto, numeri della banca». Parla il consigliere delegato di Intesa Carlo Messina

«Forse abbiamo perso l’abitudine ma ogni tanto un po’ d’orgoglio fa bene. Anche come italiani. Anche per chi lavora in questa banca. Solo un anno fa Intesa Sanpaolo capitalizzava 25 miliardi, adesso siamo a 40. C’era il rischio di essere scalati e il livello di motivazione delle persone era molto basso. Adesso il clima è completamente cambiato. Clima interno e, soprattutto, numeri della banca».
Carlo Messina, consigliere delegato della Ca’ de Sass, ha dovuto passare, come tutti i banchieri, l’esame della Bce: «Siamo la banca più forte in Europa come capitale e la crescita degli investitori internazionali, oggi maggioranza del nostro azionariato, sta lì a dimostrarlo. Siamo la prima tra le principali banche del mondo in quanto a aumento in percentuale del valore di Borsa, davanti a istituti che vivono in Paesi ad alto tasso di sviluppo, come Cina e Qatar, per non parlare di tante blasonate banche europee che oggi sono dietro a noi come capitalizzazione. Potremmo dire che siamo un caso di made in Italy di successo all’estero e il merito va alle nostre persone».
E adesso? Dopo gli stress test la banca può contare su 16 miliardi di capitale in eccesso. Cosa ne farete?
«Possiamo valutare la crescita con acquisizioni, ma non immaginare una fusione come quella tra Intesa e Sanpaolo. È stata una delle più riuscite operazioni di integrazione, ma adesso la crescita deve avvenire con altre modalità. Non sono malato di esterofilia ma con le dimensioni che abbiamo in Italia non è possibile pensare ad acquisizioni interne di banche o di reti di sportelli. Ci sarebbero pochissime sinergie e notevoli sovrapposizioni, con problemi anche occupazionali. E al riguardo, grazie anche alla crescita dei nostri ricavi, gli esuberi previsti dal piano, circa 4.500 persone, continueranno a fare parte del gruppo. Detto questo: se nel risparmio gestito e nel private banking dovessero esserci delle opportunità in Italia siamo pronti a coglierle».
Quindi niente Mps?
«Mi pare di essere stato chiaro»
Il piano industriale a che punto è?
«Il piano procede a pieno ritmo. Come ricavi da commissioni, ad esempio, siamo i primi in Europa con un +10% rispetto al 2013. Un risultato che ci permette di confermare senza esitazioni i 10 miliardi di dividendi attesi da qui al 2017. Ma quest’anno ci siamo concentrati anche nella riorganizzazione: in dodici mesi abbiamo fatto il lavoro di anni, intervenendo in tutti i comparti del gruppo e ripensandone profondamente la struttura operativa. Abbiamo lanciato la Capital Light Bank per rafforzare ulteriormente il nostro capitale, ridisegnato la Divisione Corporate e riorganizzato la Banca dei Territori, il motore di crescita con il maggior potenziale. Abbiamo rinnovato il management e valorizzato le risorse interne, in particolare femminili. È stata riorganizzata l’area del wealth management, con la creazione delle divisioni private banking, asset management e assicurazioni, e in questi ambiti esploreremo tutte le opzioni di crescita, incluse quelle per linee esterne».
Lo farà?
«Sono questi i settori su cui puntiamo per crescere, non ci interessano mega operazioni di fusione e di acquisizione di altri gruppi simili al nostro».
Ma siete pronti a cogliere queste opportunità?
«Abbiamo ringiovanito le strutture della Banca dei Territori, nomineremo circa 2.000 nuovi responsabili a livello locale. Prima era un esercito che prevedeva soldati semplici e generali, adesso ci saranno i capitani e i tenenti, una struttura a maglie più strette. Abbiamo promesso 4,5 miliardi di utili nel 2017 e rispetteremo l’impegno, anche se lo scenario di crescita in Italia è peggiorato. Per il 2014 si attendeva un Pil compreso tra lo 0,5% e l’1% mentre sarà negativo per lo 0,3-0,4%. La nostra Banca, però, è attrezzata e fonda la sua forza sul risparmio degli italiani».
Come procede la riforma della governance?
«Il cantiere è aperto e il tema è di competenza del Consiglio di Sorveglianza e quindi degli azionisti. Le leve per gestire l’azienda resteranno in ogni caso una prerogativa del consigliere delegato».
