25 novembre 2014
Mosca regala a Parigi un albero di Natale alto 25 metri da mettere sul sagrato di Notre-Dame e la First Czech Russian Bank presta 9 milioni di euro (2 già consegnati) a Marine Le Pen. Putin vuole conquistare la Francia, presentandosi come il difensore della cristianità in una delle capitali dove la «sfida islamica» è più simbolica
La Stampa,
Messo al bando da Barack Obama, dalla Nato e – con mille ripensamenti – dall’Unione Europea, Vladimir Vladimirovic Putin si prende la rivincita sul sagrato di Notre-Dame, presentandosi come il difensore della cristianità in una delle capitali dove la «sfida islamica» è più simbolica.
A sorpresa si scopre che il grande albero di Natale che da venerdì fronteggia la cattedrale di Parigi è gentilmente offerto dalla Federazione Russa tramite il suo ambasciatore Aleksandr Orlov. Monsignor Patrick Jacquin, rettore della cattedrale, aveva fatto sapere di non avere gli 80 mila euro, necessari ad acquistare e installare l’albero.
Per fortuna al Cremlino siede un uomo sensibile e in poche ore, di fronte alla folla di santi e cavalieri scolpiti sulla facciata gotica di Notre-Dame, è arrivato un abete alto 25 metri. Sua eccellenza Aleksandr Orlov, un nome e un cognome che non avrebbero sfigurato in un romanzo di Tolstoj, ha voluto mostrare il volto generoso della grande madre Russia: «Malgrado gli sforzi intrapresi per isolare la Russia con questo piccolo gesto vogliamo mostrare che l’amicizia tra i nostri due Paesi è forte e nessun gioco politico potrà distruggerla». Monsignor Jacquin, naturalmente, non ha avuto esitazioni: «Noi non badiamo ai giochi politici e celebriamo la nostra amicizia».
Con una coincidenza davvero singolare qualche ora dopo la solenne inaugurazione dell’albero di Natale il giornale online Mediapart ha rivelato che una banca russa, la First Czech Russian Bank, aveva deliberato un prestito di 9 milioni di euro (2 già consegnati) a Marine Le Pen, leader del Front National e nuova stella della politica francese dopo le elezioni europee di primavera dove ha preso il 25 per cento dei voti surclassando il Ps di Hollande e la destra repubblicana. La signora non ha negato dando una spiegazione minimalista: in primavera ci saranno le elezioni dipartimentali, il partito ha bisogno di fondi, ha chiesto a varie banche e la prima a rispondere è stata quella russa. Madame ha negato qualunque retroscena politico e ha rigirato la questione: «Perché nessuna banca francese concede un prestito al primo partito di Francia?»
Tuttavia nessuno può credere a questa favoletta. D’altra parte madame Le Pen è stata l’unica politica francese a esprimere esplicita solidarietà a Vladimir Putin ostracizzato dall’Occidente dopo l’annessione della Crimea. Seguita in questa démarche moscovita dal segretario della Lega Matteo Salvini alleato della Le Pen al parlamento europeo. L’asse Lega-Front National, vista attraverso l’angolo Putin assume così una dimensione strategica non casuale né banale. Anche Salvini è andato in Crimea (riconoscendo così l’annessione) e a Mosca facendosi portavoce degli avversari delle sanzioni. L’attrazione della Lega per la Russia non è nuova: il primo esploratore leghista in cerca di aiuti moscoviti fu vent’anni fa Alessandro Patelli, allora tesoriere del partito di Bossi. Non sarebbe stupefacente scoprire che dopo la visita di Salvini, Putin ha aperto una linea di credito anche con l’Italia.
Il capo del Cremlino si sta muovendo con consumato mestiere tra le linee nemiche, coltiva i suoi rapporti occidentali nonostante l’atteggiamento da Guerra Fredda che gli è stato creato intorno dagli Usa e – in particolare – dai membri Nato ex satelliti sovietici come Polonia e Baltici. Una partita a scacchi diplomatica e propagandistica. L’albero di Natale offerto a Notre Dame fa parte di una battaglia in difesa dei valori della cristianità contro la sfida islamica, spiega la «Voce della Russia» erede della vecchia Radio Mosca dei tempi sovietici. Putin, fortissimamente alleato con il patriarca moscovita Kirill nella protezione nazionalista della chiesa ortodossa, compie così un’incursione simbolica tra i cattolici. E sul sito francese della Voix de Russie si leggono i commenti grati di improbabili fedeli: «Sia benedetta la Santa Madre Russia!»
