L’Europeo, 26 novembre 2014
Tags : Giorgio Ambrosoli
«Mio padre è stato un uomo libero. Libero di opporsi alle minacce. Libero di opporsi alle corruzioni. Libero di opporsi alla logica dello sponsor politico...». Parla Umberto detto “Beto”, terzogenito di Giorgio Ambrosoli
Umberto detto “Beto”, terzogenito di Giorgio Ambrosoli (prima sono nati Francesca e Filippo, che è un architetto). Trentasette anni. Avvocato. «Come il mio papà» (è così che lo chiama, a volte). Pensavo non fosse facile parlare di certe cose, e invece... Subito una domanda che m’intriga: quanto ha pesato, quanto pesa la figura d’un padre come il suo?
Le dirò. I miei ricordi sono pochissimi. Per ovvie ragioni di età, soprattutto. E comunque... Le sembrerà strano, ma ho solo dei flash di grande serenità, più che d’ansie, di tensioni e d’inquietudini. Anzi, semmai sono memorie di un padre estremamente sereno. E presente... Sia io che i miei fratelli non notavamo alcuna differenza, paragonandolo a quelli dei nostri amici. Un padre che m’accompagnava all’asilo tutte le mattine. E faceva il possibile per venire a colazione tutti i giorni. Un padre-padre fino in fondo, in questo siamo stati fortunati. Nell’aver accanto un esempio tortissimo, intendo. Con le complicanze che ciò comportava, evidentemente.
Ovvero?
Be’, dal punto di vista emotivo, intanto. Quante volte, da piccolo, e non solo da piccolo, ho rimpianto di non averlo vicino sempre, in pratica. Come presenza che trasmetteva un insegnamento molto forte. Al punto che quando non c’era subentrava la nostalgia, il dolore... Sa, quand’e nato mio figlio Giorgio, noi in famiglia siamo fatti così, e anche mia sorella ha un figlio che si chiama Giorgio... Insomma: ne sentivamo la mancanza. Non come capita nei momenti di crisi. Non come padre-supporter. Ma per l’impossibilità di condividere con lui momenti di gioia più alti... Sia chiaro che il ricordo di mio padre è quello d’una persona seria, ma anche capace di grandissime ironie, sia pur filtrate, sempre, da un velo di grande austerità.
Lei ha detto: «Mio padre viene vissuto come una figura alla quale piacerebbe potersi rivolgere nel momento in cui si ha la tentazione di accettare il compromesso. O la percezione di aver rinunciato alla propria libertà». Una figura di riferimento, quindi: «Uno stimolo. E un “eroe”, in qualche modo...»
No, no. Lui era assolutamente lontano, dal concetto di eroe... È l’assurdo della nostra società: fai semplicemente il tuo dovere e allora come oggi ti trasforma in un “eroe”, appunto... Lui era quello che era. Quello che credeva giusto d’essere. Come uomo. Come genitore. Come parte dello Stato e quindi come cittadino... Lui ha dato il suo contributo, per cercar di fare dello Stato lo Stato che avrebbe voluto. Uno Stato di persone che sanno essere cittadini fino in fondo, appunto. Che sanno essere uomini, fino in fondo. Che sanno essere genitori, fino in fondo...
Lui ancora un’eccezione, dunque...
No: ce ne sono tanti, di uomini così. Davvero tanti. E mio padre questo ci ha lasciato in eredità. Una grandissima eredità. Un testamento importante. O meglio: un insegnamento da trasmettere non nel senso dei posteri, diciamo da trasferire, semmai.
Il testamento... Mi fa venir in mente la famosa lettera scritta a sua madre. E nel mio cinismo, se vuole... Insomma, certe reiterate parole come valori, doveri... Mi son parse un po’arcaiche, ecco...
No, no: in quella lettera non c’è retorica. C’è tutto il suo carattere, piuttosto. Quella lettera è il frutto della prima analisi della situazione, l’analisi documentale... Scritta quando ha capito cosa l’aspettava... Quella lettera è l’esito d’una prima consapevolezza degli interessi che erano sottesi alla vicenda che gli era stata affidata. Gli interessi, le persone, i poteri... E il suo gesto, le sue scelte hanno molteplici prospettive di valutazione. Una di queste è certamente l’affermazione della propria libertà. Un’altra è la prospettiva dell’etica e della legalità... E della libertà degli altri, naturalmente...
E di fatti seguiranno le telefonate anonime e minacciose.
Già. E mio padre se ne preoccupò. Ma non certo vivendole come un incubo. E nemmeno noi, a essere sinceri. Tranne mia madre, forse, le dirò di più: quando lui è mancato, io, per la prima volta, ho sentito la parola “assassinio”. Prima la ignoravo, quella parola. Non ne conoscevo il significato...
Lei, la sua famiglia... Dov’eravate quando suo padre è stato ucciso?
In Liguria, al mare. Una telefonata svegliò di notte mia mamma. E lei la mattina dopo svegliò noi. Non ci disse ciò che era successo. Ma a un certo punto ci fermammo in un autogrill, e lì trasmettevano il giornale radio. Non la collegai a nulla, sul momento, quella parola. Anche perché, semmai, mi rievocava l’assassinio di Umberto I di Savoia, che mio padre m’aveva raccontato, e io, nell’ingenuità dei bambini, subito avevo pensato: “l’avranno ucciso con le pietre: anzi, con i sanpietrini”, che era pur sempre l’immagine del gesto rivoluzionario.
Ma infine, avvocato, la morte di suo padre... Una sconfitta?
Definirei sconfitta un esito diverso da quello che è stato, orrendo e drammatico. Definirei sconfitta se mio padre si fosse piegato a interessi diversi da quelli cui istituzionalmente era stato preposto. Ovviamente non è stata una vittoria. E però il ricordarlo in continuazione... Fa riflettere, sì. Su ciò che ha tatto e ciò che ha rappresentato. Una figura importante. E anche una grande energia positiva, anche una grande forza propulsiva...
Il ricordarlo in continuazione... Le cerimonie commemorative. Le strade dedicate a lui. Le tesi di laurea, su di lui. Eppoi la medaglia al valor civile addirittura consegnata a sua madre da Carlo Azeglio Ciampi presidente. E la cittadinanza onoraria di Roma Capitale, sindaco Walter Veltroni. A parte i libri, il film di Michele Placido titolato proprio Un eroe borghese, dall’omonimo saggio di Corrado Stajano...
Il fatto è che tutti hanno capito, a cominciare dai giovani, che mio padre è stato un uomo libero. Libero di opporsi alle minacce. Libero di opporsi alle corruzioni. Libero di opporsi alla logica dello sponsor politico...
Mai pensato che se avesse voluto avrebbe potuto salvarsi?
Già. L’ha detto anche Gherardo Colombo: «Sarebbe bastato un niente, e nessuno si sarebbe accorto di niente». E l’ho dello anch’io, in realtà: «Gli sarebbe bastata una piccola concessione a chi lo blandiva. Qualche impercettibile sì a chi lo minacciava...».
Ma lui...
Lui era lui.
Esattamente.
Esattamente.