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 2014  ottobre 16 Giovedì calendario

Un’infermiera che ha viaggiato in aereo con altri 132 passeggeri risulta adesso contagiata dall’Ebola in Texas

Nuovo caso di contagio Ebola a Dallas, e nuova conferma del fallimento del sistema di prevenzione che gli Usa hanno operato fino a questo punto per arginare la trasmissione del virus. La persona infetta è ancora una volta un’infermiera, la 29enne Amber Joy Vison, che come la sua collega Nina Pham aveva curato il paziente Zero Thomas Duncan, arrivato dalla Liberia meno di un mese fa, e morto una settimana fa all’ospedale Texan Health Presbiterian. La giovane ha riconosciuto da sola i segni della malattia che si stava sviluppando nel suo corpo, ed è stata messa in isolamento martedì sera, 90 minuti dopo la comparsa dei sintomi. Il dettaglio scandaloso è che anche se il suo nome era tra i 76 sanitari che erano entrati in contatto con Duncan, Vinson ha potuto viaggiare lunedì scorso su un volo di linea da Cleveland a Dallas, sul quale erano seduti altri 132 passeggeri. Al momento dell’imbarco è stata sottoposta come tutti ad un controllo della temperatura, che è risultata essere 37,5 gradi, non abbastanza alta da far suonare l’allarme. Ancora una volta gli americani guardano con incredulità al macabro rituale che si sta ripetendo davanti ai loro occhi: l’annuncio di un nuovo caso, l’ammissione da parte delle autorità che l’evenienza è inaccettabile, e al tempo stesso l’assicurazione che tutto è sotto controllo, che lo spargimento del virus è circoscritto, e che non c’è pericolo per la popolazione.
LA RABBIA DEI SANITARI
La tensione a Dallas è altissima, e non tutte le bocche accettano di restare cucite. La segretaria del sindacato degli infermieri americani Deborah Burger ha denunciato ieri le condizioni in cui hanno lavorato nei primi giorni della crisi i suoi colleghi del Texan Presbiterian, che sono stanchi di essere additati come gli incompetenti irresponsabili che hanno causato il contagio. Duncan, dice il comunicato del sindacato, era in preda ad attacchi irrefrenabili di vomito e di diarrea al momento del ricovero, ma è stato tenuto per almeno sette ore in pronto soccorso insieme ad altri sette pazienti, i quali sono stati poi sottoposti all’isolamento per un solo giorno prima di mischiarsi con altri malati nelle camere dell’ospedale. I paramedici che l’hanno curato si alternavano al letto di altri pazienti, e le disposizioni di prevenzione sono state cambiate in quei giorni con una tale frequenza, che alla fine i paramedici erano lasciati liberi di scegliere quale regola seguire. Queste sono tutte violazioni del protocollo stabilito dal Centro per il controllo delle malattie di Atlanta, il quale a sua volta ha accusato ritardi e omissioni inspiegabili all’inizio della crisi.
L’America è davvero pronta ad affrontare la crisi dell’Ebola? Ieri di fronte alla debacle si è scoperto che i letti a disposizione in tutto il paese in condizione di assoluto isolamento sono 18. Uno di questi nell’ospedale di Emory ad Atlanta riceverà la paziente Vison proveniente da Dallas, che evidentemente non è più giudicata una sede sicura.
I PASSEGGERI DEL JET
Ma cosa succederà ora ai passeggeri del volo 1143, che hanno diviso con lei per due ore il piccolo abitacolo del jet? La paziente numero tre non aveva sintomi né febbre quando ha viaggiato, ma avrebbe sviluppato entrambi 24 ore dopo. Questa situazione era all’interno di una fascia sicura del protocollo del CDC? E c’è davvero un protocollo sicuro sul quale fare affidamento? Altri 46 malati di Ebola sono morti ieri nei paesi dell’Africa Occidentale, dove quest’ultima domanda non ha già più un senso.