la Repubblica, 17 ottobre 2014
La sfida di Matteo: “Mettano le spese on line. La crisi dei mercati non può essere usata contro di me”
Quando sente il «rumore dei nemici» come lo chiamava l’ex allenatore dell’Inter Mourinho, Matteo Renzi non arretra, anzi attacca. È il suo modo di fare. Dal vertice Europa-Asia di Milano, spara una raffica di violenti tweet contro i governatori. In privato annuncia una sorpresa ancora più perfida. Una minaccia in piena regola: «Nei prossimi mesi metteremo online le spese dei sindaci e delle regioni. Così i cittadini sapranno se il problema sono i soldi che non hanno o come li spendono. Vediamo chi ha ragione. Si parla tanto di costi standard. Bene, per arrivarci la cosa migliore è la trasparenza. Tutti sapranno se non ci sono sprechi e costi da tagliare». È più cauto invece sull’altro fronte che si apre in queste ore: il profondo rosso dei mercati, l’indesiderata resurrezione dello spread. «La crisi nasce dalla Grecia, noi e la nostra manovra non c’entriamo nulla. Ma non temo nemmeno che qualcuno voglia approfittarne per intervenire su di noi, per cercare di condizionarci. Dall’Europa o dall’Italia. Con la nostra legge di stabilità questo pericolo non esiste. Non siamo più l’anello debole». I mercati, gli investitori, le stesse autorità di Bruxelles, è la convinzione di Palazzo Chigi, potranno solo apprezzare lo sforzo del governo. «Perché accanto a una manovra espansiva, anticiclica e coraggiosa, abbiamo pronte tutte le riforme che servono a tornare competitivi, a crescere», ripete Renzi. Bisognerà lavorarci con i funzionari dell’Unione, spiegarla. Convincere ed evitare la bocciatura. Ma il premier resta ottimista. Adesso però deve difendere i provvedimenti dall’offensiva delle regioni. E di chi come il sindacato (in piazza il 25), la minoranza del Pd, le opposizioni, associa la propria protesta a quella di Sergio Chiamparino e dei colleghi. «La manovra tocca l’1,5 per cento del totale della spesa regionale. È un’inezia, i margini ci sono, eccome», è la sfida del premier. Renzi sostiene perciò che le regioni e i comuni non possono lamentarsi. «Il vero taglio è quello sulle province». Si è convinto a farlo dopo aver visto i pasticci nelle elezioni di secondo grado celebrate domenica scorsa. Una corsa folle a riciclare politici, a stringere alleanze innaturali per mantenere il potere. «Non hanno capito che le province sono state abolite. Allora glielo facciamo capire noi». Chiudendo il rubinetto, azzerandole con la leva finanziaria senza passare dalla riforma costituzionale. Ieri ha rotto persino con Chiamparino, il primo vero sponsor della sua ascesa politica, il sindaco di Torino venerato per le sue capacità amministrative. Non un fratello maggiore o minore come tanti del suo cerchio magico. Qualcosa di più, se possibile. Un modello. Ma il presidente del Piemonte si è presentato alla riunione con gli altri governatori, in mattinata, confessando che «Matteo» non aveva ancora risposto ai suoi messaggini e tantomeno alle telefonate. Silenzio assoluto. Come dire: cavatevela da soli. Renzi ha individuato nelle regioni il vero buco nero della spesa pubblica. Nel modo in cui spendono il denaro nella sanità, in particolare. Il vero sogno del premier è «ricentralizzare la spesa sanitaria». Non si può, certo, lo dice la Costituzione. Però con i trasferimenti si possono rendere più virtuosi i comportamenti degli enti locali. «Le regioni andrebbero azzerate, spazzate via. Sono il vero problema italiano», dice il senatore Nicola Latorre, da tempo molto vicino al presidente del Consiglio. Renzi la pensa più o meno allo stesso modo. Usando parole addirittura più taglienti. La rottura con Chiamparino crea un nuovo nemico e toglie un potenziale alleato. Dopo i tweet, Renzi non potrà contare sull’aiuto del presidente della conferenza Stato-regioni. «L’ultimo incontro con Delrio — tuona l’ex primo cittadino torinese — l’ho avuto 15 giorni fa. E ora sento dire che vogliono aprire un tavolo». Il vicepresidente dell’Abruzzo Giovanni Lolli calcola in 5,7 miliardi il vero taglio ai governatori. «Così la legge è inaccettabile. Bisogna ridurre i sacrifici o meglio dobbiamo farli tutti. Renzi pensi alle spese dei ministeri». Si prepara alla battaglia anche Pier Luigi Bersani. «Una manovra molto coraggiosa ma nella direzione sbagliata spiega l’ex segretario —. I tagli alle regioni sono tagli ai servizi, questo sia chiaro. Li paga la gente». Bersani però rimprovera a Renzi una mancanza di visione. «Per le coperture siamo appesi alle clausole di salvaguardia ovvero a nuove tasse se gli obiettivi non vengono raggiunti». Non è una novità. Tutte le manovre recenti le avevano. «Appunto — ribatte Bersani —. Non vedo il cambiamento di verso. Ci voleva più coraggio sulle riforme strutturali: una seria lotta all’evasione, una riforma della pubblica amministrazione meno all’acqua di rose di quella del governo, un piano di liberalizzazioni». Così i rischi rimangono, dice l’ex segretario del Pd, che però liquida l’ipotesi del voto anticipato a marzo come «voci dei giornali». Renzi però si sente sicurissimo sulle coperture. Per questo respingerà le richieste delle regioni. Per questo considera la manovra inattaccabile e quindi non emendabile almeno nel suo impianto generale.