D Lui - la Repubblica, 18 ottobre 2014
L’Occidente è dei single. Sono sani, generosi a letto, ironici, hanno senso pratico e un sacco di soldi. In Italia naviga in solitaria una persona su tre. A Berlino il 55% dei nuclei familiari è monopersona. Negli Usa gli unmarried hanno superato quelli che vivono in coppia. E saranno loro a decidere il successore di Obama
L’Occidente è dei single. Maschi. Che peraltro hanno imparato a non stare da soli. Il paradosso, apparente, cominciò a palesarsi negli Stati Uniti, allorché Eric Klinenberg (sociologo della New York University, ammogliato con figli) scrisse un libro che fece il botto: Going Solo: The Extraordinary Rise and Surprising Appeal of Leaving Alone. In quel momento, con i single Usa che stavano numericamente con il fiato sul collo dei coniugati, nacque la Bibbia dello scapolo connesso & felice.
Diceva Klinenberg: «Egoisti i single? Macché». Sono affettuosi con parenti, amici, colleghi e vicini di casa, sono progressisti, sensibili alle cause ambientali e civili. Perché mai non dovrebbero dar priorità alla carriera? Che dovrebbero fare? Sono passati due anni. E in America quelli senza anello al dito intanto hanno dribblato chi tiene famiglia (50,2% di «zitelli» per un totale di 124,6 milioni di persone, dopo esser stati sotto il 50% per tutto il 2013). Persino l’Italia regge il passo: l’Istat dice che oggi naviga in solitaria un italiano su tre.
Con il fenomeno, insomma, bisogna farci i conti. Chi determinerà la scelta del successore di Obama?, titolava quest’estate Time, le donne con reddito? gli ispanici?, i pensionati? no, gli «unmarried» genericamente intesi, pronti a incarnare, nel 2016, il 47% dell’elettorato. A dati freschi, l’oleografia degli scompagnati dipinta da Klinenberg si fa più smart. Chi non spartisce il talamo è sano, dorme meglio, trova facilmente lavoro, è la gioia del capo, segue la politica, ha senso pratico, è generoso a letto, è ironico, chic, e, analizzano gli economisti, ha meno redditi familiari ma meno spese fisse, contrae meno debiti e mutui, compra meno case, alimenta il mercato degli affitti, sostiene i consumi perché ha più disponibilità per spese non essenziali...
Detto meglio: meno genitori e meno padroni di casa, mai sposati (30,4%) più dei divorziati-separati-vedovi (19,8%), maschi soli in salita (più del 12%), single lady corteggiate dal mercato immobiliare che «taglia» appartamenti con due «master bedroom», adatte alla condivisione delle spese e non delle notti (25 milioni di ultra 40enni signorine, divorziate o vedove sono potenziali acquirenti di una casa su cinque). In più, annota la psicologa californiana Susan Pease Gadoua, autrice del saggio The New I Do, Reshaping Marriage for Skeptics, Realists and Rebels, il neosolo rompe gli schemi, insinua altre opzioni tra la coppia vecchio-stile e la solitudine. È un vincente, è una persona (e a posteriori un marito, perché no?) migliore. «Occupy Marriage», incita Pease Gadoua.
L’America in certe cose è il mondo (almeno il primo). Così come sono internazionali i Millennial, i nati tra il 1981 e il 2001 che, a scaglioni di «singleton», si sparpagliano per quartieri cittadini sempre più «gentrificati». In comune, poche idee ma chiare, istruzione, più amici che soldi, realismo nel calcolare i disastri di chi li ha preceduti, facilità nel mettere in comune le forze, più che il cuore. A Berlino il 55% dei nuclei familiari è monopersona, a Milano lo sono circa il 50% (le coppie conviventi qui sono meno di metà dei solitari), in Francia i single sono 17 milioni. E a parte Milano, che è un pianeta a sé, il 31% degli italiani non è accoppiato (+41% in 10 anni). Certo, il single tricolore è meno Millennial, la sua stratificazione è complicata dall’impennata non solo di divorzi e separazioni ma anche di anziani soli e disoccupati senza reddito di varia età. Ma resta il fatto che anche lui sta modificando parte della Penisola. Con comportamenti spesso «neotribali». Pensiamo agli studenti fuorisede distribuiti nelle nostre città dai test di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato: fino a qualche anno fa affittavano camere e vivevano in apnea tra un ritorno in famiglia e l’altro, oggi vogliono una casa vera, magari formato-alveare, in centri storici da cui fuggono le famiglie spaventate dai costi.