Cesare Martinetti
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la Repubblica,
Difficile che nel faccia a faccia di metà ottobre a Milano, e poi nella sua visita lampo a Mosca della settimana successiva, Matteo Salvini possa avere ottenuto molto di più che una forte comprensione e un potente riconoscimento internazionale. I 9 milioni di euro concessi alla Le Pen, attraverso una banca ceco-russa sono frutto di una ben più lunga intesa politica che risale addirittura al padre Jean-Marie. E anche del fatto che Mosca ritiene la Francia assai più ostile dell’Italia dove, sotto sotto, nemmeno il governo in carica viene ritenuto visceralmente anti russo come “il perfido Hollande”. Ma la speranza che prima o poi aiuti in denaro possano arrivare in qualche modo da Mosca è rimasta accesa nel clan di Salvini. Lui stesso conferma: «Noi facciamo un appello politico a tutto il mondo e ogni aiuto è ben accetto, anche perché abbiamo 70 dipendenti in cassa integrazione». Ma precisa: «Finora non è arrivato né un rublo né un euro. E non ci interessa chiederlo. Il nostro appoggio alla Russia è totalmente disinteressato».
UN po’ per amore del vecchio metodo sovietico, un po’ per ripicca contro gli Usa che starebbero facendo altrettanto, Putin ha deciso di sostenere, accreditare e perfino finanziare una lista di partiti che in qualche modo possano creare problemi ai cosiddetti “governi ostili” e scompiglio nelle politiche dell’Unione europea.
Come? Il canale bancario — come è successo con la Le Pen — resta in teoria la strada più semplice e trasparente. La moral suasion del Cremlino, nel settore, è altissima. Cinque istituti di credito sono finiti nella lista delle sanzioni Ue e Usa. Tra di loro la Rossiya Bank di Yuri Kovalchuk e Nikolaj Shamalov (membri della Ozara Dacha, la cooperativa degli anni ‘90 da cui sono usciti i padroni della nuova Russia, Putin compreso) etichettata dalla Ue come «la banca personale dei vertici della repubblica russa». Esistono poi altri canali di finanziamento più tortuosi ma molto più efficaci per occultare i mandanti: il rapporto 2007 messo a punto dalla Cia sul tesoro nascosto di Putin — mai reso noto — descriveva secondo fonti d’intelligence Usa complesse triangolazioni nel mondo del trading energetico su petrolio e gas che coinvolgevano molti uomini dell’entourage del presidente. Una girandola di intermediari che dai giacimenti siberiani fino ai consumi finali faceva salire i prezzi della materia prima. Lasciando strada facendo piccole fortune nelle mani di chi (anche politici stranieri, dice il tam-tam a Washington) garantiva il suo appoggio alla linea di Mosca. Oggi, spiega un recentissimo rapporto di Political Capital Research — un thinktank ungherese che già nel 2009 raccontava dei rapporti tra Putin e l’estrema destra europea — il “soccorso rosso” a Le Pen & C. arriva anche in forme più immateriali: assistenza tecnica nell’organizzazione di manifestazioni, aiuti professionali con personale specializzato, accesso ai network media e internazionali sfruttando le liaison del Cremlino. Partite di giro che si chiudono spesso attraverso Ong e associazioni di amicizia bilaterali sostenute dai rubli di Putin.
La lista dei possibili beneficiari, aggiornata quotidianamente dai consiglieri ultra-conservatori che hanno conquistato la leadership nell’ufficio del Presidente, vede la Lega ormai stabilmente ai primi posti dopo l’irraggiungibile Marine Le Pen. E insieme ad altri partiti e movimenti che sembrano formare una vera e propria “Internazionale Nera”. Ci sono gli austriaci del Partito Popolare, i tedeschi di Afd e gli olandesi del Partito della Libertà, xenofobi e antieuro; i Tea party statunitensi, più a destra dei repubblicani; l’Ukip del pittoresco alleato di Beppe Grillo, Nigel Farage; gli antisemiti ungheresi di Jobbik; i “fratelli slavi” dei movimenti nazionalistici bulgari e serbi e polacchi; e in coda, per il momento, perfino i neonazisti dichiarati greci di Alba Dorata. «Una miscela letale che mira a far esplodere l’Unione europea dall’interno», dice Mitchell Orenstein, docente alla Boston University e collaboratore della rivista Foreign Affairs lanciando un allarme molto sentito negli Stati Uniti.
