la Repubblica, 17 ottobre 2014
La nuova governance della Chiesa cattolica
il sinodo dei vescovi è stato atteso anche come un banco di prova per misurare l’impatto dell’attuale pontificato sui rapporti tra il papa, la Curia romana, le Chiese locali ecc. Le discussioni della vigilia facevano pensare che le posizioni di papa Francesco fossero minoritarie: in tema di famiglia, divorziati, omosessuali ed altro, le voci contrarie alla sua sono sembrate più forti e numerose e non sono mancate aperte contestazioni — piuttosto inusuali nei confronti di un papa — da parte di cardinali e vescovi. Ma, dopo una settimana di dibattito, gli equilibri sono apparsi rovesciati e non si tratta di un’invenzione dei media. È evidente, infatti, che i padri sinodali hanno accolto le indicazioni di Francesco su che cosa discutere e, soprattutto, su come discutere. Le sue raccomandazioni sulla creatività e la parresia hanno suscitato un dibattito molto ampio e libero, in un clima costruttivo e disteso, fotografato dalla bozza di relazione proposta dal cardinale Erdo che ha suscitato sorpresa. Indubbiamente, su molti problemi non c’è identità di posizioni e le voci che erano preponderanti alla vigilia sono tornate a farsi sentire, non senza irritazione. È inoltre possibile che, alla fine del Sinodo, sul piano teologico o su quello giuridico, le novità appaiono limitate. Ma la maggior parte dei vescovi ha mostrato chiaramente di essere in sintonia con papa Francesco. E tanto basta per parlare di novità storica a proposito di questo Sinodo straordinario.
Le novità storiche non accadono all’improvviso e quella sotto i nostri occhi non fa eccezione. Francesco si è inserito in un movimento in corso almeno dal Concilio Vaticano II. Ma certamente decisiva è stata l’influenza della sua impostazione missionaria, che lo spinge a concentrare l’attenzione sulla priorità del Vangelo e sui problemi concreti delle persone, delle famiglie, dell’umanità. I dottori della legge, ha detto proprio in mezzo alla discussione sinodale, non vedevano i «segni dei tempi» perché «avevano dimenticato la storia». Secondo Jorge Bergoglio, invece, la prospettiva della storia è importante, perché per lui «il tempo è superiore allo spazio» e ciò che conta è avviare processi che producono cambiamenti, come ha sottolineato un suo amico, il vescovo argentino Fernandez. Francesco sta facendo emergere oggi un cambiamento nella governance della Chiesa cattolica, rispondendo alle spinte della globalizzazione. Dopo molti secoli, l’autorità del papa e quella dei vescovi non appaiono più concorrenziali o conflittuali tra loro ma piuttosto complementari e convergenti. A lungo, i papi hanno temuto i concili, dove i vescovi cercavano di far prevalere la loro volontà su quella del vescovo di Roma. Quest’ultimo, a sua volta, ha cercato di prevalere sui vescovi, come è accaduto nel 1870 al Vaticano I, quando venne addirittura proclamata la sua infallibilità. È una contrapposizione che ha toccato anche il Concilio Vaticano II, da molti interpretato come un ennesimo ribaltamento nei rapporti tra papa e vescovi, a favore di questi. In realtà, si era all’inizio di una stagione nuova, mentre gli orizzonti della Chiesa cattolica cominciavano ad oltrepassare i confini europei per abbracciare sempre di più tutto il mondo. E proprio questo ampliamento di orizzonti ha innestato la spinta a superare un contrasto tra vescovi e papa che rifletteva, in larga parte, quello tra le potenze europee e un’autorità religiosa sovranazionale da queste mal sopportata.
Tale passaggio ha segnato profondamente anche il pontificato di Paolo VI, beatificato domenica 20 ottobre. Durante il Concilio, Montini si è trovato in mezzo allo scontro tra fautori della giurisdizione papale e fautori della giurisdizione episcopale e i suoi tentativi di mediazione non sono piaciuti né agli uni né agli altri. Ma successivamente, Paolo VI è diventato un riferimento molto apprezzato, soprattutto dai vescovi non europei, ad esempio durante il Sinodo del 1974, di cui egli ha felicemente sintetizzato il dibattito nell ’ Evangelii nuntiandi.
Alla luce di questi giorni, anche il pontificato montiniano appare in una luce nuova, all’interno di un più ampio percorso che ha condotto sino a papa Francesco. Se nella stagione di Paolo VI, infatti, sembrava che la difesa dell’autorità del papa fosse destinata alla sconfitta, dopo l’elezione di Jorge Bergoglio tale autorità presenta oggi un vigore nuovo, non contro ma insieme a quella dei vescovi “riuniti insieme” (è questo il significato della parola sinodo). Francesco non appare più “un uomo solo al comando”, come è sembrato inizialmente, e, nella Chiesa cattolica, si sta affermando un modello di governance globale che — per affrontare problemi di enorme varietà, dal divorzio alla poligamia — cerca di unire un’autorevole voce universale a un dibattito corale fra voci diverse di tutto il mondo.