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 2014  ottobre 22 Mercoledì calendario

Oscar Pistorius è stato condannato a cinque anni per aver ucciso la fidanzata Reeva. Finirà nel carcere peggiore del Sudafrica ma potrebbe uscire fra soli dieci mesi. Una giustizia senza rabbia, basta vedere i commenti pacati dei genitori della vittima

Corriere della Sera
Soddisfatti e rilasciati. Condannato sulla carta a 5 anni Oscar Pistorius potrà uscire di prigione tra 10 mesi: per la famiglia della vittima «giustizia è fatta», per la famiglia dell’omicida «non ci sarà ricorso».
Dopo sette mesi di processo la sentenza annunciata ieri mattina dalla voce sottile della giudice Thokozile Masipa ha messo d’accordo offensori e offesi. Soltanto la pubblica accusa rappresentata dal procuratore Gerrie Nel, le battagliere donne dell’Anc e la maggioranza del popolo dei social network giudicano la condanna troppo mite per l’atleta soprannominato Blade Runner, il campione delle Paraolimpiadi che la notte di san Valentino del 2013 ha ucciso con quattro colpi di pistola la fidanzata e modella Reeva Steenkamp.
Gerrie Nel ha lasciato sconfitto il tribunale su Madiba Street a Pretoria, con un trolley di documenti che non sono bastati: chiedeva almeno 10 anni di carcere per l’uomo che secondo l’accusa dopo un litigio ha volutamente sparato a Reeva chiusa nella toilette di casa Pistorius intorno alle 3 di quella notte. Il procuratore-mastino dai denti spuntati avrà due settimane per valutare se fare appello. Il rivale vincitore, l’avvocato Barry Roux, si è guadagnato i 10mila dollari di parcella quotidiana. La difesa accetta la condanna, anche perché quei 5 anni sono giusto quanto permetterà alle autorità carcerarie di mandare agli arresti domiciliari Oscar dopo un sesto della pena passato in carcere. Un anno in più e avrebbe scontato la condanna interamente in prigione. Così passerà dietro le barre del Kgosi Mampuru (ex Pretoria Central) il suo ventottesimo compleanno, il 22 novembre, ma è probabile che il ventinovesimo lo farà a casa, forse nella residenza dove ha vissuto gli ultimi 20 mesi, la villa di zio Harnold che nella vita gli ha fatto da padre e al processo da portavoce.
L’aula gremita ha accolto in silenzio la decisione della giudice su «come bilanciare pietà e giustizia». Una sentenza più lunga «avrebbe distrutto l’imputato» ha detto Masipa. Oscar è scivolato fuori senza mostrare emozioni. Venti mesi fa aveva atteso a occhi chiusi la decisione del giudice che lo ha mandato libero su cauzione in attesa del processo. In un’intervista alla Cnn l’altro giorno aveva detto di essere pronto al carcere: «Cercherò di rendermi utile, insegnando a leggere e scrivere oppure organizzando una palestra per i detenuti». Il mese scorso la giudice Masipa, cresciuta sotto l’apartheid (portava il tè ai signori bianchi) ed ex reporter giudiziaria, lo ha condannato per omicidio colposo e non premeditato come chiedeva l’accusa. A quel punto è diventato improbabile sfuggire del tutto alla detenzione.
Il Sudafrica è un Paese violento specie con le donne (almeno due omicidi al giorno): «Una condanna troppo lieve intaccherebbe la rispettabilità della giustizia - ha spiegato Masipa - inducendo le vittime a farsi giustizia da sè». E dando l’impressione «che esiste una legge per i poveri e un’altra per i ricchi e i famosi».
E’ andata così? Cinque anni/uno, più una pena accessoria (e sospesa) di 3 anni per aver fatto partire un colpo di pistola in un ristorante. I primi delusi avrebbero dovuto essere i familiari di Reeva, sempre presenti alle udienze. La madre June, l’unica ad aver mai parlato al telefono con il fidanzato della figlia, la più tenace e loquace nel chiedere «perché è stata uccisa la ragazza migliore del mondo», aveva criticato la scelta di condannare Oscar soltanto per omicidio colposo. Poi nei giorni scorsi l’avvocato Roux ha velenosamente parlato in aula di quei 700 dollari mensili che Pistorius ha passato ai genitori di Reeva dopo la morte. Anche questo forse ha indebolito la credibilità e lo sdegno della famiglia. Ieri il padre della «bikini model» uscendo dal tribunale ha detto quietamente: «Siamo soddisfatti».
Anche Oscar? Non ha più un soldo. Carriera finita: il comitato Paraolimpico esclude che il più famoso atleta con le protesi possa correre a Rio 2016 e in ogni altra competizione per 5 anni. Anche se la famiglia dice che Pistorius si disferà delle sue pistole, dei fucili e del porto d’armi, sarà difficile togliergli di dosso la nuova etichetta di Blade Gunner. Certo non «marcirà in galera» come avevano chiesto le donne dell’African National Congress (Anc), il partito anti apartheid di Nelson Mandela che guida il Sudafrica dalle prime elezioni del 1994. Il fronte femminile dell’Anc ha protestato ieri chiedendo alla procura di fare appello. Su Twitter Msabala Sithembiso riassume così l’amarezza della maggior parte dei commenti (anti-Pistorius) sui social network: «Se uccidi un rinoceronte ti becchi 10-15 anni, se uccidi un essere umano te la cavi con cinque».