E i 16 miliardi di capitale in eccesso?
«Sono i nostri tratti distintivi in fatto di solidità e di forza patrimoniale. Anche se arrivassero ulteriori regole stringenti sui coefficienti saremmo del tutto tranquilli».
Torniamo alle acquisizioni. All’estero non è andata sempre bene, pensiamo a Ucraina e Ungheria.
«Appunto. Non è accettabile perdere milioni di euro in Paesi come quelli che ha ricordato mentre si fa fatica a realizzarli qui in Italia. Comunque, ripeto, ci interessa crescere nel private banking, nell’asset management, nelle assicurazioni».
Quindi?
«Pensiamo piuttosto a Paesi con la tripla A. Ad esempio a Paesi come gli Stati Uniti, la Svizzera, il Regno Unito. A aree come l’Asia. Pensate che a Londra ci sono 450 mila italiani. Vogliamo crescere lì, magari rafforzando la strutture che già abbiamo in quei mercati».
O magari comprando la Coutts, la banca della Regina, dalla Royal Bank of Scotland?
«È un asset molto interessante ma Rbs è restia a venderla. D’altra parte noi non siamo disposti a pagare qualunque prezzo».
Pensate a delle fusioni nei settori del risparmio?
«L’avere creato il polo del private banking potrebbe rappresentare una moneta di scambio in caso di acquisizioni o partnership internazionali».
Anche nel risparmio gestito?
«La condizione, per il private banking come per l’asset management, è di mantenere il controllo delle attività. Tra depositi e risparmi gestiamo 800 miliardi di euro, la metà del Pil del Paese: siamo la cassaforte degli italiani e vogliamo continuare ad esserlo. Questa è la nostra missione identitaria. Nell’asset management possiamo fare di Eurizon un polo aggregante».
E operazioni cross border tipo Commerzbank?
«Per le ragioni che ho detto prima, non guardiamo a questo tipo di operazioni».
Gli investitori preferirebbero un bel dividendo straordinario.
«Certo, in funzione degli aspetti regolatori che verranno definiti entro il 2015 dal 2016 l’eccesso di capitale non destinato alla crescita verrà restituito agli azionisti».
E intanto le imprese aspettano i prestiti.
«Noi siamo il primo erogatore di prestiti in Italia. In nove mesi abbiamo dato finanziamenti a medio – lungo termine per oltre 20 miliardi di euro, quasi quanto tutte le altre banche italiane messe insieme. Il nostro piano prevede erogazioni per la sola Italia pari a 140 miliardi di euro entro il 2017. Inoltre, entro la fine dell’anno avremo raccolto 12,5 miliardi dalla Bce: credito a condizioni vantaggiose destinato alle famiglie e alle imprese italiane, di fatto già interamente allocati. Abbiamo, prima banca in Italia, stanziato 600 milioni a favore dell’imprenditoria femminile. Stiamo anche lavorando per riportare a una situazione di tranquillità gli incagli, quella componente di crediti concessi a suo tempo ad aziende che ora stanno attraversando una fase di difficoltà. Metteremo a fattore comune tutte le nostre competenze per evitare che queste aziende vedano peggiorare la loro situazione finanziaria, con la conseguente chiusura di impianti produttivi e la perdita di posti di lavoro. Così potremo dare il nostro supporto agli imprenditori che possono farcela e ridurre l’impatto negativo della crisi sul nostro conto economico».
Sul piano macroeconomico c’è qualche segnale positivo?
«La svalutazione dell’euro sta spingendo le esportazioni. Un calo del cambio dell’euro verso il dollaro del 10% può generare una crescita del Pil dello 0,8%. Qui vedo una miniera. I mercati riflettono anche le recenti dichiarazioni di Draghi e la volontà della Fed di aumentare i tassi d’interesse. Credo che l’euro potrà restare basso per molto tempo. Ci sono già i segnali di un cambiamento: la forte crescita delle esportazioni e il consistente saldo commerciale Un altro motore di sviluppo per l’economia italiana sarà l’Expo, ne sono convinto. Si tratta di cambiare il clima e diradare i le paure delle famiglie. Che restano ancora troppo forti: per questo preferiscono risparmiare anziché investire e consumare».
Qualcuno teme il voto anticipato a maggio.
«Proprio quello che non ci vorrebbe».