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 2014  ottobre 21 Martedì calendario

Ecco l’elenco degli ospedali peggiori d’Italia per curarsi o partorire. Campania e Sicilia le ultime Regioni della lista secondo il rapporto del Ministero della Sanità. Valle D’Aosta, Emilia Romagna e Toscana le migliori

Venire al mondo o farsi curare un tumore possono trasformarsi in rischi veri nel nostro paese. Perché bisogna vedere in che Regione si nasce o ci si ammala e in quale ospedale avviene il ricovero. Una serie di variabili che potrebbero far andare in direzioni opposte sia il parto che la terapia. Le due prestazioni per le quali i pazienti possono aspettarsi esiti assai diversi che si abiti in una zona o in un’altra.
Per quanto riguarda i punti nascita e i servizi oncologici, infatti, sono ancora molte le strutture che lavorano sotto gli standard minimi di sicurezza. Contano un numero così basso di interventi che non possono essere considerate totalmente affidabili. E’ il dato più evidente che emerge dal Programma nazionale esiti firmato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari per il ministero della Salute.
Qualche numero per illustrare un lavoro che ha analizzato l’efficienza e la qualità anche di altri parametri come l’intervento sulla frattura di femore nell’anziano (oltre la metà dei casi viene operata in ritardo, quindi dopo 48 ore dal ricovero)o l’angioplastica in caso di infarto (era nel 27,6% dei malati nel 2008 mentre è passata al 39,6% nel 2013).
LE POLEMICHE
Dopo anni di polemiche, lotte con annessa occupazione degli ospedali destinati alla chiusura e trattative tra i comitati dei pazienti e le amministrazioni locali in pochi avrebbero ipotizzato che in Italia esistono ancora 133 strutture che contano meno di 500 parti all’anno. Che non rispettano, dunque, il parametro minimo fissato dai nuovi standard ministeriali. Le Regioni che hanno più ospedali sotto il livello di garanzia sono Campania con 20 punti nascita con basso tasso di utilizzo, Sicilia con 18 e Lazio con 12 (6 case di cura private non accreditate). Tutti i centri, fin da oggi, dovranno iniziare una serie revisione del lavoro in sala parto e giustificare perché la situazione è pressoché identica a quella di due o tre anni fa. Poche nascite non significa, guardando dal punto di vista economico, solo il basso utilizzo delle strutture. Sia per i parti che per i tumori, infatti, dove si fanno più interventi si muore di meno e si contano meno errori. «Interverremo sugli ospedali sotto gli standard», assicura Francesco Bevere direttore generale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari.
L’analisi del rapporto focalizza l’attenzione su alcuni tipi di neoplasie, colon, polmone, mammella e stomaco. Indicatori importanti per disegnare la mappa dei centri, il loro volume di lavoro e, quindi, di sicurezza. L’anno scorso 805 strutture hanno eseguito interventi per tumori del colon: tra queste, 106 (il 13,2%) hanno presentato un’attività superiore ai 50 interventi annui (è dimostrato che la mortalità a 30 giorni diminuisce dove si fanno più di 50-70 interventi in dodici mesi). Per il polmone solo il 16% dei centri (36 su 231) ha superato i 100 interventi annui (anche in questo caso la mortalità a 30 giorni diminuisce laddove si fanno più di 50-70 operazioni). Per il tumore alla mammella, infine, le linee guida internazionali fissano lo standard di qualità minimo in 150 interventi annui. In Italia solo il 13% delle strutture (98 su 761) è arrivato o ha superato quella cifra. Un problema organizzativo riscontrato in diversi ospedali? Fare lo stesso intervento, per esempio quello del cancro al seno, in più reparti all’interno di uno stesso istituto. Un esempio sembra essere l’Umberto I a Roma dove si interviene sulla stessa patologia in reparti differenti. Una situazione figlia di una vecchia politica sanitaria che, così, accontentava diversi capi. Oltre che l’incarico venivano, così dati, i letti, il personale etc. Oggi la tendenza è di accorpare i servizi superspecializzati per non disperdere forze e denaro.
I DIRETTORI
«Sono inaccettabili le differenze che emergono tra le regioni - commenta il ministro della Salute Beatrice Lorenzin - I direttori generali devono adeguarsi agli standard, non si tratta di un optional. Il Programma esiti non è uno strumento punitivo o una classifica ma un lavoro che ha l’obiettivo di valutare e misurare le performance». Il ministro non vuole parlare di voti e di classifiche ma, di fatto, è difficile non parlare di pagelle quando, elaborando i dati, si trova la Toscana in testa per le buone prestazioni accompagnata dalla Valle d’Aosta e in fondo Campania e Calabria.