Il Messaggero, 26 novembre 2014
Pompei, l’eruzione più famosa della storia rivissuta in diretta nel nuovo libro di Alberto Angela. Che col sostegno di archeologi e vulcanologi ha ricostruito ora per ora quei tre terribili giorni di ottobre, nel 79 dopo Cristo
In città, la pioggia di lapilli, dal colore molto chiaro, non accenna a smettere e lo strato che ricopre strade, giardini e tetti continua ad aumentare. La caduta di piroclasti, ovvero pietre e rocce di varie dimensioni, è invece diminuita.
Tutti hanno cercato un riparo: chi in casa, chi sotto un arco, chi in un negozio, chi in un “bar” o un’osteria assieme a tanti sconosciuti. Ci si aiuta, ci si dà coraggio, e proprio in questi momenti si scopre la vera indole delle persone: uomini robusti e sempre pronti a comandare rimangono muti, senza sapere cosa fare, mentre magari persone comuni, assolutamente anonime, diventano punti di riferimento, leader dotati di sangue freddo…
Le poche persone che attraversano la strada lo fanno coprendosi la testa. Usano cuscini o pentole. Esattamente come farà la popolazione campana nel 1906 durante un’altra eruzione del Vesuvio.
Ma a rendere ancora più drammatica la situazione, oltre alle scosse, le pomici e le rocce che cadono dal cielo, è un altro “cavaliere dell’apocalisse” generato da questa eruzione: la cenere, che abbiamo menzionato poco fa.
POMICI E NEBBIA
Assieme alle pomici, Pompei è stata ricoperta fin da subito da cenere finissima. È calata una nebbia terribile: la città è letteralmente scomparsa, agli occhi non solo di chi prova ad avvistarla da lontano, ma anche di chi vive al suo interno: la visibilità è ridotta a poco più di un metro.
Ma non è una semplice nebbia: gli occhi bruciano e lacrimano di continuo, si fa fatica a respirare. Chi può, si mette un panno bagnato davanti alla bocca. In effetti ogni respiro causa bruciori alla gola e ai polmoni, e questo perché la cenere è costituita da tanti microscopici e taglienti frammenti vulcanici che irritano e feriscono le vie aeree. Oltre al crepitio delle pomici e ai colpi sordi delle rocce che piovono dal cielo, in questi concitati momenti a Pompei si sentono tante persone che tossiscono.
Vedendo ciò che è avvenuto durante l’eruzione del Mount St. Helen nel 1980, che ha provocato correnti piroclastiche e ricadute di grandi quantità di ceneri simili all’eruzione del 79 d.C., possiamo anche immaginare la situazione nelle strade di Pompei.
COME NEVE
La cenere infatti, come durante una fitta nevicata, si posa e si “appiccica” a tutto. Gli alberi ne vengono avvolti, e proprio come durante le grandi nevicate il peso comincia a spezzare i rami. Anzi, a volte sono alberi interi quelli che crollano. Sono rumori improvvisi, esplosivi, che si aggiungono a tutti gli altri.
Se la cenere del Mount St. Helen rigava i vetri delle auto quando si provava a usare i tergicristalli, potete ben immaginare che sensazione poteva provocare a Pompei ogni singolo respiro…
Zosimo è riuscito ad arrivare a casa. A causa dei lapilli che si sono infilati sotto il battente, solo con grande fatica è riuscito ad aprire la porta d’ingresso: l’ha quasi divelta. Ma una volta dentro ha pensato e agito con rapidità: ha subito chiamato a sé la moglie e i due figli, ha messo a ognuno di loro dei cuscini in testa, ha preso dell’acqua e insieme sono fuggiti dalla città uscendo da Porta di Sarno. Portare con sé gioielli o altri oggetti preziosi avrebbe solo rappresentato una perdita di tempo: ecco perché gli archeologi li troveranno ancora all’interno della sua abitazione. Sono scappati senza guardarsi indietro. Già, ma verso dove?
VERSO NOCERA
Da quel che è riuscito a carpire dai discorsi della gente per strada, la via più diretta per la salvezza è quella che porta verso Nocera. Certo, Nocera dista quasi quindici chilometri da qui, ma basterà superare il ponte sul Sarno e tutto migliorerà. Bisogna allontanarsi dal Vesuvius. Però il ponte non è certo vicino, sarà una marcia durissima. Fortunatamente a volte la nebbia sembra diradarsi un po’ e questo consente di vedere, a tratti, dove si sta andando e quello che c’è attorno…
Superata la Porta di Sarno, la piccola famiglia si trova davanti un deserto irriconoscibile: tutto è ricoperto da uno strato chiaro di pomici e ceneri che rende il paesaggio irreale. Le tombe lungo la via, fuori dalle mura, sembrano sculture sbozzate nella cenere che le avvolge, dei veri Prigioni michelangioleschi.
Ma la cosa più preoccupante è che la strada non è quasi più visibile, esattamente come quando ci si trova in una tormenta di neve. Nelle prossime ore scomparirà del tutto alla vista, e questo costituirà un ulteriore ostacolo per chi cercherà una via di fuga. Nelle località di montagna, anche ai nostri giorni, si ha l’accortezza di legare dei bastoni ai cippi posti lungo la strada, per segnalarne il tracciato anche sotto abbondanti nevicate. Qui, ovviamente, non c’è nulla del genere: bisogna andare a memoria.