«I ragazzi vivono i trend della condivisione e dell’autosufficienza», spiega Luigi Rubinelli, direttore del sito RetailWatch, esperto di consumi e marketing dei sistemi distributivi. «All’autosufficienza arrivano grazie alla paghetta, una delle più alte d’Europa (i teen italiani ricevono in media 60 euro alla settimana, i tedeschi 50). Paghetta e Internet li abituano presto ai soldi: non pretendono posto fisso e assistenza sanitaria, ma vantaggi di vita pratica, sconti...». Riprende Rubinelli: «I membri di questa Generazione Google, che vive un’immediatezza di medio periodo, sono istintivamente dei single 2.0: condividono tutto, la casa, la vacanza, lo stare insieme, le informazioni, la bici, l’auto, la tessera punti del supermercato... Allenati allo sport di squadra, formano famiglie elastiche con 3-4 persone che non necessariamente scelgono per sempre».
Conferma E, studente fuorisede in una città media, casa divisa con un compagno di corso che contribuisce alle spese: «Finché si stava in famiglia c’era la fidanzata, dopo arrivano i coinquilini. Durante il primo anno ci si accontenta di una stanza, poi, prese le misure dei compagni, si scelgono gli affini e si uniscono le forze per una casa bella, magari d’epoca. Sono anni duri, tanti, meglio affrontarli così. Se non funziona, si cambia. E a settembre tutti all’Ikea». Già. «I confini tra una stanza e l’altra sono poco definiti, fluttuanti, rubricati sotto la definizione inglese di “living”, un tavolo serve per cucinare, studiare, offrire un aperitivo, magari contemporaneamente», conferma Sabrina Scalpati, country communication & interior designer manager per Ikea Italia. «E vanno i prodotti multifunzione, modulari e flessibili, per situazioni in evoluzione: divani-letto, sedute aggiuntive per il dining, cucine attrezzate da non usare quotidianamente».
Bene. Ma un laureando single abituato al lifestyle «liquido» è destinato a diventare un giovane professionista single senza reti di protezione? Non si può domarne il futuro incerto? «Certo, basta darsi delle priorità nelle scelte finanziarie», spiega Marco Liera, fondatore della scuola per investire YouInvest. «Secondo la ricerca accademica, un giovane deve assicurarsi dal rischio più importante, quello che coinvolge il suo capitale umano, cioè la capacità reddituale. Un investimento pari a svariate centinaia di migliaia di euro, tradizionalmente maturati in 40-50 anni di lavoro. La casa non è una priorità, lo è la polizza d’invalidità permanente totale da infortuni e malattie». Sorride Liera: «Se avanzano dei soldi, costruisca poi una previdenza integrativa, le pensioni base sono sempre più risicate. Ha ancora qualcosa? Investa in strumenti prudenti, rendono poco ma non importa. Solo a questo punto, se proprio vuole, pensi alla casa».
Ma allora i tanti scompagnati sono una nuova risorsa, come dicono in America, o un altro regalo della precarietà? «Dando per scontate le grandi sinergie economiche di un matrimonio, potrebbero produrre benessere a livello collettivo e sistemico e innescare una situazione di stabilità economica e sociale», assicura Liera. Sì, ma attenzione al ventre molle dell’Italia: «Paese dove spesso si torna a casa a orecchie basse, riassestati sul tradizionalismo secolare. Per molti single del Sud l’allure della modernità finisce di colpo», ammonisce Rubinelli.