Michele Farina


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La Stampa
Quando un campione va alla sbarra, il pubblico si divide, come ancora competesse nell’arena. Chi lo applaude, spingendolo sul filo di lana del tribunale, chi lo fischia pregustando l’umiliazione del gladiatore.
Così con l’asso del football O.J. Simpson, accusato di avere ucciso la moglie. E così con la stella del basket Kobe Bryant, imputato di stupro; così oggi con Oscar Pistorius, condannato per la morte della sua compagna Reeva Steenkamp, 29 anni.
Chi lo giudica «vulnerabile» per la malattia che ha portato all’amputazione delle sue gambe e l’ha costretto a competere con le protesi sui moncherini, già «rovinato economicamente» dalla lunga battaglia giudiziaria e dalla perdita degli ambiti sponsor. Chi, invece, lo tratta da miliardario violento e arrogante, che «se la cava» con 5 anni di pena, secondo il suo avvocato già riducibili a pochi mesi prima di comodi arresti domiciliari.
Peccato che la morte violenta di una giovane donna, uccisa dal compagno a colpi d’arma da fuoco nel giorno degli innamorati di San Valentino, nulla abbia a che fare con l’atletica, la rimonta morale di Pistorius sui «normodotati», la sua nobile rincorsa che ha dato forza e speranza a milioni di esseri umani. E peccato, che anche un atleta celebre abbia diritto alle garanzie di legge che proteggono ogni cittadino, né privilegi né svantaggi, proprio come rivendicava Pistorius chiedendo accesso alle piste contro gli altri campioni.
Mentre sul web infuria rancida la polemica Pro-Contro, che rischia di diventare il Dna binario e sciocco della rete, vanno meditate invece le sagge parole della giudice sudafricana Thokozile Matilda Masipa, che condensano nella loro misura cosa un processo deve essere, in aula e fuori, chiunque siano vittima e imputato. Vale dunque la pena di rileggere, uno per uno, i giudizi della signora Masipa, preceduti da un garbato «Mister Pistorius, per favore, si alzi»: «La mia sentenza cerca equilibrio, proporzionalità…» ricordando che solo i servizi sociali, richiesti dalla difesa, non sono sufficienti per un reato di sangue e che in carcere l’handicap di Pistorius non gli creerà ulteriori disagi. Condannare Pistorius a una lunga pena, sentenzia la giudice Masipa, «mancherebbe di compassione», una pena leggera «manderebbe un segnale errato alla comunità…perché i tribunali non esistono per vincere concorsi di popolarità…e sarebbe un triste giorno se il paese avesse l’impressione ci sono leggi per i poveri e i derelitti, e leggi per i ricchi e famosi». Conclude una formidabile massima «Mai, la pur giusta rabbia, annebbi i nostri giudizi!».
La giudice Masipa spiega perché sparando contro un essere umano, chiunque fosse, rinchiuso in uno spazio angusto con potenti armi da fuoco, Pistorius abbia mancato di raziocinio e misura, anche nel timore di un intruso. E lo ha condannato. Ora sul web si assicura che l’ex asso starà in galera poche settimane e poi a casa, si gongola, si impreca. Meglio riconsiderare le parole della giudice Masipa, 67 anni, ex assistente sociale e reporter, arrivata alla toga solo nel 1998, in Transvaal, caduto l’apartheid. Giustizia senza rabbia, giustizia compassionevole ma non ipocrita, giustizia al servizio della legge e della comunità, parole che tantissime volte (quante volte!), avremmo voluto sentire da noi, e ci son mancate.
La famiglia di Reeva Steenkamp annuncia «Accettiamo la sentenza», Pistorius non si appellerà «In spirito di servizio», resta da vedere come agirà il pubblico ministero. Poi Oscar Pistorius, che porta tatuata sulla pelle i versetti dell’Epistola di San Paolo ai Corinzi «Non correte dunque come gli uomini senza meta…», si troverà in una cella sudafricana, solo con la sua coscienza, senza l’urlo della folla che lo sorresse alle Olimpiadi di Londra, due anni fa, senza il disprezzo dei critici online di oggi. Solo, con la memoria silente della sua compagna, bellissima giovane donna sacrificata alla sua rabbia cieca.
Gianni Riotta

