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 2014  ottobre 22 Mercoledì calendario

L’incubo della Roma di Garcia umiliata dal Bayern Monaco di Guardiola davanti ai settantamila spettatori dell’Olimpico. Sette gol, dopo mezz’ora gara già chiusa. Totti annichilito, difesa imbarazzante infilata da Robben & Co. Unica consolazione, i tifosi che perdonano la squadra e intonano cori fino al novantesimo

Il meglio dai giornali di oggi sulla partita di Champions League tra la Roma e il Bayern Monaco.
 
Come in una famosa vignetta di Altan. Uno dice: poteva andar peggio. E l’altro dice: no. Vero, il Bayern Monaco è forte, fortissimo, ci puoi anche perdere, ma c’è modo e modo. Dopo mezzora la Roma era sotto di 4 gol, discorso chiuso [Gianni Mura, Rep].
 
Sette a uno il risultato finale per i tedeschi. Un gol, Robben, due, Götze, tre, Lewandowski, quattro, Müller, cinque, Robben. Non importa come. E nel secondo tempo, impietosi, ci si sono messi anche Ribéry e Shaqiri, appena entrati (preceduti dal palo e dalla rete di Gervinho). La collana dell’impotenza [Enrico Sisti, Rep].
 
Il Bayern ha camminato sui resti di una squadra che non ha mai capito dove si trovasse, come il Brasile contro la Germania nella sfida ai mondiali. C’era solo tanta gente da soddisfare intorno. Totti non trovava posizione, Iturbe era in quella sbagliata, Nainggolan appariva circondato, Pjanic risultava assente, a centrocampo (con De Rossi troppo arretrato) si giocava in 6 contro 3, mentre in difesa Manolas lasciava agli avversari ogni possibile scelta di vita (dopo averla negata a tutti finora). Per non parlare dei tremori di Yanga e dell’inadeguatezza di Cole (che però Garcia avrebbe dovuto prevedere) [Enrico Sisti, Rep].
 
Ma era l’Olimpico di Roma o il Mineirao di Belo Horizonte? Era il 21 di ottobre, nel pieno di una dolcissima ottobrata romana, o il pomeriggio dell’otto di luglio in una calura nemmeno poi così asfissiante come alla vigilia si temeva? L’unico a farsi cogliere dal dubbio, in una vigilia che pareva nel segno di una saggio ottimismo ed era invece di pura presunzione, è probabilmente stato il saggio Maicon. Che dopo la grandinata estiva con la maglia del Brasile, quest’altro 1-7 almeno, grazie a un dolorino al ginocchio, è riuscito a risparmiarselo [Gigi Garanzini, Sta].
 
Non è un caso, perciò, che il calcio tedesco sia campione del mondo e quello italiano alla frutta o giù di lì. Come sa bene il ct Antonio Conte, in tribuna all’Olimpico al fianco di Carlo Tavecchio, il suo presidente. C’era da verificare il valore della Roma a certi livelli, cioè contro una delle tre squadre più forti al mondo, e il responso dell’appuntamento è stato impietoso [Mimmo Ferretti, Mes].
 
C’è una spiegazione vera? La prima è che il Bayern individualmente è molto più forte della Roma, differenza che nella somma dei singoli diventa davvero abissale. La seconda è che Garcia si è fatto prendere un po’ da se stesso e ha cominciato attaccando. Questa è la cosa peggiore da fare contro il Bayern. È un avversario troppo abituato a segnare, va tenuto il più possibile fermo sui blocchi di partenza. Far cioè diventare fondamentale anche una sola rete, da qualunque parte arrivi. È col respiro corto che Guardiola diventa normale e s’innervosisce. Se lo attacchi, vai sul suo terreno. Il bluff non è mai un gioco reale [Mario Sconcerti, Cds].
 
Però, caro Garcia, sarà anche il senno di poi. Ma siamo sicuri che la Roma possa permettersi di affrontare il Bayern con un 4-3-3 nemmeno riveduto e corretto? Certo, la Roma è una squadra votata a far gioco più che a distruggerlo. Ma su quell’altra panchina un certo Guardiola, che ostruzionista non si direbbe, è comunque partito con Xabi Alonso non proprio a marcare, ma di sicuro a flottare su Totti, giustamente individuato come cervello motore della Roma [Gigi Garanzini, Sta].
 
Non si fosse fatto male Maicon, Torosidis non sarebbe andato a destra e soprattutto non avrebbe giocato Cole (al massacro con Robben). È ozioso cercare un capro espiatorio. Da salvare solo Gervinho (dopo un palo e due parate di Neuer, il gol che meritava) e Florenzi. Per il resto male De Sanctis, troppo teneri per questi palcoscenici Iturbe e Yanga-Mbiwa, inesistenti De Rossi, Pjanic, Totti, stranamente bloccato anche Nainggolan. È stata una lezione. Prendiamone atto tutti [Gianni Mura, Rep].
 
Se non è un colpo mortale è perché il Cska Mosca fa un grande favore ai giallorossi fermando sul 2-2 il Manchester City, che era in vantaggio 2-0. Così le possibilità di qualificazione per la Roma, paradossalmente, non crollano dopo il turno di ieri. È di questo che Garcia deve convincere se stesso e la squadra [Luca Valdiserri, Cds].
 
L’arena piena. Gli sguardi vuoti, invece, persi nel nulla. Il record di incasso ma anche quello negativo di palloni presi, le casse gonfie (3,7 milioni), la rete di De Sanctis pure. Roma sparita, incatenata ai fantasmi del passato. Quanto tempo è passato? Sette anni da Manchester, 2.747 giorni dal maledetto 7-1 contro il giovane Ronaldo. Oppure due soltanto, per Garcia, che col Bayern l’ultima volta aveva rimediato un 6-1 a Monaco guidando il Lille [Francesco Saverio Intorcia, Rep].
 
Ha avuto un moto d’orgoglio Rudi Garcia in sala stampa, prendendosi tutte le responsabilità della disfatta: «Li abbiamo lasciati giocare ma la squadra non c’entra: il primo ad aver sbagliato sono io. La strategia era sbagliata. Dovevamo stare più chiusi e invece siamo rimasti spettatori. È uno schiaffo e fa davvero male» [Stefano Carina, Mes].
 
 «Un risultato così non viene per caso – dice De Rossi –, è una lezione che ci serve, non dico che ci ridimensioni, ma ci fa capire che c’è ancora tanta strada da fare. C’è un dislivello tecnico, ma io non credo ci sia questa distanza: sono più forti del 90 per cento delle squadre del mondo, magari però fra 15 giorni faremo meglio, anche se una motivazione e una soluzione non ce l’ho. La città aspettava da tempo questa partita, noi anche, peccato» [Francesco Saverio Intorcia, Rep].
 
Il pubblico s’è arrabbiato ancora per un fuorigioco inesistente a Gervinho nella ripresa, la Sud s’è consolata con la società dei magnaccioni (“ma che ce frega/ ma che ce importa”), e alla fine ha chiamato la squadra sotto la curva, “vinceremo il tricolor”, prima di rendere un applauso sportivo al Bayern e ai suoi tifosi, ricambiato. Garcia non c’era, aveva già imboccato gli spogliatoi [Francesco Saverio Intorcia, Rep].