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 2007  agosto 28 Martedì calendario

La versione di Alberto Stasi

A favore, un doppio alibi facilmente verificabile. Contro, qualche titubanza nel suo racconto e il sospetto di sempre, che l’assassino sia l’ultimo ad aver visto viva la vittima o il primo a scoprirne il corpo, come è capitato a lui. La doppia vita di Alberto Stasi, il fidanzato di Chiara Poggi, il bravo ragazzo di Garlasco prossimo alla laurea, l’unico sospettato di omicidio dagli investigatori, si gioca in 30 ore di verbali. «Gli indizi sono labili, non ci sono i margini per accusarlo, tantomeno per condannarlo», si sente sul velluto il suo difensore, l’avvocato Giovanni Lucido, anche lui in attesa dei risultati delle analisi compiute dal Ris dei carabinieri sulle macchie di sangue, i due capelli che Chiara stringeva in pugno quando era già morta e altri riscontri che ha fornito questo biondino con gli occhialini alla Harry Potter, un secondo paio di occhiali che i suoi gli sono stati sequestrati.
Di quella mattina Alberto Stasi ha raccontato di essersi alzato alle 9 e di aver acceso il computer per preparare la tesi che avrebbe dovuto consegnare quattro giorni dopo. «Sono stato sempre da solo, verso le 10 e 30 ho parlato al telefono di casa con mia madre in vacanza», fa mettere a verbale. Una telefonata che potrebbe allungargli la vita e allontanare il carcere, se dovesse risultare nei tabulati che stanno controllando i Ris. Quell’ora che indica Alberto è la stessa in cui qualcuno uccide la ragazza. Tra le 9 e 30 e le 11, stabilisce il medico legale. Altro alibi facilmente verificabile, la tesi di laurea che lui dice di aver perfezionato anche quella mattina al computer. Gli investigatori gli hanno sequestrato due pc e tutti i cd rom della tesi. Non è impossibile risalire all’ora in cui il computer è stato acceso e poi spento. Non è difficile controllare quante volte e a che ore il software di salvataggio dei file sia entrato in azione.
I dettagli
Due elementi a suo favore che vanno contro anche lo scetticismo più blu di un investigatore che pochi giorni fa ripeteva: «Il lavoro dei Ris è fondamentale per risolvere casi complicati come questo. Trasmissioni come Csi e i gialli raffinati di oggi insegnano a tutti come non commettere errori». Nelle pagine e pagine di verbali che ha riempito come testimone prima e come indagato poi, Alberto Stasi ha ricostruito in dettaglio tutto quello che ha fatto lunedì 13 agosto prima di correre in auto dalla sua abitazione a quella di Chiara. Racconta di aver cercato almeno quattro volte di parlare con Chiara al telefono. E questo già risulta dai tabulati del cellulare. L’ultima chiamata è delle 13 e 27, quando per una deviazione della linea della villetta di via Pascoli gli sembra che qualcuno sollevi la cornetta per quattro secondi. Non è vero. Chiara è già morta. Ma quell’ultima telefonata lo convince ad andare in auto alla villetta dove nessuno risponde al citofono.
Davanti al cadavere

«Ho urlato Chiara, Chiara, poi ho deciso di scavalcare il cancello». Nessuno lo vede. Nessuno lo sente. E’ il 13 agosto, la stradina dove si affacciano queste villette tutte uguali è semideserta. La porta di casa è chiusa, ma non a chiave. Da una stanza sulla destra si sentono delle voci, è solo la televisione accesa. Il ragazzo lo scopre solo entrandoci, ma così facendo evita di passare sulla sinistra del piccolo corridoio dove ci sono delle macchie di sangue che lui non può vedere, ma che rilevano i tecnici del Ris. Non le vede, ma pure non le calpesta e le scarpe che gli hanno poi sequestrato risultano con la suola di gomma pulita. «Ho visto che la porta delle scale che vanno verso la tavernetta era chiusa, quando l’ho aperta ho visto Chiara a terra. Mi sono spaventato, sono andato nel panico...», racconta quei secondi terribili, dove entra in qualche contraddizione che il magistrato e gli investigatori hanno cercato per ore di appianare.
La luce delle scale era fioca, ma Alberto giura di aver visto che la sua fidanzata indossava un pigiama rosa, il pigiama leggero di quelli estivi che lei indossava in quei giorni. Poi racconta di averla vista bianca in volto e invece era già coperta di sangue. E’ sicuramente una bugia, perché Chiara Poggi era con la faccia rivolta al pavimento e lui non poteva vederla in volto. Dalle scale non scende, non si sporca di sangue anche se tracce ematiche gliele stanno cercando sulle scarpe, sui pantaloni alla «pinocchietto» e pure sugli occhiali che gli vengono sequestrati. Alberto Stasi si fa prendere dal panico, scappa come scapperebbero molti, ci vogliono diversi tentativi prima di riuscire a comporre il numero del 118 col cellulare, mentre guida come un pazzo per cento metri fino alla caserma dei carabinieri. Se sulla pedaliera della sua auto non ci sono tracce di sangue di Chiara, Alberto Stasi è salvo. Se il sangue trovato nello scarico della doccia non è dell’assassino che si è lavato, ma della ragazza che in quei giorni aveva il ciclo mestruale, Alberto Stasi smette di essere l’indiziato numero uno. Se come sembra, i due capelli che Chiara stringe nella mano sinistra sono della ragazza, sono quelli che le rimangono in mano mentre si tocca la testa dopo essere stata colpita, il suo fidanzato svanisce dall’inchiesta e gli investigatori devono ripartire da zero.