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 2014  ottobre 17 Venerdì calendario

Novella Calligaris, la campionessa che sconfisse le valchirie tedesche del nuoto con un record iridato nel 1973. Ora fa la giornalista

Se lo ripete ancora quando di fronte ha un ostacolo a prima vista insormontabile, un impegno difficile, un momento di scoraggiamento. «Ma io ho battuto le tedesche dell’Est. E chi mi ferma?». Perché se in questo caso si può dire — in senso neanche tanto figurato — che molta acqua è passata sotto i ponti, presto si capisce che il senso di quella sfida è sempre rimasto sullo sfondo. Anzi: sul fondo. Sul fondo della piscina. È la riga nera che Novella Calligaris ha seguito per arrivare al culmine della sua storia di campionessa: lei, piccola e minuta, alla prima edizione dei campionati mondiali di nuoto, a Belgrado nel 1973, sul gradino più alto del podio con un nuovo record iridato, a 19 anni non ancora compiuti. Alle sue spalle, in quegli 800 stile libero, la statunitense Jo Harshbarger e la tedesca della Ddr Gudrun Wegner. Questo colloquio nasce proprio intorno a quella riga nera sul fondo della vasca, diventata un po’ il simbolo della solitudine degli atleti della piscina. Immersi in un elemento «altro», confinati dentro se stessi da quel mondo liquido che allontana anche suoni e rumori: a faticare per ore, bracciata dopo bracciata, fissando nelle piastrelle in fondo alla vasca o nelle bandierine stese sopra, nell’orologio piazzato su una parete o in una scritta pubblicitaria, inaspettati punti di riferimento da ritrovare di volta in volta, ripassand o. 
La riga nera
Una fatica terribilmente monotona? Forse, anche, certo non solo: tutte le medaglie, olimpiche e non, hanno due facce. «Quella linea sul fondo può sembrare ossessionante, ma ti aiuta anche a seguire la retta che conduce ad un obbiettivo, a mantenere la concentrazione». A quasi quindicimila giorni dal traguardo che coronò una carriera costellata anche di tre medaglie olimpiche (le prime del nuoto italiano), 22 primati europei e 86 record nazionali, in altre parole, la riga nera è sempre lì: è il proposito da seguire, la direzione scelta. Con impegno, razionalità e sincerità: «La condizione per arrivare al risultato. Il cronometro non mente. E se timbri il cartellino ma poi non ti impegni, non funziona». 
Però gli allenamenti sono molto lunghi, e le distanze (dieci volte i 400, venti i 200) così ripetitive che pensarle tutte insieme è un po’ scoraggiante. «Vero. I grandi obbiettivi vanno spezzettati in traguardi di volta in volta più raggiungibili. Durante quegli 800 del mondiale, ero passata in testa ai 300. Pensavo: se riesco a stare davanti fino alla prossima vasca posso farcela. Poi la virata, che è un aiuto perché è un traguardo intermedio e gratificante: giù la testa, capriola, spinta, si ricomincia». E qui entra in gioco l’allenatore: «Bubi Dennerlein, il mio, con il quale conservo ancora un bellissimo legame, è stato unico». Per almeno tre ragioni. Primo, in quel gioco dello spezzare per variare: «Nuotavo a stile libero, a dorso, solo gambe, solo braccia. Importante era la resistenza da consolidare». Poi nell’accendere il senso della sfida con se stessi: «L’anno dei mondiali avevo anche la maturità. Qualcuno consigliava che lasciassi perdere per recuperare in seguito. Bubi non volle sentir parlare di rinvii, perché “un ignorante non arriva mai avanti”». Infine «non gli importava come nuotassi, sapeva che ciascuno, stando dentro l’acqua, deve trovare le sue maniglie». Maniglie immaginarie che si afferrano, una dopo l’altra, velocemente, quando non ci si sente più immersi in un elemento «diverso». «La sensibilità di ciascuno per l’acqua è ancora un mistero. C’è — o non c’è — il galleggiamento, certo. Poi, però, in corsia volano sia i giganti come Phelps che le libellule come Paltrinieri. È una specie di sensibilità artistica, come l’orecchio per un musicista». 
Il senso dell’acqua
Mani, braccia, schiena e pancia, gambe e piedi: una volta infilati sotto quella superficie lucida e fresca non solo sentono l’acqua — calda, fredda, giusta — ma cambiano peso, elasticità, si allungano e si contraggono in modo diverso. «Anche per questo i nuotatori si depilano, per sentire più l’acqua che scivola via». Esile come era, Novella aveva invece il problema inverso: i costumi anni Settanta, principalmente Speedo con un (pudico?) gonnellino sul davanti, non aderivano abbastanza al suo corpo sottile. «Imbarcavo tanta acqua. Infine mio padre trovò in Svizzera i primi costumi di lycra, con i bordi che si attaccavano alla pelle: ma costavano uno sproposito, così ogni volta che era necessario, eccoci a rimettere la colla». Anche quell’idea della solitudine ha la doppia faccia: isolati, ma avvolti. Voci e suoni che la mente riproduce al ritmo delle bracciate e del respiro: da studenti si ripetono anche i versi mandati a memoria, il tuffo di Ulisse «keire petassas» (con le braccia allargate), le regole grammaticali. «E così si trovano mille compagni per battere anche la noia» . 
Come un limone 
Novella, che con le sue medaglie ha mandato in piscina tanti italiani, ha però scelto non di insegnare il nuoto (con un’eccezione per suo figlio Luca, oggi 35 anni), ma di continuare a viverlo da giornalista, raccontandolo sulla carta e in televisione. Lontani i due «Limoni», premi che le furono assegnati dai cronisti sportivi del tempo per le sue risposte non sempre accomodanti: «Ma ci ricordiamo come erano quei giornalisti? Facevano domande e risposte da soli, toglievano tutto lo spazio». Novella reclamava il diritto a dire la sua senza troppe cerimonie. E adesso? «Adesso che tocca a me, cerco di capire» . 
Di quei sei anni di vasche e medaglie (dal 1967 al 1974), il momento più bello e la cosa che è rimasta. «La vigilia della mia prima finale olimpica a Monaco ’72, nei 400 stile. Bubi era molto più emozionato di me. Aveva costruito una sorpresa per tutti, me compresa, aveva fatto in modo di non dare l’idea di quanto andassi forte. Lo sport è così, un po’ un “Sabato del villaggio”: bisogna avere il gusto del progetto e del lavoro per realizzarlo, altrimenti, una volta raggiunto il risultato, finisce tutto». Invece no, dopo la capriola è sempre rimasto l’entusiasmo per la prossima vasca: «Qualcosa da realizzare — anche semplicemente una bella cena, un regalo ben scelto — per ritrovare la stessa soddisfazione » .