La Gazzetta dello Sport, 26 novembre 2014
Il Jobs Act è passato ieri alla Camera, senza bisogno del voto di fiducia, ma con grosse ferite politiche

Il Jobs Act è passato ieri alla Camera, senza bisogno del voto di fiducia, ma con grosse ferite politiche. E dovrà anche tornare al Senato.
• Com’è andata?
Il provvedimento è stato approvato con 316 sì e 6 no. La stranezza di questi numeri le racconta già la delicatezza del caso. La maggioranza assoluta teorica di 315 voti (senza contare i senatori a vita) è stata superata di un solo voto. L’opposizione, rappresentata da quel "6", è sparita. È successo che l’opposizione propriamente detta - Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega, Sel, Fratelli d’Italia - è uscita dall’aula sperando di far mancare il numero legale, col che si sarebbe dovuto rimandare tutto. La minoranza del Pd che avversa il Jobs Act s’è invece divisa. Due hanno votato contro (Civati e Pastorino), due si sono astenuti (Gandolfi e Guerini), 34 sono usciti dall’aula. Tra questi devono comprendersi i sei assenti giustificati (Di Stefano, Genovese, Rubinato, Calipari, La Marca, Enrico Letta). C’è poi da considerare che qualche deputato a cui il Jobs Act non piace lo ha comunque votato per disciplina di partito. Tra questi Bersani, il quale prima del voto ha così ragionato: «Siamo davanti a dei miglioramenti indiscutibili, di cui bisogna ringraziare i membri della commissione. C’è però un imprinting iniziale di queste norme che non convince. Il mio è il caso di uno che per la parte che condivide voterà con convinzione. Per quella che non condivide, e continua a non condividere, voterà per disciplina, come si conviene a uno che ha fatto il segretario per quattro anni e che vuole ribadire che i legni storti si raddrizzeranno solo nel Pd e da nessuna altra parte».
• Bello. Una dichiarazione che allontana il rischio di scissione?
Chi lo sa. Subito dopo il voto i dissenzienti hanno ufficializzato la nascita della loro corrente, con un documento e una conferenza stampa a Montecitorio. Ha detto Giannu Cuperlo: «Siamo accomunati da senso di responsabilità, ma abbiamo messo al centro il merito. Paura di andare contro lo statuto del Pd? Confidiamo nelle nuove regole sul licenziamento disciplinare...», cioè Cuperlo ironizza sulle nuove norme del Jobs Act.
• Non ho più capito se questo Jobs Act, che forse sarebbe meglio chiamare semplicemente "Legge sul Lavoro", permette di licenziare oppure no.
Non lo saprà con esattezza ancora per parecchio tempo: La legge approvata ieri affida al governo la scrittura dei cosiddetti "decreti attuativi", cioè i testi legislativi che dovranno fissare con precisione i vari casi. Sappiamo da quello che hanno dichiarato Renzi e altri rappresentanti del governo che si vorrebbe lasciare poco spazio alle decisioni autonome del giudice del lavoro. Quindi, Renzi si propone di regolare la materia nel dettaglio, fatto che sarà foriero di altri scontri, con la minoranza interna e con la Cgil. Gli oppositori del Jobs Act sostengono che a Renzi viene data una delega praticamente in bianco, su una materia dalle grandi implicazioni sociali.
• È vero?
L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori rendeva praticamente impossibile il licenziamento nelle aziende con più di 15 dipendenti: il giudice del lavoro reintegrava quasi sempre, anche in casi assurdi, e se la causa era andata per le lunghe il datore di lavoro doveva pagare tutti gli stipendi del periodo intercorso tra il giorno del licenziamento e quello della sentenza. Le linee guida dei decreti attuativi renziani fisseranno la regola che dopo essere stato licenziato per motivi economici (l’azienda in crisi) il lavoratore avrà diritto solo a un indennizzo tanto più cospicuo quanto più risulterà alta la sua anzianità lavorativa. I licenziamenti per motivi disciplinari e quelli per motivi discriminatori lasceranno invece aperta la strada del reintegro, ma per evitare che a decidere sia in definitiva il giudice i decreti fisseranno con molta pignoleria i vari casi. Ho dubbi su questo, naturalmente, la casistica che ci offre la vita reale è infinita, e pressoché impossibile da incasellare. Ma staremo a vedere.
• Che altro prevede il Job Act?
La parte più importante riguarda il nuovo sistema degli ammortizzatori sociali. Scomparsa della cassa integrazione in deroga e sussidio di disoccupazione universale per tutti coloro che perdono il lavoro dopo aver lavorato almeno tre mesi. I dettagli si conosceranno nei decreti, ma si sa già che il sussidio si chiamerà Naspi (Nuova Assicurazione Sociale Per l’Impiego, riprendendo il vecchio nome Aspi introdotto dalla Fornero) e che verrà erogato per un periodo di tempo dimezzato rispetto ai mesi lavorati negli ultimi quattro anni. A differenza di quello che accade con la cassa integrazione, i sindacati, a quanto si capisce, non avranno alcun ruolo nella distribuzione di questo assegno e anche per questo sono fieramente contrari a tutto l’impianto.