In Russia, intanto, le fonti ufficiali tacciono. «Avete mai sentito un governo ammettere di finanziare partiti stranieri? Sarebbe assurdo ma lo fanno tutti e gli americani in questo sono maestri», dice una fonte assolutamente anonima degli uffici che contano. Ma come si può giustificare un appoggio anche solo morale a una lista così impresentabile? La chiave è semplice: tutti quanti difendono quelli che il Cremlino ritiene «sacri valori della tradizione, della famiglia e della cristianità». Applaudono alla omofobia di Stato di Mosca, scimmiottano il nazionalismo di Putin nelle loro richieste punitive contro immigrati e stranieri. L’anonimo del Cremlino spiega meglio: «Gli Stati Uniti finanziano rivoluzioni e colpi di Stato, usando sempre il vecchio slogan della Guerra Fredda dell’esportazione della democrazia. Lo hanno fatto palesemente in Ucraina dal 2004 al disastro di oggi. E nelle rivolte del Nord Africa. Perfino con i nostri oppositori di piazza, quelli che fino a due anni fa riempivano le piazze di Mosca con slogan anti-Putin preconfenzionati». Non è poi così vero. Le proteste di piazza, che sembravano assolutamente spontanee, sono semmai state fatte fuori con leggi che hanno di fatto eliminato ogni forma di dissenso. E comunque non spiega il sostegno alle forze di destra sempre meno moderata. Ma al Cremlino nessuno si scandalizza: «L’Unione sovietica inviava gioielli e bonifici milionari ai partiti comunisti, ai rivoluzionari del Terzo Mondo, qualche volta anche ai terroristi, con il pretesto di diffondere la Rivoluzione proletaria. Adesso invece aiutiamo tutti coloro che ci aiutano a combattere questa ondata di immoralità dell’Occidente. E nella lista non ci sono terroristi ma partiti democraticamente eletti».
Parole che sono miele per Salvini e i suoi, e che invece non suonano molto piacevoli per l’italiano che più di ogni altro in questi vent’anni è stato considerato il vero grande amico di Putin. Gli ultimi anni di Berlusconi hanno però creato più di un imbarazzo al presidente russo. Prima le storie troppo indecenti di olgettine, lap-dance e del famoso lettone di Putin che, qui giurano, non è mai esistito. Poi una debolezza sul piano euroscettico e un fatale declino politico che lo rende sempre meno utile per la causa. La botta finale è arrivata dalla posizione di Forza Italia a favore dei matrimoni gay che, non a caso, Salvini continua a sottolineare ad ogni occasione con studiato stupore.
Sorride il leader leghista e ne ha ragione. E spera in un messaggio di complimenti per la sua vittoria elettorale. Privilegio finora concesso solo alla bionda Marine. Nelle sue passeggiate moscovite mostrava con orgoglio una brutta maglietta con un Putin in mimetica e aggressive scritte in cirillico. Robaccia al confronto di quelle più raffinate che si possono trovare a soli dieci euro conoscendo i negozi giusti. Il suo trofeo feticistico sbiancherà alla prima lavata. Ma forse il futuro potrebbe portare qualcosa di più che una t-shirt.
Ettore Livini e Nicola Lombardozzi
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la Repubblica,
Parla Wallerand de Saint-Just, tesoriere del Front Natonal
«I nostri militanti capiranno la situazione. Non siamo compromessi con nessun regime. La Russia è un Paese libero: ha visto che Marion Cotillard ha posato nuda su un giornale russo?».
Le libertà civili sono un’altra cosa.
Ora siete in debito con Mosca?
«L’unico debito che abbiamo è con la banca. Lo rimborseremo non appena lo Stato ci restituirà le spese elettorali».
E il prestito di 9 milioni che avete ottenuto vi basta?
«Macché, avremmo bisogno di tre volte tanto. Ora l’urgenza è preparare le elezioni regionali. Ma intanto dovremo trovare altri soldi e chiedere nuovi prestiti».
Sempre alla Russia?
«Ci rivolgeremo a tutti i Paesi. Abbiamo presentato richieste negli Usa a Jp Morgan. Abbiamo avuto contatti anche con istituti italiani».
La banca russa che avete usato finanzia altri movimenti nazionalisti in Europa?
