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 2014  ottobre 21 Martedì calendario

Al Montepaschi di Siena i derivati Alexandria e Santorini fanno ancora danni. La banca rischia di perdere 600 milioni. Quasi tre anni sono passati, sotto la guida di Fabrizio Viola e Alessandro Profumo, ma né il risanamento, né la dieta di rischi e impieghi hanno ridato all’istituto reddito e solidità patrimoniale

A Siena il passato è un film che non passa mai. Non solo per le strette viuzze e le contrade attorno al Campo. La persecuzione del passato pervade la banca cittadina, che fatica a voltare pagina dopo il decennio di dissipazioni finito in dramma nel 2011. Quasi tre ne sono passati, sotto la guida dei due “foresti” Fabrizio Viola e Alessandro Profumo. Ma né il risanamento, né la dieta di rischi e impieghi hanno ridato all’istituto reddito e solidità patrimoniale. Ora in città, come sul mercato, si teme che tra pochi giorni la vigilanza bancaria europea possa infierire ancora, come fece un anno fa la Commissione europea.
Emblema del passato che non passa sono anche i derivati Alexandria e Santorini, micidiali strumenti appiccicati a 5 miliardi di Btp con cui l’ex gestione occultò perdite che ne avrebbero anticipato la cacciata. È bene ricordare che quei contratti restano tuttora aperti per 3 miliardi: nel febbraio 2013 il nuovo management li ha solo svalutati e depurati da “errori” (così crebbe di 500 milioni la richiesta di Monti bond). Da allora stanno nei conti della banca, sminati dal rientro del rischio sovrano italiano. È bene ricordare, poi, che Mps ha sostenuto una diatriba tecnico-contabile per appostare quei miliardi di derivati come crediti, in virtù di effettive linee di finanziamento che quei prodotti incorporano. Un’impostazione accettata da Bankitalia e Consob, ma rifiutata da Tribunale del Riesame di Siena, Commissione europea, Ifrs e Bafin tedesca. Come sa Deutsche Bank, costretta a contabilizzare Santorini come derivato.
In questi giorni, negli ambienti bancari di Francoforte, si dice che dal 4 novembre la vigilanza unica della Bce potrebbe chiudere la diatriba chiedendo a Mps di portare a conto economico il valore di mercato di quei derivati, con ciò facendo emergere circa mezzo miliardo di nuove perdite. Dalla banca senese non è stato possibile avere commenti a riguardo. Al 30 giugno 2014 l’ammanco di capitale di quei derivati era circa 500 milioni, che diventerebbero quasi 600 per il peggiorato differenziale Btp-Bund. Una buona fetta dell’ipotetico deficit patrimoniale che fa tremare Mps potrebbe, dunque, celarsi qui. Proprio dei derivati si è tornati parlare al foro di Siena il 10 ottobre, quando la difesa di Antonio Vigni ha fatto emergere nuovi, sinistri dettagli sul dossier. L’ex dg del Monte è accusato, con l’ex presidente Giuseppe Mussari e l’ex capo area finanza Gianluca Baldassarri, di ostacolo alla vigilanza per avere occultato il mandate agreement , contratto stipulato da Mps con Nomura che “associava” in un quadro unico le operazioni in derivati (su cui Siena guadagnava) e i Btp le cui ricche cedole erano retrocesse ai giapponesi. Da un’ispezione di Bankitalia dell’11 maggio 2010, depositata dalle difese di Vigni e finora inedita, si legge in sette pagine che la vigilanza aveva già da allora individuato le operazioni anomale in Btp/Repo con Deutsche Bank e Nomura, ma anche che Via Nazionale aveva individuato come l’operazione fatta con i tedeschi servisse a compensare perdite di Santorini.
«Il Btp/Repo di dicembre 2008 era contemporaneo a un altro di pari importo intercorso tra Deutsche Bank e la controllata Santorini, con funding ancorato a fattori in gran parte antitetici. Il positivo esito finale della 2° operazione compensava le perdite allora in formazione di un collar equity swap tra i due soggetti». Quel verbale gli ispettori lo consegnarono a Mps, a disposizione degli amministratori. Perché quindi il nuovo management affermò di avere “scoperto” Santorini solo dopo aver rinvenuto (il 10 ottobre 2012) nella cassaforte murata di Vigni il mandate agreement su Alexandria? La prima sentenza su Alexandria è attesa il 31 ottobre, quattro giorni dopo gli esiti degli stress test, quattro giorni prima l’avvio della vigilanza Bce.