Libero, 17 ottobre 2014
Militanti dell’Isis che nuotano felici in piscina, altri attovagliati in un ristorante costoso e poi hotel di lusso, ville e Suv: la dolce vita borghese dei tagliagole islamici
Come sempre nelle cose umane, è questione di desideri frustrati e di aspettative deluse. Di soddisfazioni che non arrivano e di promesse non mantenute. Cosa sogna il ragazzo inglese - appena un piede fuori dall’adolescenza, grande talento calcistico - che un pomeriggio si rifiuta di indossare i pantaloni corti per fare allenamento e un anno dopo scompare dal quartiere per farsi ritrovare in Siria a combattere con l’Is? Che cosa sogna la giovane donna nordafricana che a Milano ha perso l’impiego e col passare dei mesi si oscura avvolgendosi nel niqab e si trincera in camera a chattare con gli estremisti del Califfato, che poi raggiungerà per farsi sposa della jihad? E i ventenni barbuti che partono dal Belgio per imbracciare un mitra? Sognano i sogni di tutti. Sogni tranquilli, grigi di mediocrità, se volete. Sognano il futuro straborghese che gli è stato fatto annusare mentre crescevano in Occidente. Un futuro con il culo al caldo, la tivù a schermo piatto e una partita dentro con cui trascorrere qualche ora in oblìo. Bramano il lavoro fisso e possibilmente ben pagato che gli era stato prospettato per farli studiare a scuola e a cui i sindacati delle loro anime non intendono rinunciare. Vogliono una moglie, magari anche un’amante. Un giardino in cui divertirsi la domenica con gli amici, come fanno gli americani rosei e ben pasciuti delle sitcom. E, certo, non disdegnano un po’ d’avventura, di romanticismo, di azione che spezzi la tristezza dei giorni che si affastellano senza senso. Il Califfato offre loro tutto ciò. Stuzzica l’esuberanza giovanile presentando un ideale granitico, una causa per affrontare un difficile viaggio all’estero, un grand tour estremo fra le pietre roventi e le sabbie di Iraq e Siria. E lo fa con i mezzi dell’Occidente: trailer, film, riviste patinate... Ma non è detto che basti. Le grandi imprese e il rischio mortale non sono roba per tutti, anche se indottrinati allo sfinimento. Ci vuole un po’ di zucchero per indorare la pillola. Ecco allora il rovescio della medaglia. Le comodità occidentali. Il benessere, la ricchezza: tutto quello che l’Europa e l’America avevano promesso e poi hanno negato. Gli strateghi dello Stato islamico hanno capito che per arruolare sangue fresco devono giocare la carta della Dolce Vita. La apparecchiano per i loro combattenti e la pubblicizzano con tutti i mezzi possibili. Non si tratta mica di menzogne. L’esistenza comoda dei jihadisti è reale e ben documentata. Nelle ultime settimane sono circolate sul web immagini e testimonianze di ogni genere. Per esempio quelle di Olivier Calebout, Lucas Van Hessche e Abdemalek Boutalliss. Il primo 27 anni, 19 gli altri due, sono partiti dal Belgio per entrare nell’Is. Giunti a Raqqa, la roccaforte del Califfato, hanno cominciato a scattarsi foto. Si sono ritratti su comodi letti in alberghi di lusso. Poi la sera in pizzeria, con enormi milkshake e focacce farcite sul tavolo. Ancora, si son fatti vedere in giro per negozi, facendo notare ai loro contatti l’abbondanza di merci presenti sugli scaffali. Sempre alla zona di Raqqa si riferiscono le immagini pubblicate dai cronisti del Daily Mail. Si vedono militanti dell’Is che nuotano felici nell’ampia piscina di un bell’albergo. Altri ancora attovagliati in un ristorante dall’aspetto piuttosto costoso, mentre s’ingozzano come cinghiali per la festa di Eid al-Adha. Occasione per la quale, secondo una fonte della Cbs, hanno ottenuto pure un bonus economico. Avanti così e l’Is produrrà una bella Guida Michelin con i migliori locali della jihad. Con tanto di recensione su Tripadvisor (e taglio della gola per chi posta commenti negativi). Ma, più di alberghi e locali a cinque stelle, l’immagine davvero emblematica è quella che ritrae una elegante casa bianca, con ampio giardino e un Suv nero fiammante nel cortile. In sovraimpressione, la scritta: «Jihad, la bella vita!». Intendiamoci: tutte le organizzazioni di questo tipo, una volta che controllano il territorio, applicano una sorta di Stato sociale. È normale che l’Is sbandieri sulla sua rivista la creazione di centri per anziani e cliniche per bambini. È comprensibile che attiri le ragazze di fede islamica che vivono spaesate in Occidente con la promessa di un marito eroico e di un reddito garantito. La giornalista Claire Talon ha citato la testimonianza di Aqsa Mahmoud, diciannovenne di origini scozzesi, che ha raccontato: «Qui non si paga l’affitto. Le case sono assegnate gratuitamente. Non si paga l’acqua né l’elettricità. Riceviamo provviste mensili come spaghetti, pasta, cibi in scatola, riso, uova e sussidi mensili per i mariti, le mogli e ogni figlio. Le cure mediche sono gratis. E non si pagano tasse (se si è musulmani). Abbiamo utensili da cucina, frigoriferi, cucine, forni, microonde, frullatori, aspirapolvere e prodotti per le pulizie». Capite? Qui stiamo parlando di altro. La villetta da arricchito, il Suv come i bauscia e la piscina. Più le concubine rese schiave nei saccheggi. Nemmeno Homer Simpson ambirebbe a tanto. Ed è questa la cosa più agghiacciante. L’Is offre il lusso. Anzi, la pacchianeria. Riservata per lo più ai miliziani che vengono dall’estero che costituiscono (parola di un combattente intervistato da Vice) «una élite». Per questo tagliano gole? Per vivere come Willy il Principe di Bel Air? La verità è che, ancora una volta, lo Stato islamico vende una caricatura. Ai suoi nemici - per spaventarli con i babau dell’infanzia - offre lo stereotipo del maomettano in palandrana, sempre a cavallo, bestiale e spietato, antimoderno. Una specie di feroce Saladino 2.0. Ai suoi simpatizzanti, invece, offre la via musulmana a Disneyland, una Paperopoli a prova di Corano. L’Is ha ricreato un Occidente farlocco, da pubblicità, da televendita. Lo stesso che viene spacciato ai consumatori infedeli che questi macellai disprezzano. Per questo verrà la loro fine. E avrà il volto di un venditore di materassi islamico che imita Giorgio Mastrota.