26 novembre 2014
Ferguson in rivolta. Darren Wilson, l’agente di polizia che ammazzò con 12 colpi di pistola il diciottenne nero disarmato Michael Brown, non sarà incriminato. L’eterna questione dell’ingiustizia tra bianchi e neri nell’America di Obama
Non sarà processato Darren Wilson, il poliziotto di Ferguson (Missouri) che il 9 agosto scorso, uccise con 12 colpi di pistola il 18enne nero disarmato Michael Brown. Ha agito legittimamente, in autodifesa ed entro i limiti dell’uso della forza letale a cui sono addestrati i poliziotti.
Con il pronunciamento del Gran giurì che ha deciso di non incriminare Darren Wilson tutto diventa palcoscenico. Fanno parte della rappresentazione i capannoni incendiati mentre sullo sfondo si vedono i profili degli agenti in assetto di guerra che restano a guardare, i negozi distrutti e saccheggiati da decine di ragazzi che consegnano la refurtiva alle loro compagne che li aspettano sui marciapiedi. L’apoteosi mediatica è nella scintilla che innesca l’incendio: il filmato della metamorfosi della famiglia di Michael. Alla vigilia del verdetto il padre e la madre del ragazzo ucciso hanno sottoscritto un appello alla calma, chiedendo alla gente di Ferguson di evitare ogni violenza. Ma adesso che è arrivata l’assoluzione mamma Lesley sale su una piattaforma davanti a centinaia di persone che manifestano di fronte al commissariato di polizia di Ferguson. Piange e urla parole di dolore e rabbia infinite. Che culminano nell’invettiva incendiaria di Louis Head, il secondo marito di Lesley: «Bruciamo quella puttana», urla indicando la caserma della polizia [Gaggi, Cds].
Dodici palazzi della città sono stati dati alle fiamme e cinque sono arsi al suolo; due pantere della polizia sono andate perdute, quattro negozi sono stati vandalizzati dalla folla; ottantuno sono le persone arrestate tra Ferguson e Saint Louis, e 14 i feriti portati in ospedale, centinaia i colpi di arma da fuoco. Nessuna vittima, per fortuna [Pompetti, Mess]
In seguito alla decisione di non processare Wilson si sono state 130 manifestazioni in 37 Stati degli Usa [Gaggi, Cds]. A New York almeno mille persone hanno marciato verso Times Square, a Washington si sono raccolti davanti alla Casa Bianca [Pompetti, Mess]. Dopo la notte di fuoco, tuttavia, nella mattinata di ieri le proteste hanno assunto toni decisamente più civili, forse anche grazie agli appelli alla non violenza rivolti da Obama e dal padre di Brown [Robecco, Gio].
«Molti americani sono sconvolti perché hanno l’impressione che la giustizia non sia uguale per tutti. Bisogna scegliere i modi costruttivi di rispondere, non con attacchi criminali. Bisogna dare più attenzione alle proteste civili che si stanno svolgendo in queste ore. Sono pronto a lavorare con loro per assicurare che la legge e l’ordine siano applicati in modo imparziale. Non è solo il problema di Ferguson, è il problema di tutta l’America» (il presidente Barack Obama).
Poco dopo il verdetto del Grand Jury, Obama si è rivolto al Paese per dire due cose. Primo: la decisione può non piacervi, e avete tutto il diritto di manifestare la vostra rabbia, ma dovete farlo in maniera pacifica. Secondo: il problema razziale resta, impedisce all’America di sviluppare a pieno le sue potenzialità, e va affrontato con un dibattito nazionale. È stato ascoltato così poco, che mentre parlava le tv già mandavano in onda le immagini dei violenti che sfondavano le auto della polizia, saccheggiavano e incendiavano i negozi. Naturalmente non c’è giustificazione per questo genere di comportamenti, ma dietro c’è una rabbia che va oltre l’episodio dell’uccisione di Michael Brown [Mastrollili, Sta].
«È uno scandalo ma avete visto come sono vestiti i poliziotti? Quelle non sono le normali uniformi antisommossa. Quelle sono bardature militari della guerra in Iraq. Ci trattano anche simbolicamente come dei nemici da sterminare» (un manifestante di Brooklyn) [Guzzanti, Grn].
Solo il 36 per cento della popolazione americana pensa che la polizia non sia all’altezza dei propri compiti, che si comporti male, e sia troppo violenta. La percentuale potrebbe far credere che nel Paese ci sia una certa fiducia verso le forze dell’ordine. Ma è un dato “color blind”, che non tiene conto delle differenze razziali. Se si leggono i dati sulle varie etnie, le cose cambiano ed emerge timore, se non odio verso coloro che dovrebbero mantenere l’ordine. I dati dimostrano che solo il 27 per cento dei bianchi critica le forze dell’ordine, ma fra i neri la percentuale sale a un vertiginoso 70%, e fra i latino-americani la paura dei poliziotti arriva al 45%. Un buon 50 per cento della popolazione, neri, bianchi e latino-americani, pensa infatti che almeno in un caso su due i poliziotti agiscano impunemente, nessuno protesti e nulla succeda [Guaita, Mess].