«Lo ignoro. Posso solo dire che sono felice di aver avuto questo prestito. La politica in Francia è sull’orlo della bancarotta. L’Ump ha 80 milioni di euro di debiti. I nostri conti per fortuna sono in ordine, ma lo Stato impiega fino a 18 mesi per rimborsare i costi elettorali e nessun partito può reggere».
Anaïs Ginori
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la Repubblica,
La Lega sedotta dall’impero di Putin
FRANCESCO MERLO
I RUBLI di Mosca, che furono l’oro dei comunisti, adesso vanno ai “fascisti”: 9 milioni di euro a Marine Le Pen. «La invidio profondamente» ha detto ieri Salvini a Minoli a Radio 24.
E «Putin è il nostro leader» mi conferma ora Lorenzo Fontana che portò Salvini in Russia e ha fatto da ponte tra lui e Marine Le Pen, che il finanziamento della First Czech Russian Bank ha trasformato in una cassaforte della Destra europea. Nel giugno scorso Fontana era in Austria a rappresentare gli italiani della Lega «al “congresso di Vienna” degli Identitari». Fu lì che questa stramba Internazionale Nazionalista proclamò Putin «leader della Restaurazione dell’Ancien Régime». L’aquila bicipite dunque, ma sullo sfondo tricolore: l’Imperium russo «che rispetta le identità e le differenze» contro il Dominium americano «che le cancella perché le omologa».
A Vienna, racconta Fontana con accenti epici, «c’erano gli austriaci, gli ungheresi, i bulgari, i francesi, gli olandesi e tanti russi ovviamente a capotavola: Komov, Zubarev, Serghej Neverov…» . Alle orecchie di chi ha vissuto gli anni dell’hotel Lux questi nomi suonano come un vilipendio della Storia, la parodia della tragedia del Novecento: «Capisco la suggestione che fa ridere pure me e farebbe inorridire mio padre se fosse ancora in vita. E però la Russia di Putin non sarà la Grande Madre, ma è la sola potenza che si oppone alla mondializzazione, alla sparizione delle patrie, allo strapotere degli Stati Uniti» e, aggiungo io, ai valori liberali e democratici. «E le sembra democratica l’Europa delle multinazionali e della finanza?».
Raccontandomi come sta organizzando gli incontri tra imprenditori italiani e russi, Fontana mi spiega adesso la base economica dei nuovi successi della Lega e su questo punto è convincente: «Valutiamo un miliardo il costo di questo scellerato embargo. È il primo embargo della storia che colpisce più i Paesi che pongono il divieto di vendere merci e meno il Paese che non può più acquistarle. È davvero incalcolabile il danno arrecato ai produttori italiani di ortofrutta, dai pomodori di Pachino alle mele del Trentino. I russi si arrangiano perché comprano dalla Turchia e dalla Polonia. Ma le nostre merci ingombrano il mercato europeo e fanno per giunta abbassare i prezzi. Pensi alla fatica che avevamo fatto per espandere il mercato del grana padano. E così per le scarpe marchigiane, e per i mobili della Lombardia…».
A 34 anni, Fontana, capogruppo a Bruxelles, una laurea in Scienze politiche e a quattro materie da un’altra laurea in Storia («sto studiando Teodosio e i bizantini e mi sembra che siamo ancora fermi lì») non è solo il Kissinger di Salvini, è anche l’amico consigliere che l’ha convinto a traghettare la Lega dalla secessione alla nazione, dalla Padania all’Italia: «Per due anni abbiamo abitato insieme in rue Wiertz, a due passi dal Parlamento. È lì che abbiamo cominciato a passeggiare e a parlare delle identità perdute delle città del mondo. In quelle nostre serate per le strade di Bruxelles e poi a casa invece di dormire è nata la battaglia contro la globalizzazione e l’egemonia americana, l’idea forte che non è più tempo di destra contro sinistra ma che il nuovo antagonismo è tra Identità e Omologazione, tra Patria e Mondo». Fontana rievoca questa scapigliatura postbossiana di Bruxelles dove, dice, «qualche minaccia l’abbiamo pure ricevuta e neppure tanto velata». Ma non è solo comicità immaginare Salvini e Fontana viandanti trasgressivi e maltrattati sulla Grande Place, Dennis Hopper e Peter Fonda in un Easy Rider al contrario, razzisti sì ma figli del pensiero peripatetico che sempre ha animato la civiltà occidentale e sempre ha comportato rischi fisici oltre agli azzardi intellettuali che qui arrivano a uno strambo fascismo russo-franco-padano. Fontana ammette che i nazionalisti d’Europa sono tutti di destra. E alcuni sono fascisti, gli dico: «È vero, ma non importa, perché è lo schema che non funziona più».
