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 2014  novembre 27 Giovedì calendario

Sgominata a Napoli la banda di 50 persone che falsificavano il 90% degli euro taroccati che circolano in Europa. Un danno stimato, dal giorno in ci è entrato in vigore l’euro, in oltre 500 milioni. Ecco dove ci porta la nostra inesauribile vena artistica, il nostro gusto per l’alta precisione artigianale, la nostra inguaribile furbizia

La banca mondiale degli euro e dei dollari falsi era Napoli. Gli abili «professionisti» del crimine napoletani sono infatti ritenuti «responsabili del 90 per cento della falsificazione monetaria mondiale», come indicato dalle autorità monetarie internazionali. Un danno stimato, dal giorno in ci è entrato in vigore l’euro, in oltre 500 milioni. I carabinieri dei comandi provinciali di Caserta e Napoli e dell’Antifalsificazione monetaria hanno sgominato la gang «Napoli group», cosi denominata dagli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia(ma, al momento, la camorra non c’entrerebbe con la «banca» del falso) e della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Ventinove indagati sono finiti in carcere, altri dieci ai domiciliari, mentre in cinque hanno ricevuto un provvedimento di obbligo di presentazione in caserma e altri 12 un divieto di dimora nel proprio comune di residenza. Tra coloro che dovranno lasciare la propria abitazione, vi è anche Domenica Guardato, la mamma di Fortuna, la piccola di 4 anni morta in circostanze ancora tutte da chiarire. Ma, i «dipendenti» di questa holding senza scrupoli, che immetteva sul mercato non solo euro e dollari, ma, anche gratta e vinci e marche da bollo falsi, erano molto più numerosi.
In tempi di pari opportunità, un ruolo importante nella gang lo avrebbero avuto le «quote rosa»: una dei due personaggi principali emersi dalla indagine sarebbe infatti Vincenza Parisi, detta Zì Vincenza mentre l’altro presunto capo era, Roberto Di Lucrezio. I due indagati sarebbero «riusciti ad acquisire le risorse umane e materiali necessarie per organizzare opifici finalizzati alla produzione in proprio di monete metalliche e banconote contraffatte» come è spiegato nella ordinanza firmata dal gip Dario Gallo.
Il denaro era stampato con tecnica in offset ritenuta dagli esperti In grado di ottenere un prodotto di «alta qualità», a costi relativamente contenuti. La gang made in Naples produceva biglietti da 20 e 50 euro, monete da 1 e 2 euro e dollari. «Prodotti di ottima fattura» spiegano gli inquirenti, roba da fare invidia persino a Totò, Peppino e Giacomo Furia della Banda degli onesti. Il denaro veniva diffuso non solo e Napoli ma, anche a Torino, Milano, Foggia, in Calabria e in Sicilia. All’estero i paesi prescelti erano, tra gli altri, Spagna, Francia, Romania, Bulgaria, Albania, Senegal, Marocco, Tunisia e Algeria. I falsari hanno voluto strafare, immettendo sul mercato tedesco una inesistente banconota da 300 euro.
Nel corso della indagine i carabinieri avevano già arrestato una trentina di persone ma, «per comprendere le dimensioni del fenomeno in argomento – è spiegato nella ordinanza del gip – si forniscono i dati pubblicati dalla Banca d’Italia, dai quali emerge, con chiarezza, come i sequestri delle banconote false «nostrane» effettuati nei Paesi europei è pari a circa il 70% del totale delle banconote sequestrate, ovvero circa 140 mila pezzi (circa 90 mila banconote false da 20 euro e circa 50 mila banconote false da 50 euro), corrispondente al valore nominale complessivo di circa 4,3 milioni di euro, nel solo anno 2011. Nel gergo criminale, euro (biglietti e monete) e dollari erano chiamati «quelli là», «quei cosarielli», «l’americano» (i dollari), «quel servizio», «imbasciata» mentre gli «gnocchi» indicavano le monete di metallo. Un biglietto allo «spacciatore» costava due euro. Nel corso di una telefonata intercettata, un indagato chiede a un altro di «raggiungerlo a Scampia perchè ha due «imbasciate» per lui’. Uno dei due si lamenta con l’altro «per avergli fatto perdere dei clienti che ne volevano 5 – 600, che gli risponde che non deve preoccuparsi perchè queste altre imbasciate sono meglio dell’altra».