Ci sono 1.700 corpi di polizia negli Stati Uniti, e ognuno ha le proprie regole. Tutti però dovrebbe riferire all’Fbi su ogni caso di violenza eccessiva. In realtà, lo fanno solo poche centinaia di corpi, e solo quando un fatto diventa pubblico. Ad esempio, a New York il “chokehold” sarebbe illegale, così come il ricorso al manganello sulla testa della gente. Tuttavia, se lo scorso agosto Garnier non fosse morto, il fatto che Pantaleo avesse usato il chokehold sarebbe passato del tutto inosservato [Guaita, Mess].
Quel che accadde davvero il 9 agosto scorso a Ferguson, non si saprà mai. Il procedimento del Grand Jury prevede una segretezza eccezionale [Rampini, Rep]. McCulloch ha descritto con minuzia la ricostruzione delle prove sulla cui base è stato emesso il verdetto: da una parte decine di testimonianze di passanti, tutte concordi nel dichiarare che Brown si era arreso di fronte al poliziotto con la pistola spianata quando è stato colpito, ma tutte narrate con dettagli discordanti, e spesso contraddittorie tra di loro. Dall’altra la versione di Wilson, coerente e ben costruita sotto il profilo psicologico [Pompetti, Mess].
La giuria popolare composta da 12 persone, 9 bianchi e 3 neri, si era riunita per 25 giorni, ascoltando 60 testimoni. Quello che l’ha convinta di più, però, è stato il poliziotto [Mastrolilli, Sta].
Stando al suo racconto, quel 9 agosto, Wilson intercetta Brown, all’inizio, solo perché cammina per strada invece di stare sul marciapiede. Poi gli vede dei sigari in mano, lo sospetta autore di un furto commesso poco prima in una tabaccheria. A quel punto la ricostruzione di Wilson diventa drammatica. Il controllo d’identità diventa colluttazione: «Gli ordino di tornare indietro. Lui sbatte la mia portiera. Vengo colpito alla faccia con un pugno». L’altro è più grosso, più alto e più forte, lo terrorizza. «Mi urla che sono una femminuccia e non avrò il coraggio di sparargli, mi sbatte la portiera della mia auto addosso, mi strappa l’arma di mano: «Mi sento come un bambino di cinque anni che prova a bloccare Hulk. Sento un altro pugno in faccia, penso che il prossimo potrebbe essermi fatale». Wilson reagisce, riesce a impugnare l’arma e spara lui. Per due volte non succede nulla, alla terza esplode un colpo. Brown si scappa e inizia l’inseguimento: «Sembrava un demonio». Mike si gira e Darren carica: «Tutto ciò che vedo è la sua testa, sparo». Poi gli si avventa addosso anche quando è già crivellato di colpi. Altri testimoni hanno visto Brown in ginocchio, con le mani alzate, ma secondo McCulloch le prove forensi confermano la versione di Wilson, perché il Dna del ragazzo era sulla pistola. Il Grand giurì concorda, non lo ha incriminato perché ha sparato per legittima difesa. La gente non capisce perché servissero 12 colpi per fermare un diciottenne disarmato, anche se aveva rubato un pacco di sigari e litigato con un poliziotto [Rampini, Rep e Mastrolilli, Sta].
«Mi spiace per la perdita di una vita umana ma ho fatto semplicemente il mio lavoro. Non è stata un’esecuzione». Così Darren Wilson alla Abc, l’unica emittente che è riuscita a intervistarlo (certo non gratis) [Gaggi, Cds].
«Cosa penso della decisione del grand giurì? Sul primo round di colpi sparati da Wilson non ci sono dubbi che si è trattata di legittima difesa. La seconda sparatoria potrebbe essere un “close case”, un caso con maggiori margini di certezza, ma in fin dei conti non poteva esserci un’incriminazione. Questa è stata la decisione giusta, non c’erano prove per procedere» (Alan Dershowitz, docente di Harvard, e tra i massimi costituzionalisti e penalisti americani) [Semprini, Sta].
«Cosa penso della decisione del grand giurì? Prevedibile. In altri casi quando c’è un morto si arriva spesso a un’imputazione: che non è un verdetto di colpevolezza, ma permette altre indagini. La decisione chiude il caso. Impedisce ulteriori verifiche. Il risultato? Un brutto messaggio: la vita di un nero non ha il valore di quella degli altri americani» (Isabel Wilkerson, 53 anni, nel 1994 prima reporter nera a vincere il Pulitzer) [Lombardi, Rep].