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Il Messaggero
Oscar Pistorius sconterà la condanna a cinque anni per l’omicidio colposo della fidanzata nella malfamata prigione di Kgosi Mampuru II, a Pretoria, che ospita i peggiori criminali del Sudafrica. Ex carcere di massima sicurezza, durante l’apartheid era il luogo dove venivano eseguite le condanne a morte. All’epoca i detenuti in attesa di venire giustiziati erano rinchiusi in un’area detta ’The pot’ e in alcune giornate le guardie arrivavano ad impiccare anche sette persone contemporaneamente.
La triste fama dello Kgosi Mampuru, chiamato così nel 2013 in memoria di un nero impiccato nel carcere nel 1883, è di essere un luogo di violenza, stupri, dominato dalle gang e da secondini poco inclini al compromesso. I circa 7.000 detenuti del carcere di Pretoria trascorrono fino a 23 ore al giorno rinchiusi nelle loro celle affollate. Molti di loro in passato hanno denunciato di essere stati attaccati da bande di criminali che li minacciavano per ottenere soldi in cambio. In generale, la situazione delle carceri in Sudafrica è molto grave. Un recente rapporto dell’Ispettorato ha rivelato che l’ultima terribile abitudine delle gang nelle prigioni è minacciare i detenuti con una siringa di sangue infettato dal virus dell’Hiv, un macabro rituale che viene chiamato «slow puncture», «iniezione lenta».
Nei giorni scorsi gli avvocati di Pistorius avevano posto il problema dei rischi che l’ex campione avrebbe corso in un carcere. E, secondo la difesa, le prigioni sudafricane non sono attrezzate per i disabili. A Kgosi Mampuru però ci sono 22 celle singole per disabili nella zona dell’ospedale. Ed è lì che probabilmente finirà l’ex campione di atletica. L’atleta disabile sarà detenuto in infermeria e gli avvocati della difesa, che hanno annunciato che non presenteranno appello, hanno detto che si aspettano che tra 10 mesi al loro cliente verranno concessi gli arresti domiciliari. Quanto alle protesi che consentono a Pistorius di camminare, il regolamento del carcere prevede che le potrà tenere di giorno ma le dovrà consegnare ai secondini di notte.