E torna a parlare di Vienna come mito di fondazione, racconta di quel Congresso «dove tra i russi c’erano professori universitari, studiosi di religione, poeti, scrittori… ». La Russia che descrive è allo stesso tempo Atene e Sparta, l’aquila zarista dell’ordine e della disciplina, perché «anche noi della Lega siamo un po’ machi », e l’Umanesimo di Guerra e Pace, il Cristianesimo di Tolstoj con il crocifisso sul letto. Vorrebbe imparare anche la lingua di Putin: «Parlo inglese e spagnolo, capisco il francese, sto studiando il tedesco, ma vorrei dominarle tutte, anche il cinese, l’arabo e il russo che è la lingua più bella e più antica d’Europa». Con Salvini ha in progetto di fondare le scuole della Lega, anche di lingua russa, di politica, di filosofia: «Il nostro modello è quello delle Frattocchie» , che è il lavoro politico, «la coscienza di popolo al posto della coscienza di classe, le cellule, le sedi sempre aperte, il controllo del territorio ».
È un misto fritto di fascio e di Pci, di vecchia Lega e di ruralità antiglobal alla Bové. Fontana e Salvini sabato prossimo andranno a Lione al congresso del Front National. A Bruxelles non abitano più insieme «perché io mi sono sposato». Con chi? «È italiana, una funzionaria del Parlamento. Si chiama Emilia, un nome che ci ha portato fortuna elettorale. È intelligente e fa pure bene da mangiare, come sa Matteo. Non si occupa di politica, ma adesso che la Lega Nord diventa Lega dei popoli e sbarca a Napoli, che è la sua città, magari voterà per noi, chissà».
La signora Emilia ha minacciato di buttare via «tutti quei libri che porto a casa». La cultura è il nuovo territorio della Lega: «Dobbiamo insegnare ai ragazzi che c’è un’altra Europa possibile». Quel Vecchio Continente che loro, i nazionalisti o sovranisti o identitari hanno rifatto a Vienna: «È giusto chiamarlo “Congresso di Vienna”. Lo abbiamo infatti organizzato nei giorni del bicentenario con lo scopo di ridisegnare la mappa dell’Eurasia, anche culturalmente. E Putin è leader anche perché la sua bandiera è quella dei valori tradizionali, la religione cristiana come civiltà, la famiglia, le patrie, il sangue, la terra madre…».
Per ricordare che la Russia di Putin è il nuovo feroce imperialismo del XXI secolo evoco la Georgia, la Crimea, l’Ucraina di Donetsk, e ripropongo le frasi di Bossi «a favore della lotta dei popoli oppressi». Questa, per esempio: «I nostri fratelli ceceni hanno bisogno dei fucili padani». Già, «ma è capitato a Bossi di sbagliarsi». E per dimostrarmi che «anche lui, come tutti i padri fondatori, è ormai un pozzo da cui tutti possono attingere qualunque cosa», mi contrappone al Bossi filo-ceceno quello filo-serbo che nel 1999 andò a Belgrado, come già aveva fatto Cossutta, a stringere la mano a Milosevic «che chiamava “il patriota”». E invece i profughi serbi e albanesi erano per lui «straccioni e scalzacani». Fontana va ancora fiero di quel Bossi che fu solidale con uno dei più orrendi massacri della storia: «A parte il linguaggio, ero assolutamente d’accordo con lui». E «ora Putin sarà pure imperiale, ma lo è meno degli Usa e della Cina». E in questo nuovo delirio ci sarebbe pure quella differenza cui accennavo prima tra Dominium che «ci rende tutti uguali come sono le fotocopie» e Imperium «che si fonda invece sulla forza dei diversi» come sostengono quelli di “Génération Identitaire”, la lettera lambda per bandiera, fascistizzanti anche nei simboli, divise gialle, teste rasate, tolkieniani, il Sacro Graal, Excalibur, lotta greco romana e pugilato. Hanno figliato a Padova. Erano uno dei vivai del Front National e ora lo sono pure della Lega: «Siamo la generazione abbandonata dai propri Dei. /Siamo la generazione in cerca della propria stella./Siamo la generazione che ha ritrovato la propria terra./ Siamo la generazione che ha puntato i piedi su di essa».
Francesco Merlo