Le sentenze del magistrato McCulloch sono sempre dalla parte della polizia: per convinzioni di destra e per ragioni biografiche, suo padre era poliziotto e fu ucciso da un nero [Rampini, Rep]: «Tutti noi avvocati e procuratori e giudici sappiamo benissimo che se un Procuratore lo vuole, può ottenere dal Gran Giurì l’incriminazione di un panino al prosciutto. Bob McCulloch, il procuratore della Contea, voleva arrivare al non luogo a procedere contro il poliziotto che ha ucciso Michael Brown e ovviamente ci riuscito» (Jeffrey Tobin consulente legale per la Cnn e per il New Yorker).
Per Alan Dershowitz, i media hanno enfatizzato tutto senza avvalersi di esperti: «Wilson avrebbe fatto probabilmente la stessa cosa se fosse stato minacciato e attaccato da un uomo bianco. Ma rimane il fatto che c’è un clima di ostilità tra la comunità nera e la polizia che deve essere affrontato» [Sempini, Sta].
«Nei vostri quartieri non ci sarebbero così tanti poliziotti bianchi, se voi neri non vi ammazzaste in continuazione tra di voi» (l’ex sindaco di New York Giuliani) [Sta].
Obama ha un’altra indagine in corso, quella federale affidata al suo segretario alla Giustizia Eric Holder, che potrebbe mettere sotto accusa l’intera polizia di Ferguson (95% bianchi su una popolazione al 60% nera) per abusi contro i diritti civili [Rampini, Rep].
Ogni volta che Obama ha aperto bocca su questi temi è stato attaccato, anche quando ha criticato l’arresto di un professore nero di Harvard che era stato fermato mentre cercava di forzare l’ingresso nella sua stessa casa, o quando ha detto che il giovane Trayvon Martin ammazzato in Florida da un vigilantes poteva essere suo figlio. L’ex professore di Princeton Cornel West non gli ha mai perdonato tanta prudenza: «È diventato la mascotte nera degli oligarchi di Wall Street, il pupazzo di colore dei plutocrati». Inutile la risposta che gli ha dato il reverendo nero Al Sharpton: «È la prima volta che in questo Paese abbiamo un presidente afroamericano. Lui non è il presidente degli afroamericani» [Sta].
«Profili su base razziale, esclusione sociale, segregazione territoriale, isolamento culturale... armi, paura, cocktail fatale!»; «Michael Brown: chi crede ancora che le razze esistano? Che non sono mai esistite? Chi ti sostituirà nel cielo dei nostri promettenti germogli? Nessuno!»; «Quanti anni aveva Michael Brown? 18. Trayvon Martin? 17. Tamir Rice? 12.Quanti anni avrà il prossimo? 12 mesi?»; «Kill them before they grow (uccideteli prima che crescano, unverso di Bob Marley)». Questi i tweet postati da Christiane Taubira, il ministro francese della Giustizia [P. Lev., Sta].
Ogni anno nel Paese avvengono circa mille «omicidi giustificabili», come li chiama la polizia, dove in sostanza viene ucciso qualcuno per errore. La maggior parte colpisce gli afroamericani, come ha dimostrato non solo il caso di Brown, che non era un angelo ma era disarmato, ma anche quello del dodicenne ammazzato sabato a Cleveland perché aveva in mano una pistola giocattolo [Sta].
«I poliziotti non dovrebbero avere armi letali, o meglio solo quelle. Questo di Ferguson è il classico esempio in cui si sarebbe dovuta usare la “stun gun” per fermare, non uccidere. Serve un addestramento più efficace per operare dove dominano minoranze, in modo tale da ridurre le situazioni di pericolo e il rischio di incidenti»(Alan Dershowitz) [Semprini, Sta].
La rivista The Economist ha rivelato che nel 2012 gli agenti Usa hanno ucciso 410 sospetti, mentre in Gran Bretagna non ne era stato ucciso nessuno. Ma in quello stesso anno, i sospetti avevano a loro volta ucciso 30 poliziotti, mentre in Gran Bretagna neanche uno. La paura cioè marcia in entrambe le direzioni, forse perché in questo Paese ci sono tante armi che nessuno più si sente davvero al sicuro [Guaita, Mess].
Intanto Mastrolilli sulla Stampa ci fa sapere che «l’Isis ha offerto asilo politico ai neri americani. D’accordo, sono i soliti provocatori e criminali. Nella loro offesa, però, c’è un punto, che si legge anche nelle manifestazioni spontanee scoppiate lunedì sera un po’ in tutti gli Stati Uniti, da New York a Beverly Hills. La razza continua a essere il principale elemento di divisione fra gli americani, e lo scontro sembra essere peggiorato durante il mandato del primo presidente nero nella storia della Casa Bianca» [Mastrollili, Sta].
«Purtroppo una persona sola non basta a cambiare il cuore di milioni di altre. Nemmeno Barack Obama» (Isabel Wilkerson) [Lombardi, Rep].