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 2014  novembre 26 Mercoledì calendario

Il risiko del Colle: nessuno ha i numeri per imporsi. Ci sono solo tante minoranze in grado di interdire il gioco avversario. È così che vanno letti gli scontri nel Pd, le tensioni nel centrodestra e anche i contrastati rapporti tra Renzi e Berlusconi

Senza il brivido di una crisi di governo e senza la paura di voto anticipato, gli abitanti del Palazzo possono abbandonarsi al loro gioco preferito: il risiko del Colle. Ed è così che vanno letti gli scontri nel Pd, le tensioni nel centrodestra e anche i contrastati rapporti tra Renzi e Berlusconi. L’accordo che i protagonisti del Patto del Nazareno avevano stipulato per il Quirinale prevedeva l’adozione del «metodo per esclusione»: espunti inizialmente dalla lista i nomi dei «non graditi», si sarebbe arrivati alla scelta del successore di Napolitano percorrendo una sorta di ultimo miglio della trattativa, quando il premier avrebbe presentato al Cavaliere una «rosa» di candidati. 
Era chiaro che gli «esclusi» si sarebbero ribellati al gioco a due, così come Renzi era ed è consapevole dell’ingovernabilità di questo Parlamento quando è chiamato a trovare un’intesa su un nome da votare per il Colle: d’altronde era stato uno dei protagonisti della battaglia che un anno e mezzo fa aveva lasciato sul campo Marini e Prodi. Immaginava però che – insieme a Berlusconi – avrebbe costruito una piattaforma forte per portare a termine la missione. Ma le cose stanno andando diversamente. 
Non solo i rapporti tra i Nazareni sono ormai al minimo storico, lo dimostra il fatto che ieri Berlusconi non ha voluto rispondere alla specifica domanda, in più il premier deve gestire l’offensiva della minoranza pd, che parla di Jobs act e pensa al Quirinale. Non è dato sapere cosa ne sia dei suggerimenti offerti dal Colle, quante possibilità oggi abbiano Amato o Veltroni di succedere a Napolitano. Tuttavia una cosa è certa: il leader forzista vuole restare della partita, anche perché la sola idea che Grasso possa gestire pure per pochi giorni la «supplenza» da presidente del Senato lo fa rabbrividire. 
Al momento però, al tavolo di risiko, non si vede un blocco capace di prevalere, semmai tante minoranze in grado di interdire il gioco avversario. Se così stanno le cose, se è il Quirinale l’ossessione collettiva del Palazzo, allora è più facile interpretare l’apertura di Berlusconi a Salvini, quel «si può discutere» sulla leadership del centrodestra. E poco importa se, appena la scorsa settimana, lo stesso Berlusconi aveva preso l’iniziativa per incontrare Alfano – a cui solo sentire il nome di Salvini vengono le bolle – esortando i messaggeri a ricucire, «anche se lo so che Angelino non si fida di me». 
Il punto è che il Cavaliere cerca una centralità che ha perso. Sta ancora in mezzo, ma rispetto al passato è mutata la prospettiva: oggi è sotto assedio, anche nel suo partito. All’ufficio di presidenza di Forza Italia Fitto si prepara a dirgli che «l’apertura a Salvini fa il paio con quella fatta a Renzi», che in questo modo – dopo aver subito un’emorragia di voti verso il Pd – si rischia di perderne altri con la Lega, contro cui l’ex governatore della Puglia è pronto a issare le barricate in vista dello sbarco al Sud: «Noi meridionali – ironizzava ieri con i suoi – siamo accoglienti e ospitali...». 
Ma parlare di futuro è un espediente per contare e contarsi nel presente, dove tutti sono concentrati sul Quirinale. Nel Pd, D’Alema e Bersani si giocano la partita della vita, ed è proprio dal profondo della «ditta» che giungono messaggi di avvertimento a Renzi: «Non pensi di fare come per la nomina alla Farnesina, quando – dopo aver prospettato per settimane una rosa di donne – all’ultimo momento arrivò da Napolitano con i nomi di Gentiloni e Tonini. Sarebbe l’inferno». Il risiko è iniziato. Ognuno prepara i propri carri armati.