Il Messaggero, 21 ottobre 2014
La svolta di Ankara, Erdogan ha detto sì al passaggio dei peshmerga: ora possono raggiungere Kobane attraverso la Turchia per difenderla
Nella notte domenica è successo qualcosa di nuovo sul fronte della guerra contro l’Isis: la Turchia ha concesso ai guerrieri peshmerga del Kurdistan di attraversare il suo territorio per entrare in Siria e correre in aiuto dei fratelli curdi che stanno combattendo nella città di Kobane. L’apertura di Ankara è venuta dopo lunghi negoziati fra il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu e il presidente della regione curdo-irachena, Massoud Barzani. Il passo, che potrebbe cambiare gli equilibri militari della città assediata da settembre dai miliziani di Isis, è stato preceduto dal volo di tre C-130 americani, che vi hanno paracadutato 27 casse piene di armi, munizioni e materiale medico. Il materiale non era di provenienza americana, anche questo veniva dal Kurdistan, ma gli Usa si erano offerti di trasportarlo sopra Kobane. E prima di farlo, il presidente Obama in persona ne aveva parlato con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Questi fatti puntano verso un possibile storico disgelo della Turchia nei confronti di alcuni gruppi della etnia curda. Finora infatti Ankara si era rifiutata di aiutare i combattenti di Kobane, sospettando che il loro gruppo, il PYD, non sia che un’ala del PKK: il primo è il partito di Unità Democratica Curda in Siria, il secondo è il Partito dei Lavoratori Curdi con i quali la Turchia ha avuto sanguinosi scontri e che è visto come un’organizzazione terroristica anche dagli Usa e dalla Nato. Il fatto che Erdogan abbia permesso il transito dei peshmerga dal Kurdistan è dunque un passo di grande rilevanza politica, così come il fatto che abbia accettato che armi curde messe a disposizione dal Kurdistan siano state trasportate dall’alleato americano in Siria. «Non abbiamo mai voluto che Kobane cada - ha sottolineato il ministro Cavosoglu - e la Turchia conduce diverse iniziative per impedirlo».
LE MISSIONI AEREE
Tutto ciò avviene mentre le missioni aeree condotte dagli Usa e dai Paesi del Golfo contro Isis in Siria sono aumentate di numero e frequenza: sono già state 135 dal primo ottobre. Ultimamente i raid sono anche stati più precisi e hanno avuto più successo perché il Pentagono ha ricevuto intelligence precisa proprio dai combattenti curdi di Kobane. E nonostante questi nuovi sviluppi, il Pentagono stesso insiste che non si può essere certi che Kobane sarà salvata: «Dobbiamo esprimere la nostra ammirazione per i combattenti curdi, che sono determinati e stanno facendo un gran lavoro per non cedere territorio - ha detto il generale Lloyd Austin, capo del Comando Centrale Usa - ma è ancora altamente possibile che Kobane cada». Non si può neanche essere certi che il mutamento di politica della Turchia verso i curdi sia permanente. Il segretario di Stato John Kerry ad esempio ha trovato necessario rassicurare Ankara che la consegna di casse piene di armi ai combattenti in Siria «non rappresenta un cambiamento di politica da parte deli Usa», che si tratta della reazione “morale”, «in un momento di crisi, un’emergenza», per evitare che avvenga «qualcosa di orribile». Il vice consigliere per la sicurezza nazionale, Ben Rhodes, ha comunque espresso un certo ottimismo sulla lotta contro l’Isis. In un’intervista con la giornalista Andrea Mitchell ha notato che l’Iraq ha appena nominato un nuovo ministro della Difesa: «E ora - ha spiegato - sarà possibile coordinare meglio le operazioni militari per fermare l’Isis».
Nella giornata di ieri ci sono stati vari attentati nel Paese, uno dei quali nel centro dI Bagdad. Ma Rhodes ha negato che ci siano rischi che Bagdad cada nelle mani dell’Isis, e ha anzi sottolineato che gli ultimi raid aerei condotti dagli Usa in Iraq insieme a francesi e britannici sono stati coordinati con le forze militari irachene a terra: sei missioni sono state effettuate «con successo» solo nella notte fra domenica e lunedì, contro bersagli Isis a Falluja.