Carmine Spadafora


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Un altro duro colpo inferto alla creatività del Made in Italy: la voglia di titolare così è molto forte, quasi irresistibile. A dirla tutta, siamo troppo legati a Totò e Peppino in una delle loro leggendarie recitazioni («La banda degli onesti») per resistere alla tentazione perversa di una certa indulgenza, inconfessabilmente malinconica e affettuosa, nei confronti dei nostri falsari. È storia: nel ramo specifico, con o senza Totò, siamo da sempre i numeri uno al mondo. La nostra inesauribile vena artistica, il nostro gusto per l’alta precisione artigianale, la nostra inguaribile furbizia levantina ci portano a ridicolizzare puntualmente la concorrenza. Via, come possono pensare di arrivare ai nostri livelli, anche con tutto l’impegno e lo zelo che riescono a metterci persino i grandi copiatori asiatici, se il nostro genio ora vanta l’impresa totale, il pezzo d’autore più inedito di sempre: farsi cambiare da un tedesco la banconta da 300 euro, nuovo conio che nessuna zecca europea aveva mai nemmeno immaginato.
Lo sappiamo: non sarà una retata, benchè ingegnosa e capillare come quest’ultima, a stroncare la gloriosa tradizione. Per un falsario che viene ingabbiato, altri dieci sono pronti a colmare il vuoto. A raccoglierne l’eredità artistica e lo spirito imprenditoriale. Un know-how secolare non viene sgominato da una retata. E neppure da dieci retate. La verità è che il falso, in certi luoghi italiani, è patrimonio culturale. Affonda le radici nel territorio, nel costume, nella stessa anima della comunità. Viene tramandato religiosamente di padre in figlio, inalterabile dal tempo e dalle evoluzioni tecnici. Ammettiamolo: di fronte a un falsario vero, di quella scuola che una volta persino l’intelligence europea definì «qualitativamente inarrivabile», di fronte a simili talenti nessuno degli onesti riesce a provare soltanto sdegno e condanna: inconfessabile, nascosta, nel doppiofondo, sopravvive sempre una microscopica particella di ammirazione.
Con tutta l’ironia e il cinismo goliardico che ci vogliamo concedere, non dobbiamo però cadere nell’errore di minimizzare, comprendere, giustificare. Al netto del colore e di Totò, queste bande stampano moneta corrente, come vorrebbero fare – senza averne più il potere – i singoli stati sovrani per reagire alla crisi. Anche se ci scappa da ridere, questo resta pur sempre uno dei reati più gravi. A forza di buttarla in ridere si può arrivare tranquillamente anche al collasso del sistema. E comunque nel nostro privato la voglia di ridere passa di colpo, quando ci resta in mano il cerino acceso di una banconota farlocca, dopo il suo lungo giro cominciato nei dintorni del Vesuvio. A quel punto è rabbia vera, come per un furto o uno scippo. Verificare improvvisamente che il nostro biglietto da venti, da cinquanta, da cento (lasciamo perdere quello da trecento) è in realtà carta da vetri non diventa poi così esilarante e folkloristico. È solo in quel momento, forse, che davvero realizziamo quanto in realtà sia poco invidiabile un certo mitologico Made in Italy, diffuso in giro per il mondo con il brand «Illegalità». È in quel momento che comprendiamo l’unica verità vera: prima ce ne liberiamo, prima diventiamo una nazione civile.
Cristiano Gatti