Il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2014
L’archivio di Garcia Marquez finisce in Texas. L’università di Austin si compra tutto dalla copia di Cent’anni solitudine battuta a macchina al romanzo inedito Ci vediamo ad agosto. E pensare per decenni, allo scrittore, fu impedito di ottenere il visto di ingresso negli Stati Uniti
Ogni lettore di Cent’anni di solitudine ha immaginato Macondo a modo suo, ciascuno l’ha collocata in un luogo diverso, molti ne hanno fatto la loro isoletta privata, lo scrigno della loro intimità, il luogo in cui trovare rifugio, calore, salvezza, il non-luogo della propria fanciullezza e fantasia. Il capostipite e fondatore di Macondo, José Arcadio Buendìa, partorito dalla fantasia di Gabriel García Márquez, ha avuto quasi lo stesso destino di Sherlock Holmes, il celebre investigatore londinese che molti ritengono sia esistito davvero. Così come davvero per milioni di lettori è esistita ed esiste Macondo. Ora se volete visitarla, potete trovarla a Austin presso lo Harry Ransom Center, una istituzione dell’Università del Texas.
Strano destino quello dell’archivio personale di Gabriel García Márquez, morto a 87 anni lo scorso aprile. Per tutta la vita Márquez non ha lesinato le critiche all’imperialismo americano tanto che per decenni gli fu impedito di ottenere il visto di ingresso negli Stati Uniti, un ostracismo durato anche dopo il successo planetario del suo libro più famoso e l’assegnazione del Nobel per la letteratura nel 1982. E non di meno ieri l’Università del Texas ha annunciato di aver acquisito l’archivio di Gabo, una miniera di manoscritti, appunti, album di fotografie, lettere, oggetti personali tra cui due macchine da scrivere Smith Corona e cinque computer Apple. Márquez e la sua città sono “gone to Texas” (andati in Texas), una espressione in voga verso la metà dell’800, anche con le sole iniziali GTT, quando in America il Texas era noto per la facilità con cui dava accoglienza a banditi, criminali e fuorilegge di ogni genere. E in qualche misura tale è stato per tanto tempo il grande scrittore sudamericano agli occhi della diplomazia americana. Inoltre, pur nato in Colombia, Gabo ha trascorso gran parte della sua esistenza a Città del Messico e la sua eredità letteraria ha finito per ripercorrere le stesse strade di tanti messicani che abbandonano la loro terra e approdano nello stato della stella. In ogni caso il Ransom Center è uno dei più importanti archivi di letteratura degli Stati Uniti e – come fa osservare il direttore Steve Ennis – l’unico vicino al confine con l’America Latina. Il lascito letterario di Márquez si troverà in buona compagnia, accanto a quelli – per citarne alcuni – di James Joyce, Ernest Hemingway, William Faulkner e Jorge Luis Borges, con il quale, ne siamo certi, la conversazione toccherà le vette del sublime e dell’assurdo. “È come se Joyce incontrasse Márquez la cui influenza sulla narrativa del 20° secolo non è seconda a quella dello scrittore irlandese”, dichiara compiaciuto Ennis. “E poi ci voleva un altro scrittore di lingua spagnola per tenere compagnia al grande Borges”. L’archivio, acquistato dalla famiglia, contiene materiali relativi a tutti i suoi libri, la preziosa copia battuta a macchina di Cent’anni di solitudine inviata all’editore con la lettera di accompagnamento e ben dieci diverse versioni del suo ultimo romanzo tuttora inedito, En Agosto nos vemos (Ci vediamo ad agosto), che pare Márquez abbia scritto agli inizi del 2000 lavorandoci così tanto da aver prodotto due finali diversi che prima di morire meditava di pubblicare entrambi in due libri separati. Il libro racconta la storia di Ana Magdalena Bach che ogni anno, il 16 agosto, si reca sull’isola in cui è sepolta la madre e, dinanzi alla tomba, le racconta le novità dell’ultimo anno. Ana compie questo viaggio per 28 anni in maniera sempre identica: stessa ora, stessa camera d’albergo, stesso taxi, stessa fioraia. In occasione dell’ultimo viaggio, però, Ana Magdalena, non più giovane, vive un’intensa storia d’amore che la cambierà nel profondo. Come sempre l’incipit è folgorante: “Tornò sull’isola venerdì 16 agosto con il traghetto delle due del pomeriggio. Indossava una camicia a quadri scozzesi, jeans, scarpe estive senza tacco e senza calze, un ombrellino di seta e, come unico bagaglio, una borsa da spiaggia”. Bastano poche parole e siamo già risucchiati nel mondo di Gabo, ma c’è una speranza: forse l’inedito vedrà la luce tra qualche mese. Ma in quale versione? La risposta la daranno le carte custodite in Texas. Da vivo a Márquez non piaceva l’idea che un giorno gli studiosi avrebbero potuto frugare tra le sue cose: “È come essere sorpresi a casa propria in mutande”, disse in un’intervista. Infatti distrusse tutti gli appunti relativi a Cent’anni di solitudine. Rodrigo García, figlio di Gabo, ricorda il perfezionismo del padre e dice che fu lui ad autorizzare la moglie, Mercedes, a salvare i manoscritti degli ultimi libri, ma era intransigente sulle cose più personali, quelle che riguardavano il loro fidanzamento e le cose di famiglia. Una leggenda vuole che prima di morire abbia ricomprato le lettere d’amore scritte alla moglie per poterle distruggere. Restano nell’archivio le lettere che si scambiò con personaggi come Graham Green, Milan Kundera, Julio Corta-zar, Gunter Grass e Carlos Fuentes. “Non voleva che si parlasse di lui – ricorda il figlio –. Amava ripetere che tutto quello che aveva da dire lo aveva detto nei suoi libri”.